Siamo alla prese con la Delta, ma potrebbe non essere l’ultima mutazione che ci complica la vita. Capire le «strategie di fuga» del virus risulterà cruciale per mettere a punto vaccini davvero risolutivi. E sapere se, alla fine, riusciremo a liberarcene.
Alfa, Beta, Gamma, Delta, Epsilon, Iota, Kappa, Lambda, Mu… Eccolo, l’alfabeto di Covid-19. Il linguaggio virale che, una sigla dopo l’altra, in due anni di girotondo intorno al pianeta sta accumulando una variante via l’altra. Non tutte pericolose, anzi, la maggior parte dei trasformismi del coronavirus sono innocui. Ma nella sua danza evolutiva per la sopravvivenza, ogni tanto emergono mutazioni che gli mettono il turbo.
Delta, nata in India, ha un «motore» così potenziato da potersi trasmettere in 5-10 secondi. Sarà l’ultimo asso nella manica del Sars-CoV-2, o è un assaggio di ciò che ci aspetta in futuro? Travestimenti biologici che inganneranno i vaccini e ci riporteranno ai tempi delle terapie intensive affollate di malati boccheggianti?
Prima della Delta, la variante Alfa (quella inglese) si era già distinta per la maggiore velocità di contagio rispetto al ceppo di Wuhan (bei tempi, a ripensarci); Beta (sudafricana) penetrava nelle fasce tra 10 e 30 anni; Gamma (brasiliana) ed Epsilon (californiana) facevano riammalare chi era già guarito. Lambda (Argentina, Cile, Ecuador, Texas e Sud Carolina) si è rivelata particolarmente infettiva.
Chi ci dice che Delta, che gonfia i numeri della pandemia – i casi mondiali hanno superato i 200 milioni – sia la fine della storia? Nel pentolone molecolare del virus, gli scienziati sanno che possono crearsi mutazioni in grado di garantirgli un vantaggio evolutivo decisivo. In tale prospettiva, il virus che circola potrebbe essere così diverso dal ceppo originario da aggirare del tutto gli anticorpi, che siano indotti dalla guarigione o dai vaccini, e riportarci al punto di partenza. Tra queste varianti potrebbe nascondersi il futuro Big One, scrive Newsweek. «Potrebbe estendere il suo attacco dai polmoni ad altri organi come cervello o cuore; o agire come l’Hiv, restare latente per anni per poi far riammalare».
«La prossima mutazione» ha detto al settimanale americano Michael Osterholm, epidemiologo dell’Università del Minnesota «potrebbe essere la Delta con gli steroidi». Timori forse eccessivi. Per ora Delta è sì più contagiosa ma non più letale. Di sicuro, la pandemia planetaria è diventata un formidabile laboratorio dove gli scienziati hanno l’occasione di seguire in diretta le strategie di sopravvivenza di un virus che resta, in gran parte, ancora poco conosciuto.
Di tutte le varianti, Delta a parte (che ha sbaragliato la concorrenza), la Mu pare la più preoccupante, come racconta Francesco Broccolo, virologo e docente di Microbiologia clinica all’Università Milano Bicocca e direttore del Laboratorio di analisi Cerba. «Ha una velocità di trasmissione analoga alla Delta, ed è potenziata da altre mutazioni che potrebbero, in teoria, consentirle maggiore resistenza agli anticorpi neutralizzanti. Si è già diffusa in molti paesi senza sostituire per ora la Delta, tranne che in Colombia. Ma non è detto che resti confinata». Per esempio, sta facendosi largo in Perù, con appena il 32 per cento della popolazione vaccinata due dosi. Ecco, a proposito di vaccini. Una delle argomentazioni care ai no vax è che sarebbero proprio questi a selezionare le varianti: costituendo un ostacolo alla diffusione del virus, lo spingerebbero a escogitare mutazioni in grado di farsi beffe dell’immunità.
Vero? Potenzialmente sì, la pressione selettiva esercitata dai vaccini induce il microrganismo a trovare una via d’uscita. «Ma tutte le varianti finora note sono emerse in setting prevaccinali, tra dicembre e gennaio» aggiunge il virologo, «ossia quando queste terapie ancora non erano distribuite, come per la variante inglese, o dove le campagne di immunizzazione non erano state avviate, oppure erano basse e c’erano assembramenti pazzeschi, come in India». Stessa cosa per Sudafrica, Brasile, California. E anche l’insidiosa Mu ha iniziato a correre in Colombia quando i vaccinati erano pochi (a oggi, solo il 36 per cento della popolazione ha ricevuto la doppia dose).
