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Bisogna prevenire la crisi sociale post Covid-19

Bisogna prevenire la crisi sociale post Covid-19

Portugal Street

L’impatto economico della crisi da Corona virus sarà molto rilevante. Secondo i primi studi i disoccupati potrebbero arrivare anche a 35 milioni. Un conto pesantissimo per il welfare.


Le prime proiezioni sono preoccupanti: Ilo (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima un effetto in termini di maggior numero di disoccupati che oscilla tra 6 e 25 milioni, con un’ipotesi massima che può arrivare a oltre 35 milioni. Il che si rivelerebbe un costo pesantissimo anche in termini di welfare. Come già scritto in questa rubrica molto dipenderà dal fattore tempo: quanto durerà e quando riprenderà l’attività economica. E anche dalle interconnessioni globali: siamo nell’epoca della globalizzazione e anche se oggi tutti si affrettano a chiudere le frontiere, le nostre economie sono strettamente dipendenti le une dalle altre ed è un modello difficile da modificare (e non sappiamo neppure se sia opportuno modificarlo). Si deve ricordare che la crescita italiana di questi anni -seppure modesta- è per larghissima parte da ascrivere alla componente export e non ad una debole domanda interna. Quindi è certamente prematuro fare ipotesi e scenari affidabili. Nondimeno, tracciare le tendenze è assolutamente importante. Così come è altrettanto importante comprendere le caratteristiche qualitative dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro: quali categorie di lavoratori, in quali settori, con quali qualifiche, per già immaginare le contromisure possibili. Contromisure che certamente devono poggiare su adeguati strumenti di sostegno al reddito -per contrastare il breve periodo- e robuste azioni di formazione e riqualificazione -per contrastare il medio periodo. È un esercizio complesso ma necessario se non vogliamo creare un esercito di disoccupati o di sottoccupati, anche alla luce di coloro che affermano che intere attività non riprenderanno e molte filiere subiranno mutamenti radicali. In questo quadro di grande incertezza ritornano attuali ricette che l’Europa non ha mai voluto attuare. Politiche che sono state sempre ritenute secondarie rispetto all’ortodossia monetaria e di rigore di bilancio. Politiche che risalgono all’epoca di Jacques Delors e che erano state disegnate per garantire quella tenuta sociale che oggi è profondamente minata. Si tratta certamente degli eurobond, di un significativo piano per gli investimenti (materiali e immateriali), di una maggiore integrazione di alcune politiche sociali, quelle previdenziali così come quelle di sostegno alla occupazione.

Una visione che non è mai stata posta al centro delle politiche europee ma ha sempre costituito un obiettivo secondario. Ecco così il piano Koch, la Strategia di Lisbona, la Strategia 2020, le peer riviews. E questi limiti oggi si pagano tutti. Così come manca una politica di stimolo fiscale comune allo stesso tempo manca una politica contro la disoccupazione comune. E pensare che l’Italia aveva più volte negli ultimi anni proposto il varo, anche in maniera sperimentale, di un meccanismo europeo di assicurazione contro la disoccupazione. Trovando però la forte contrarietà di tanti Stati europei e, come spesso accade, una gelida accoglienza da parte della tecnocrazia europea. Ora però quel tempo è venuto. Di fronte alla massa di disoccupati che stanno per prodursi nelle economie europee è necessario trovare “bazooka” anche sociali. Risorse dice il Commissario Gentiloni sono poche perché dovremmo attendere il nuovo bilancio europeo (ma quando ora?). Forse anche in questo caso si potrebbe cominciare con quello che è disponibile e anche trovare nuove risorse con meccanismi straordinari. È tempo di agire. È tempo soprattutto di prevenire una crisi sociale che si aggiungerebbe alla crisi sanitaria e alla crisi economica. La storia ci deve insegnare che per le società democratiche e liberali il pericolo più forte è l’esplosione sociale. A meno che qualcuno non voglia trasformare le nostre democrazie liberali in repubbliche popolari.

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