Dopo la rinuncia da parte del Vaticano all’estradizione di Cecilia Marogna, una figura-chiave nel caso Becciu, emergono
altri interrogativi dietro le Porte sante: su un miliardo e mezzo di euro finito in Australia, sul ruolo del potente Edgar Peña Parra, sul Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin messo da parte per una lettera di troppo…
Sta scritto: non dire falsa testimonianza. È l’ottavo comandamento, ma pare che in Vaticano non tutti lo seguano. Si riapre un fascicolo che pareva dormiente dopo il clamore iniziale. È il famoso e fumoso caso Becciu, il cardinale Angelo «decardinalizzato» motu proprio dal Papa. Solo che per Bergoglio ora rischia di diventare un boomerang. Perché c’è la variante di Cecilia Marogna in più… È l’ultimo di tanti scandali che hanno scosso il Vaticano da monsignor Paul Marcinkus in poi, con epicentro lo Ior: Istituto opere di religione. Chissà se qualcuno si ricorda del vecchio Banco Ambrosiano con tanto di suicidato Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati neri guarda caso a Londra, che è una costante così come lo sono gli appetiti immobiliari nelle vicende affaristiche in nome del Signore.
Dello Ior si parla molto in queste settimane. Il presidente del tribunale di Sua Santità, Giuseppe Pignatone, già procuratore capo di Roma, che oggi ha come suo inquirente – si chiama promotore di giustizia – un suo acerrimo avversario ai tempi di Mafia capitale, l’avvocato Alessandro Diddi (già difensore di Salvatore Buzzi, l’uomo che trafficava in migranti così cari al cuore del Papa), ha comminato tre condanne pesantissime: Angelo Caloia, professore d’economia dominus della finanza cattolica e presidente dello Ior fino al 2009, ha avuto otto anni e 11 mesi, stessa pena per l’avvocato Gabriele Liuzzo, mentre il figlio di questi, Lamberto Liuzzo, se l’è cavata con cinque anni e due mesi. Le accuse andavano dal riciclaggio all’appropriazione indebita.
Perché dare tanto risalto sulla stampa cattolica a questa pronuncia per fatti antichi? Per accreditare che lo Ior è la banca che Francesco ha moralizzato, quella da cui sono partite anche le denunce del caso Becciu. Lo Ior – presidente Jean-Baptiste de Franssu, direttore generale Gian Franco Mammì – è l’unica struttura finanziaria del Vaticano sottoposta alla verifica di Moneyval (l’anti-riciclaggio europeo) e deve apparire come una casa di vetro. Ma svuotata di soldi. L’accentramento delle finanze vaticane nell’Apsa (presieduta da monsignor Nunzio Galantino che d’economia capisce il giusto) sotto il controllo del gesuita Juan Antonio Guerrero Alves a sua volta controllato dal cardinale tedesco Reinhard Marx – il ventriloquo di Bergoglio – serve anche a togliere possibilità d’intervento allo Ior mettendo in vetrina una finanza rigorosa e pulita. Ma è un intervento postumo rispetto al caso Becciu che torna d’attualità grazie alla presunta «femme fatale» di questa vicenda: Cecilia Marogna, appunto.
Andiamo per ordine. A fine settembre scorso il cardinale Angelo Becciu, già sostituto alla segreteria di Stato, viene convocato dal Papa che come è suo costume lo degrada. Le accuse? Ha usato fondi dell’Obolo di San Pietro per favorire i fratelli dirottandoli alla diocesi di Ozieri, in Sardegna. Col passare dei giorni a Becciu viene contestato l’acquisto incauto di un palazzo a Londra in Sloane Avenue su cui si sono buttati a pesce degli affaristi: Giovanni Mincione e Gianlugi Torzi (festeggerà il Santo Stefano 2018 a casa del Papa a Santa Marta) finiti sotto inchiesta vaticana con monsignori e funzionari. Uno di questi è monsignor Alberto Perlasca che si pente e accusa Becciu, di cui è stato stretto collaboratore, di ogni nefandezza: ha spedito soldi in Australia per corrompere i testi d’accusa contro George Pell, il cardinale che doveva moralizzare le finanze papali arrestato per abusi sessuali e poi rilasciato con tante scuse, ha trafficato con petrolio e fondi opachi.
Arriva il coup de théâtre: entra in scena Cecilia Marogna, una sarda come Becciu, quasi avvenente, che si diverte a giocare alle spie. Dicono abbia ricevuto da Becciu mezzo milione e l’abbia speso in borsette e beni di lusso. Becciu spiega: con la Marogna solo rapporti ufficiali, ma il crucifige si leva alto. La giustizia vaticana, implacabile, chiede l’arresto della donna per peculato. La fermano a Milano e finisce a San Vittore per due settimane. La Cassazione annulla l’arresto. Pignatone chiede l’estradizione, ma il 18 gennaio scorso in Corte d’Appello a Milano il Vaticano – smentendosi – ha chiesto che fosse dichiarato il «non luogo a provvedere» e Marogna è tornata libera.
