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Telegram al servizio degli ucraini è la rivincita di Pavel Durov contro Putin​

Proteggere milioni di utenti da una parte, rispettare i dettami del governo del proprio paese dall'altra. Dubbio amletico, sulla carta, che per Pavel Durov si è rivelata essere una scelta di campo naturale, perché il fondatore di Telegram non ha mai pensato di tradire il suo pubblico. Che fossero ucraini o russi, fa poca differenza, del resto il 35enne nato a San Pietroburgo ha forti legami con l'Ucraina, paese d'origine della madre. In queste settimane di invasione russa, l'applicazione fondata nel 2013 da Pavel e suo fratello Nikolai è diventata uno dei più importanti e utilizzati mezzi di comunicazione per entrambi gli schieramenti, così in molti si sono interrogati sull'atteggiamento tenuto dai Durov verso un conflitto che mette di fronte le loro due anime, in particolare se il servizio sarebbe rimasto un'opzione sicura per gli ucraini a caccia di aiuti e armi per resistere all'offensiva rivale.

Un dubbio che a quanto pare non ha mai sfiorato Pavel Durov, anche perché c'è un precedente a dimostrare il suo modo di fare e di relazionarsi con il potere. "Nel 2013 ero l'amministratore delegato di VKontakte (una sorta di Facebook russo che lui ha creato e che ancora oggi è il social media più diffuso in Russia, nda) e il servizio di sicurezza russo, l'FSB, mi ha chiesto di fornire loro i dati privati degli utenti ucraini che sulla piattaforma protestavano contro un presidente filorusso. Ho rifiutato le richieste, perché avrebbe significato tradire i nostri utenti ucraini. Per questo motivo sono stato licenziato dalla società che ho fondato e sono stato costretto a lasciare la Russia". Nel messaggio condiviso nei giorni scorsi su Telegram e Twitter, Durov resta fedele alla linea: "Sono passati molti anni da allora e sono cambiate molte cose: non vivo più in Russia e non ho più aziende e dipendenti lì. Ma una cosa rimane la stessa: io sto dalla parte dei nostri utenti, qualunque cosa accada. Il loro diritto alla privacy è sacro. Ora più che mai".

Trovato rifugio a Dubai, dove ha trasferito le sue attività, Durov sta consumando la sua rivincita personale contro Vladimir Putin, che l'ha costretto a disfarsi di VKontakte, passato sotto il controllo dell'oligarca Ališer Usmanov, e ha tentato più volte di bloccare Telegram (come nel 2018, con uno stop provvisorio seguito al rifiuto dell'azienda di decifrare messaggi contro il Cremlino scambiati dagli utenti). Scenario, quest'ultimo, che neanche il leader russo è riuscito a realizzare, per via della popolarità dell'app tra gli stessi cittadini russi. Con oltre 550 milioni di utenti mondiali, Telegram è da anni l'app di messaggistica più diffusa anche in Ucraina e, in questa fase, strumento utilizzato dalle forze d'attacco russe, nonché dalle agenzie governative di Mosca. Che in tal modo, però, contribuiscono ad ingrassare le casse di Telegram e del suo fondatore.

Punto di forza dell'applicazione sono le chat di gruppo e i canali aperti a tutti, che sulla scia dei social media consentono di ottenere un seguito enorme, tanto da far emergere Telegram come una fonte di informazione (o fake news, poiché la moderazione dei contenuti non è mai stata una priorità per i fratelli Durov). Ritenuta spesso un'app più sicura di WhatsApp, Telegram è in realtà indietro in questo ambito, poiché non applica di default la crittografia end-to-end a protezione delle comunicazioni, al contrario di WhatsApp e Signal. Ciò significa che milioni di utenti meno avvezzi al funzionamento del servizio, inviano e ricevono messaggi restando più esposti alle minacce informatiche, cioè ad eventuale attacchi di malintenzionati e al potenziale controllo dei contenuti da parte delle autorità.


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Alessio Caprodossi