Privacy o coronavirus: facciamo chiarezza
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Cyber Security

Privacy o coronavirus: facciamo chiarezza

La Rubrica Cybersecurity week

Credo che la notizia della settimana sia una dichiarazione. Riporto integralmente il lancio di agenzia AGI:

«Va bene aver chiuso fabbriche e uffici ma bisogna adottare il metodo coreano per rintracciare e isolare i positivi. Anche mappando gli spostamenti con il Gps dei cellulari» lo sostiene il direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, Gianni Rezza, in una intervista a La Stampa. E la privacy? «Lo scriva per favore, sono c..., siamo in guerra e bisogna rispondere con tutte le armi che abbiamo»

Quella «c» con tre puntini di sospensione sottende un termine molto diffuso nel linguaggio quotidiano e non lascia adito a dubbi. Si impongono a questo punto alcune premesse. Partiamo dal distinguo tra privacy e protezione dei dati personali.

La prima è un diritto alla riservatezza che da un lato dipende dalla personale volontà del singolo di non rivelare informazioni relative alla sua vita privata. Nessuna legge può impedire all'individuo di rendere noti i dettagli della sua esistenza, anche i più intimi. Viceversa si possono porre limiti all'intrusione di terzi nella vita del singolo al fine di scoprire i suddetti dettagli. Nel frangente stiamo parlando di un diritto fondamentale delle persona e ci sono Costituzioni (non ultima quella europea) e più in dettaglio leggi e disposizioni che regolamentano rigorosamente attività come le intercettazioni telefoniche e ambientali, i pedinamenti e via dicendo. La seconda riguarda quello che avviene dopo che un individuo ha rinunciato spontaneamente o per "cause di forza maggiore" alla sua privacy e sancisce alcuni diritti fondamentali. Giusto per citarne alcuni: i suoi dati non saranno utilizzati per finalità diverse da quelle per cui sono stati raccolti, l'interessato ha diritto di sapere quali dati vengono utilizzati ed essi dovranno essere il minimo necessario per perseguire la finalità di cui sopra, quando non saranno più necessari dovranno essere cancellati. Questi sono soltanto alcuni, ma credo di avere reso l'idea. La seconda premessa riguarda Gianni Rezza che in qualità di esperto di malattie infettive vanta un curriculum (lo potete trovare qui) di livello internazionale e personalmente non metterei in dubbio un suo parere sulla materia di cui ha competenze indiscutibili.

A questo punto vale la pena rassicurarlo rispetto ad alcune sue evidenti preoccupazioni su come la privacy o la protezione dei dati possano essere un ostacolo a quanto suggerisce. Esiste una direttiva comunitaria (la 2016/680 consultabile qui) recepita anche nel nostro paese con il Decreto Legislativo 18 maggio 2018, n. 51 (potete trovarlo qui) che, tra l'altro, per "la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica" fornisce a uno Stato la base giuridica per trattare qualsiasi dato dei suoi cittadini. A questo si aggiunge il parere positivo della nostra Autorità Garante che da sempre ha ben presente il bilanciamento dei diritti e riconosce come quello alla vita sia prevalente. Per quanto irrilevante, sottoscrivo sia la norma che il parere dell'Autorità.

Possiamo dunque affermare che Gianni Rezza ha ragione? Ovviamente no, perché affermare che quanto attiene alla privacy sono "c…" è a sua volta una cazzata.

La prima e fondamentale ragione è che non si può definire tale un diritto sancito da tutte le costituzione democratiche del mondo (mi riferisco alla privacy). La seconda attiene al diritto alla protezione dei dati che almeno all'interno dell'Unione Europea è tutelata da normative stringenti e per nulla casuali. Un cedimento su questo fronte ha dimostrato di produrre mostri. Cito, a puro titolo di esempio, il caso Cambridge Analytica che, con la complicità più o meno consapevole di Facebook, manipolava gli elettori, ma si potrebbe anche discutere della Cina e del suo controllo assoluto su alcuni diritti fondamentali dell'uomo che oltre alla protezione dei dati comprendono la libertà di opinione. Un paese di cui oggi si discute la veridicità dei dati comunicati sui decessi legati al Coronavirus e le cui autorità misero a tacere Li Wen Liang.

Questo medico per primo lanciò l'allarme e sembra fu scoperto perché avanzò questa ipotesi in una chat, inevitabilmente monitorata dalla polizia (oggi è un eroe nazionale, peccato che sia morto vittima del virus). Quindi il professor Rezza dovrebbe tenere ben presente che se oggi vive in un paese in cui può esprimere liberamente le sue opinioni il privilegio deriva da una serie di circostanze. Esistono un diritto alla privacy e alla libertà di pensiero e parola, costituzionalmente garantiti, un diritto alla protezione dei dati e alla sicurezza delle informazioni che tanti professionisti (anche io nel mio piccolo ruolo di esperto del settore) e autorità, come quella garante per la protezione dei dati, difendono quotidianamente. Chi si occupa di questo non si oppone oggi al prevalere del diritto alla vita, ma pensa al domani, perché, visto che probabilmente non ci estingueremo per il Coronavirus (ma rimetto la valutazione a chi ha le adeguate competenze), sarà importante ritrovarci con gli stessi diritti. Personalmente vorrei continuare a sentire il parere di tutti gli esperti, compreso il suo.

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Alessandro Curioni