​Proteste durante le elezioni nigeriane svoltesi a fine febbraio
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Inchieste

Nigeria, dal voto alla fuga

Il più popoloso Stato africano ha eletto un nuovo presidente. Ma i suoi problemi - disoccupazione, povertà, corruzione, minaccia terroristica, sfruttamento iniquo delle immense risorse petrolifere - pongono drammatiche ipoteche su un reale cambiamento. E la conseguenza di tutto questo è che l’immigrazione coinvolge direttamente anche l’Italia.

Ci saranno molte altre Cutro, la spiaggia calabrese diventata tragicamente famosa perché vi hanno trovato la morte quasi 70 migranti. Se accadrà, è perché ci si ricorda dell’Africa solo a tragedie consumate. Intanto la Nigeria - il Paese potenzialmente più ricco del continente perché galleggia su un mare di petrolio, ma che è una vera bomba demografica dove si muore affogati nella miseria - ha eletto il suo nuovo presidente.

Soprannominato «il Padrino» per le capacità di tessere fitte reti di interessi, Bola Tinubu ha 70 anni. È stato governatore dello Stato di Lagos, l’area più ricca della federazione nigeriana, soprattutto è il continuatore della politica di quel padre-padrone che è stato fino a oggi Muhammadu Buhari. Viene da pensare che non ci sarebbe stato bisogno di elezioni: si tratta di un passaggio di potere che lascia nelle mani del partito Congresso di tutti i Progressisti la Nigeria, dove corruzione, fame e disoccupazione, violenza islamista e organizzazioni mafiose fanno impallidire l’enorme vantaggio economico del petrolio.

E proprio questa mafia usa l’emigrazione come una pistola puntata alla tempia dell’Europa. Che per ora si volta dall’altra parte inconsapevole che da qui a 20 anni la popolazione di questo «gigante fragile» sarà raddoppiata, e un bambino su 13 nel mondo sarà nigeriano. Senza cibo e futuro - e l’esito elettorale purtroppo è un nefasto presagio - partiranno imbarcati dai «culti» (si chiamano così le cosche africane), che organizzano la tratta di esseri umani e in tal modo ricattano l’Occidente, aprendo e chiudendo il rubinetto della diaspora.

Alle «presidenziali» trascurate dall’Europa hanno avuto diritto di scelta ben 87 milioni di votanti. Avrebbero diritto anche a vivere, ma qui, dove il 70 per cento dei circa 230 milioni di nigeriani ha meno di 30 anni, c’è chi sopravvive con neanche 2 euro al giorno. Sono 80 milioni le persone in povertà assoluta, con la disoccupazione al 40 per cento e un’inflazione ufficialmente al 22 per cento, ma che in realtà è il doppio. Per arginarla l’ex generale golpista Buhari, l’islamico che ha governato per otto anni portando il Paese allo stremo e non era più eleggibile, ha tentato un colpo da illusionista: ha cambiato la moneta. Ora circola, anzi dovrebbe circolare, il Nuovo Naira. Non ne hanno stampato abbastanza e mezza Nigeria non ha valuta. Soprattutto nelle zone rurali (il 90 per cento delle transazioni è in contanti e le banche distribuiscono meno di 1.000 Naira, cioè due euro e mezzo, al giorno) nessuno compra o vende più nulla e si è tornati al baratto.

Pur essendo una nazione dalle sterminate riserve petrolifere - stimate in 37 mila miliardi di barili - non ci sono a sufficienza né benzina né energia elettrica: intere regioni sono isolate e il clima è da rivolta come è già successo a Benin City, la capitale dello Stato di Edo, dove è in corso di fatto una guerra civile. Durante la campagna elettorale - si sono scelti anche 109 membri del Senato e i 360 membri della Camera dei rappresentanti - si sono verificati 179 attacchi terroristici organizzati da Boko Haram, il gruppo armato islamico che controlla tutto il Nord. I jihadisti hanno impedito che si facessero votare i nigeriani all’estero (sono 40 milioni) consapevoli che potevano condizionare i risultati scalzando dal potere il Congresso di tutti i Progressisti, già venuto a patti con i terroristi e la mafia. A dividere ulteriormente il Paese c’è la rivolta nell’ex Biafra, capeggiata dall’Ipob, il gruppo separatista che controlla il Sud-Est.