Chi si occupa di cose di giustizia sa che di solito la mossa di rinunciare al pronunciamento la fanno i difensori se temono che il giudice dia loro torto, non si è mai visto che lo faccia uno Stato sovrano. Dalle parti del Vaticano dicono che le accuse sono così ben radicate che Marogna non sfuggirà alla giustizia terrena prima di quella divina. E fanno sapere che anche per il cardinale Becciu sono pronte accuse. In realtà mai arrivate. E allora viene spontanea una domanda: non sarà che hanno rinunciato all’estradizione di Marogna per evitare un eccesso di clamore e perché l’inchiesta si sfarina? Ma la detenzione ingiusta della signora chi la paga? L’Italia o la Santa Sede?
Nel frattempo è spuntata una lettera – trovata da Emiliano Fittipaldi che lo ha reso noto sul quotidiano Domani – in cui il Segretario di Stato Pietro Parolin il 19 marzo di un anno fa dice che «il palazzo di Londra è un buon affare». Becciu non era più da due anni sostituto alla Segreteria di Stato. Parolin al direttore generale dello Ior raccomanda: «Dateci 150 milioni che ci servono per chiudere la partita». Gian Franco Mammì acconsente, poi ci ripensa, e il 2 luglio denuncia l’affare di Londra e parte l’inchiesta. Ma a condurre le trattive con Mincione e Torzi non è stato Becciu bensì il suo successore: quell’arcivescovo Edgar Peña Parra – inseguito da dossier su presunti abusi sessuali – che è nel cuore del Papa. È proprio una richiesta anomala di soldi che fa Peña Parra (i milioni che andavano versati a Torzi per liberare il palazzo di Londra) a indurre Mammì alla denuncia.
Eppure al sostituto per gli Affari generali nessuno ha chiesto nulla. Ma c’è dell’altro. Monsignor Luigi Carlino, segretario particolare di Becciu, anche lui inquisito, ha rilasciato agli inquirenti una memoria in cui sostiene che il Papa sapeva tutto ed era sempre informato sull’affare londinese. Non bastasse, ecco un altro capitolo. I soldi australiani. Si è detto che Becciu – obiettivo: danneggiare Pell – ha spedito 700.000 euro in Australia per corrompere gli accusatori del cardinale suo rivale. Ora però viene fuori che i soldi mandati in Australia sono tanti di più. La senatrice di origini italiane Concetta Fierravanti-Wells in un’interrogazione al governo di Canberra ha chiesto di chiarire tali operazioni sospette. Sarebbero 2,3 miliardi di dollari australiani (circa 1,5 miliardi di euro) trasferiti dal 2014 al 2020 in circa 400.000 operazioni dal Vaticano all’Australia.
The Australian, il maggior quotidiano degli antipodi, ha chiesto spiegazioni alla Santa sede. Risposta: il silenzio. Si sa che i soldi sono partiti dal Vaticano e giunti in Australia, ma non si sa né chi li spediti, né a chi, né da quali fondi sono stati prelevati. Nel frattempo il Papa ha tolto a Parolin il controllo finanziario e lo ha spostato dallo Ior all’Apsa; anche l’Obolo di San Pietro non è più nella disponibilità di Parolin o dei suoi sostituti, ma è finito nella Commissione materie riservate comandata dal cardinale Kevin Farrell – già intimo di quel Theodore McCarrick ridotto non senza qualche titubanza da Bergoglio allo stato laicale dopo una vita di abusi sessuali – nella quale nessuno può mettere bocca.
E c’è la stranezza che Peña Parra, le cui mosse hanno indotto Mammì a denunciare tutto al promotore di giustizia Diddi aprendo lo scandalo di Sloane Avenue, viene cooptato, lui che della Segreteria di Stato è il numero due, nella neocostituita ed esclusiva Commissione di passaggio e controllo dove siedono il presidente dell’Apsa Nunzio Galantino e il plenipotenziario delle finanze Guerrero Alves. Grandi manovre per fare chiarezza? Resta il fatto che Marogna non sarà estradata, che su Becciu per ora – lo giurano i suoi difensori – non c’è uno straccio d’accusa formalizzata, che nel frattempo Parolin è stato «diseredato» e che lo Ior ha perso gran parte dei suoi fondi. Sta scritto: non dire falsa testimonianza. La saggezza popolare aggiunge: si dice il peccato, ma non il peccatore e in Vaticano di saggezza ce n’è fin troppa.
