In Italia, circa sette badanti su 10 sono straniere. Molte di loro arrivano da Paesi europei dove la diffidenza verso l’immunizzazione anti-Covid è forte e i tassi di protezione ancora bassi. Se in tante perdono l’impiego, ce ne sono altre che scelgono di farsi pagare in nero e a giornata. Ma non sempre si fanno tamponi o indossano mascherine. Lo stesso avviene nel settore edile, dove operai rumeni o bulgari si scambiano il Green pass.
Oggi Emma ha 56 anni. Ne aveva poco più di 30 quando è arrivata in Italia da un paesino alle porte di Bucarest. Per un lustro ha lavorato come badante a casa di un commercialista di Pistoia. «Praticamente facevo tutto: la baby sitter quando i due figli erano piccoli, rassettavo casa, mi occupavo anche di pulire due alloggi che la famiglia affittava come b&b». Dopo il primo lockdown e con tutte le accortezze del caso, Emma è subito tornata a occuparsi delle faccende domestiche. «Ed è stato un sollievo anche per i padroni di casa: ormai ero come una zia acquisita» racconta. C’è una cosa, però, che non poteva essere scalfita anche da tanti anni di affetto e lavoro regolare: il vaccino.
Emma è una convinta no-vax: «Per carità: seguo tutte le regole tra mascherina e gel, ma non ho intenzione di farmi vaccinare». Una convinzione talmente cementata da spingerla, una volta messa di fronte alle richieste della famiglia, a rinunciare al lavoro. E non è l’unica. «Possiamo stimare» spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico) «un 5% di lavoratori domestici in regola che, a seguito dell’introduzione del Green pass, hanno perso il lavoro e sono stati sostituiti da lavoratrici in possesso della certificazione. Se prendiamo come riferimento i lavoratori regolari nel 2020 (dati Inps: 921.000, ndr) sono circa 45.000, sostituiti da lavoratori vaccinati».
La fetta di un mondo – quello dei lavoratori domestici – ben più ampio e frastagliato di quello che da un primo approccio possa apparire. Con un minimo comune denominatore: molti non sono vaccinati né hanno intenzione di esserlo. Spesso» ragiona Gasparrini «è la paura del vaccino e la poca informazione fatta nei Paesi di origine la ragione di tale situazione. Circa il 70% dei lavoratori domestici è straniero, con larga maggioranza degli Stati dell’Est Europa, dove il tasso di vaccinazione è ancora molto basso».
Non è difficile trovare d’altronde nelle manifestazioni anti Green pass persone che sventolano bandiere della Romania. Nazione che maggiormente contribuisce nel nostro Paese al settore domestico, così come a quello edile. E proprio durante un sit-in a Torino incontriamo Silvia: a differenza di Emma lei ha perso non solo l’impiego, ma anche l’alloggio. «Ho un figlio piccolo, ma non voglio assolutamente vaccinare né me né lui. Purtroppo la famiglia dove sono stata per quasi tre anni è stata categorica: o avevo il Green pass oppure dovevo andare via. Ho anche provato a convincerli con la possibilità di un pagamento a nero, o dei tamponi ogni 48 ore, ma non c’è stato verso di far loro cambiare idea».
In questo modo, l’unica soluzione per tante donne e uomini pare proprio quella di cercare l’assunzione tra chi non si faccia troppe domande, paghi magari alla giornata e rigorosamente cash. La stima d’altronde resta preoccupante: attualmente, sempre secondo i dati Domina comunicati a Panorama, sono circa il 25% le lavoratrici senza Green pass, per la maggioranza non vaccinate. Non solo: «A circa un quarto di queste sono stati somministrati farmaci attualmente non riconosciuti dall’Ema come lo Sputnik o il Sinovac».