Da oltre un anno si spara in Ucraina per la difesa dei valori della libertà, però nessuno ha pensato di aiutare l’incerta democrazia africana. Eppure da quel mondo l’Occidente attinge miliardi sotto forma di risorse energetiche. Solo l’Eni, che ha una presenza cinquantennale nel Delta del Niger dove si concentra l’80 per cento dei pozzi, ha lanciato segnali per dire: la Nigeria può svoltare, può superare la crisi, può tornare a crescere. La Nigeria è una risorsa. Qui, la nostra compagnia petrolifera ha una prospettiva di trent’anni di operatività in accordo con la società di Stato Nnpc e la Phillips oil company ed è ancora aperto un contenzioso da 2,5 miliardi di dollari investiti in compartecipazione con Shell per una licenza offshore.

Il «gigante fragile» ci riguarda direttamente anche per un altro motivo. La criminalità nigeriana ha scelto l’Italia come base operativa. La spia rossa si accese nel 2008, quando sei africani vennero uccisi dalla camorra a Castel Volturno. La città nel Casertano venne sconvolta dalla rivolta; da allora è in mano alla mafia nera che lì organizza lo spaccio di droga, prostituzione, si dice anche traffico di organi. Basta rileggere la biografia di Innocent Oseghale. Ha stuprato, ucciso, fatto in 24 pezzi Pamela Mastropietro, appena 18 anni. È arrivato in Italia con un barcone a Lampedusa, dirottato a Castel Volturno è stato «addestrato». Inserito in un programma Sprar, è giunto a Macerata, dove ha organizzato prostituzione e spaccio di droga nell’area adriatica mentre era «ospite» del programma di accoglienza. Alla fine ha compiuto un omicidio raccapricciante. La Dia, la Direzione investigativa antimafia, non lascia dubbi quando scrive: «Gli interessi criminali delle consorterie nigeriane si concentrano sulla tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso a cui si associa un progressivo sviluppo nel settore del narcotraffico».

Si sa che i «culti» hanno stretto accordi con camorra, ’ndrangheta e cosa nostra per offrire manovalanza criminale, anche se hanno cominciato a infiltrare l’economia legale soprattutto nell’immobiliare. Ce ne sarebbe quindi abbastanza per considerare urgente ciò che accade ad Abuja, la capitale «artificiale» di questa terra immensa, meravigliosa quanto dannata. Anche perché i nigeriani regolari che lavorano e danno un forte contributo all’economia italiana sono il terzo gruppo etnico extra-Ue. Sono 120 mila, i bambini 24 mila (quasi il 4 per cento di quelli non comunitari presenti in Italia) e un terzo (circa 300) dei matrimoni misti è con donne o uomini nigeriani. Se si vuole una vera integrazione è indispensabile dialogare con lo Stato africano. Che cerca una faticosissima transizione verso la pace tra etnie, verso la libertà di religione, la legalità e la democrazia.

Le elezioni infatti si sono svolte non senza violenze, non senza la compravendita abituale di voti, non senza il fallimento del sistema elettronico di trasmissione dei dati e riconoscimento dei votanti. Tirando le somme, il «padrino» Tinubu ha vinto con appena 8,8 milioni di consensi (il 10 per cento dei votanti). Ha sconfitto il musulmano Atiku Abubakar, che ha più di 75 anni ed è esponente del gruppo Hausa, e il cattolico Peter Obi, 61 anni, laburista ed espressione dell’etnia Igbo, che avrebbe dovuto essere «l’uomo nuovo». I risultati arrivati con difficoltà e diffusi con estremo ritardo certificano che Tinubu ha ottenuto anche il 25 per cento dei voti in almeno 25 su 36 Stati, come vuole la legge. Ma i conti non tornano e le opposizioni parlano di massicci brogli. Chukwuemeka Ezeife, ex governatore dello Stato di Anambra ha chiesto uno sforzo di unità nazionale: «Il governo ci sta spingendo a emigrare, ma tutti noi siamo Igbo, Hausa o Yoruba per caso, non per scelta».

Quelli che davvero vogliono svuotare la Nigeria sono di sicuro Boko Haram e la mafia. Il rischio di guerra civile alimentato dalla miseria è alto. La Banca mondiale prevede che il Paese perderà il 30 per cento del Pil entro il 2050; la totale dipendenza dal petrolio rende il gigante ancora più debole. L’Occidente dovrebbe produrre alternative per salvare il cuore dell’Africa. Ma nulla si muove. La bomba Nigeria è innescata; vedremo se ora, dopo le elezioni, esploderà. Nell’indifferenza dell’Europa che rischia di venir investita dall’onda d’urto.

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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