Al momento, quello che sta facendo il virus non è cercare di sfuggire agli anticorpi bensì correre più veloce, trasmettendosi con particolare abilità negli aerosol. «Il virus presenta mutazioni spontanee e casuali per viaggiare più rapidamente» spiega Broccolo. «Oggi però non esiste una sola mutazione indotta dai vaccini». Secondo Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, ordinario di Microbiologia clinica all’Università di Brescia e direttore Lab. microbiologia dell’Asst Spedali Civili Brescia, l’unica variante fonte di preoccupazione è la Delta, «che rappresenta quasi il 100 per cento del virus circolante nel mondo. Le altre sono oggetto di monitoraggio. Per il futuro è importante non ne emergano di più aggressive, ma ritengo che ciò che il virus ha potuto mettere in atto, in un periodo dove non era contrastato da farmaci o vaccini, lo ha fatto. Non è escluso, ma è difficile che vada oltre la Delta come diffusività e aggressività».
Quello che potrebbe accadere, è che il virus, di fronte ad ampie percentuali di popolazione vaccinata, modifichi le sue strategie: che inizino cioè a selezionarsi varianti mirate non tanto a velocizzare la trasmissione, quanto a superare l’ostacolo dell’immunità creata dai vaccini. La cosiddetta «fuga dagli anticorpi».
«In futuro, per sfuggire alla risposta anticorpale il virus dovrà mettere in atto mutazioni importanti nelle sue proteine, ma saranno varianti meno diffusive e meno aggressive» afferma Caruso. «Questo perchè le nuove mutazioni per renderlo resistente ai vaccini gli faranno perdere forza e diffusione: saranno una sorta di ulteriore “peso” addosso, il virus dovrà quindi involversi».
In altre parole, per ottenere la resistenza ai vaccini dovrà rinunciare a qualcosa, in questo caso alla sua maggiore capacità di diffusione. Non potrà fare ciò che faceva prima, ma dovrà arrivare a un compromesso nell’organismo del suo ospite. È successo così con altri coronavirus del passato, o per l’influenza spagnola: via via che la popolazione mondiale si immunizzava (al prezzo di 50-100 milioni di morti) il virus si modificava perdendo quella fitness – il termine scientifico – che lo faceva circolare così velocemente.
Una delle incognite è se il Sars-CoV-2 potrà trasmettersi dall’uomo a un animale e «rimbalzare» a noi mutato in una forma più pericolosa. «Il coronavirus è un patogeno complesso. Non muta in maniera incredibile come fa l’Hiv, è abbastanza stabile. Ma si trasforma in modo importante nelle aree di suo interesse, e una singola mutazione nelle proteine può cambiare la storia dell’infezione, passando per esempio dall’uomo al cane, al gatto o al visone» riflette Caruso.
Oggi Pfizer e Moderna stanno lavorando a una riformulazione del loro vaccino contro la Delta, così come la cinese Clover (con un antidoto non a mRna, bensì basato su proteine ricombinanti, tecnica più tradizionale). Pur essendo un processo abbastanza veloce, soprattutto nel caso della tecnologia a Rna, non è esattamente dietro l’angolo: vero che sono necessarie poche settimane per realizzarlo, ma servono poi i trial clinici, che non possono essere bruciati, e sei mesi per metterlo nelle fiale e distribuirlo. A essere ottimisti, circa 10 mesi.
«Rincorrere il virus non è l’idea vincente e non deve darci troppa sicurezza» avverte Broccolo. «Meglio sarebbe iniziare a produrre altri tipi di vaccini che hanno come primo obiettivo quello di indurre l’immunità locale nella mucosa respiratoria, sotto forma di spray. Ne esistono già per l’influenza, andranno sviluppati anche per il Covid, bloccando le porte d’ingresso del virus che così non entra. Per ora sono iniziati i trial clinici su animali, se arrivassero per tempo potranno sostituire quelli attuali».
In attesa di terapie di ultima generazione, ci aspetta il terzo richiamo, che aumenta di circa 40 volte la protezione contro la Delta rispetto alla seconda dose. «Ricordiamoci che le mutazioni insorgono se il virus si replica molto, ed è indiscutibile che circoli meno nei vaccinati» ricorda Caruso.
Ce ne liberemo mai? Sì, se l’unico serbatoio virale, come si diceva, è l’uomo. Se l’ospite preferito del Sars-CoV-2 restiamo noi, e non prende «passaggi» da altre specie animali, forse (con vaccini, anticorpi monoclonali, antivirali mirati) riusciremo a farlo diventare una pandemia, per quanto formidabile, del nostro passato. n
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