Sono la prima linea contro la pandemia. hanno uno stipendio che arriva a malapena a 1.500 euro al mese, affrontano un carico di lavoro micidiale e un pericolo elevato di contagio covid. ma rispetto all’inizio dell’emergenza i problemi restano irrisolti.
Celebrati sì come eroi. Ma lo stipendio resta quello di sempre, cioè tra i più bassi in Europa. Tocca a malapena i 1.500 euro mensili, almeno 200 euro meno rispetto ai colleghi francesi e 400 in confronto agli spagnoli, per non dire della Germania (dove guadagnano oltre i 2 mila euro), gli infermieri italiani sono di nuovo sotto pressione. Senza cambiamenti in busta paga.
Nel periodo di emergenza, in primavera, ai più fortunati sono arrivati mille euro di bonus una tantum, stabilito su base regionale. A questa frustrazione si aggiunge il conteggio delle vittime nella loro categoria. «I decessi in Italia, dalla rilevazione dagli ordini provinciali, risultano essere di 42 infermieri, di cui 34 con malattia Covid-19 (positività al tampone), 4 con malattia Covid-correlata (per i quali la patologia virale è stato un fattore favorente) e 4 infermieri (comunque positivi), per i quali la modalità di morte è stata il suicidio» elenca drammaticamente la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).
Inoltre, secondo il report Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), gli infermieri positivi al virus sono circa 16.500: il 48 per cento del totale dei contagi relativi agli operatori sanitari, compresi medici e Oss.
«Conviviamo con il timore di infettarci, ma la preoccupazione non è tanto per noi. C’è il Covid, incrociamo le dita. La vera paura è per quello che portiamo a casa» si sfoga con Panorama un’infermiera impegnata in Campania, che chiede di restare anonima perché parlare con la stampa può diventare uno stigma. E c’è una preoccupazione aggiuntiva: «Ogni giorno qualcuno tra noi risulta positivo. Stiamo andando avanti a fare tamponi al personale di giorno in giorno. E poi la sanità è tutta bloccata. Nessuno più sembra avere diritto alla salute» aggiunge.
Emerge, soprattutto, uno dei problemi più pressanti: la carenza di organico. Certo, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha esultato per il rinnovo dei contratti a tempo determinato, previsto nella legge di Bilancio. Ma non basta. La proiezione della Fnopi parla di un vuoto di 63 mila infermieri nel 2023: senza un cambio di rotta, i pensionamenti saranno nettamente superiori alle assunzioni.
Secondo una stima del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche, con l’aumento – annunciato dall’esecutivo – delle terapie intensive servono circa 17 mila infermieri in più. «Se devi aprire le intensive, servono infermieri. Le proroghe dei contratti a tempo determinato di sei mesi non sono sufficienti. Molti lavoratori non sono per niente attratti da questa prospettiva» sottolinea Andrea Bottega, segretario di Nursind.
Quello che sta avvenendo, dunque, è solo lo spostamento di personale. «Alcuni infermieri colgono l’occasione per tornare a casa, magari spostandosi dal Nord al Sud. Nel frattempo al Nord si provvede da realtà private, soprattutto dalle Rsa. Così si sguarniscono strutture importanti, visto quello che è successo in primavera» evidenzia Bottega.
In più, si corre il rischio di un sovraccarico di lavoro in corsia e di incremento della mortalità dei malati. Uno studio francese ha analizzato le unità di terapia intensiva, come riporta un dossier della Fnopi. Conclusione: «Sotto la soglia di due infermieri ogni cinque pazienti e di un medico ogni 14 pazienti (in sostanza qui il rapporto è di cinque-sei infermieri per medico), si assiste a un aumento significativo del rischio di mortalità».
Intanto negli ospedali aumenta la preoccupazione. «Dopo numerosi turni, in primavera mi sono ammalata di Covid. Sono rientrata al lavoro, anche se non stavo benissimo» dice a Panorama Renata Tommasi, infermiera di Piacenza. «E ancora adesso, dopo vari mesi, non mi sento ancora in forma. Faccio fatica a tenere la mascherina a causa della polmonite. E di fronte al nuovo aumento dei contagi iniziamo tutti ad avere paura».
In questo scenario, anche il ruolo dell’«infermiere di comunità», finanziato dal decreto Rilancio, rischia di essere un boomerang. L’idea è avere un professionista di riferimento per rafforzare l’assistenza territoriale, e il governo ha previsto l’assunzione di 9.658 infermieri. Tutto bene? Non proprio: per un servizio efficiente ne occorrerebbero in 21 mila, 12 mila in più rispetto a quanto previsto.
Un quadro sconfortante. Almeno il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, ci ha messo la faccia, presenziando alla manifestazione organizzata a Roma, di fronte alla Camera. Il numero due di Speranza ha garantito uno sforzo per rispondere alle esigenze degli infermieri. «Un impegno che è come una porta blindata» ha scandito Sileri in piazza. Anche se l’unica blindatura, ora, è quella «h24» degli infermieri, in lotta quotidana nei reparti contro il coronavirus.