Parliamo, cioè, di circa 250.000 persone che si aggiungono alla valanga di quelle che già lavorano in nero (grosso modo un milione) e di cui ovviamente poco si può dire sull’eventualità che abbiano ricevuto il vaccino. Secondo una stima veritiera è plausibile che ancora siano oltre 500.000 i lavoratori dietro le mura domestiche non vaccinati.
Tra di loro c’è Ramona, giovane donna di 26 anni con due figli a carico. Il marito, Boris, è un carpentiere. Vivono a Bologna da sei anni, da quando la coppia decise di trasferirsi in Italia dall’Albania per offrire un futuro migliore ai propri bambini. A darle sin da subito lavoro un architetto affermato in città.
«Abbiamo parlato a lungo» racconta Ramona «e alla fine si sono fidati: né io né mio marito abbiamo fatto la puntura. Però il mio datore mi ha tenuto, ormai di me si fida, vado sia a casa sua che nel suo studio, come facevo anche prima della pandemia». E la mascherina? «La indosso sempre. Certo, quando tutti sono via da casa o ancora nessuno arriva allo studio, la tolgo. Altrimenti soffoco…». Ci sarebbe il Green pass che dovrebbe garantire l’impossibilità di contagiare ma, dice ancora Ramona, «dato che lavoro sempre in luoghi privati, chi potrebbe chiedermelo? L’ho fatto le prime volte, ma alla fine 15 euro ogni due giorni sono tanti, e ora ne faccio volentieri a meno».
Nel mondo sommerso dei no vax dell’Est ci sono anche situazioni al limite e potenzialmente pericolose. Alcune badanti, infatti, continuano ad accudire persone anziane nonostante la loro ferrea opposizione al vaccino. È ancora Ramona a raccontarci un episodio: «Una mia amica la pensa come me sul Covid e non vuole farsi mettere nulla nel braccio. Accudisce un signore anziano da prima della pandemia. I figli le hanno chiesto se avesse il Green pass, lei ha risposto di sì poiché aveva appena fatto il tampone dopo le vacanze estive. Poi nessuno le ha domandato più nulla e lei continua ad andare dal signore. Certo, sta attenta, ma il vaccino non se lo fa».
Nel settore domestico di controlli, a quanto pare, neanche l’ombra. Diverso il discorso per carpentieri e muratori, anche loro per una vasta maggioranza provenienti dall’Est, che non ne vogliono sapere di farsi inoculare alcunché. Incontriamo un gruppetto di loro fuori da una farmacia a Prato. «Siamo qui per il Green pass. Lo dobbiamo fare per forza se vogliamo entrare nel cantiere…». La spesa economica è però enorme: «La validità è di 48 ore e alla fine del mese spendiamo quasi 200 euro per farci infilare un cotton fioc nel naso» spiega sarcastico uno di loro.
Un budget impegnativo, considerato lo stipendio medio di un edile. Non a caso, molti stanno già provando ad andare via. Come Luka, che ha solo 23 anni: «Io non vivo sempre in Italia. Arrivo quando ci sono cantieri e poi riparto per la Romania. Con quello che guadagno a casa vivo bene. Per come si stanno mettendo qui le cose, però, ho deciso di cambiare. Non voglio essere ricattato per lavorare, e se poi mettessero il Green pass da tampone attivo per solo 24 ore in tasca non mi resterebbe niente. Fortunatamente ho trovato un nuovo lavoro in Francia. Parto la prossima settimana: lì a Parigi sono molto rigidi, ma non ci sono obblighi per accedere ai cantieri».
C’è però un’altra alternativa, conferma ancora Luka: «Fra noi operai spesso ci passiamo il Green pass. Basta farlo a turno, tanto nessuno controlla che il nome e cognome coincidano con quello del documento. Però, alla fine si è sempre sotto un possibile scacco, e un tampone alla settimana tocca farlo. Per questo, anche se non ci sono controlli, preferisco andare in un posto in cui non rischio niente. Visto che non ho intenzione di vaccinarmi, preferisco cambiare aria».