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(Getty Images)
Tecnologia

La follia dell'energia nucleare che non vogliamo ma che compriamo dalla Francia

Continuiamo a importare energia prodotta da centrali nucleari francesi mentre in casa nostra dopo i proclami elettorali sul tema è tornato il silenzio

Se non capiamo la lezione sull’energia che ci ha dato la guerra russo-ucraina rimarremo sempre in una condizione di latente sudditanza energetica. I dati diffusi recentemente e relativi alla quantità di energia elettrica importata dalla Francia, un terzo del nostro fabbisogno che viene generato con le centrali nucleari, dovrebbe costituire un segnale importante e scatenare un provvedimento urgente nel Governo: la siccità sta svuotando i nostri bacini idrici e senza acqua le turbine dell’idroelettrico, molto diffuso nel nord del Paese, non possono funzionare. Ed è nel nord dell’Italia che c’è il maggiore numero di industrie energivore e la più alta densità abitativa.

Lo sappiamo ormai bene che il clima rappresenta la fregatura delle rinnovabili: senza sole i pannelli sonnecchiano, senza cascate non c’è energia cinetica da sfruttare e senza vento le pale si fermano. Soltanto nel mondo delle illustrazioni pubblicitarie tutto funziona sempre, è sempre disponibile e conviene anche dal punto di vista economico. Ma non è la realtà.

A questo punto, anche se politicamente scomodo e certamente impopolare, tocca prendere decisioni alla svelta affinché la nostra politica energetica cambi e anche su nostro territorio possano in un futuro neppure troppo lontano essere realizzati nuovi impianti. Anche se, lo sappiamo, pur cominciando oggi non sarebbero pronti prima di dieci anni. Perché poi la vera scommessa è questa: immaginare come sarà il mondo nel 2033, faccenda sulla quale abbiamo poche certezze geopolitiche ma una tecnologica: la richiesta di energia elettrica sarà maggiore di oggi. Complice l’intelligenza artificiale, che è elettrica, le nuove forme di mobilità (certo, in primis su ruote ma non ci sarà soltanto quella), la continua diffusione di dispositivi portatili (smartphone, tablet ma anche gli apparati elettromedicali indossabili), e molte altre destinazioni di consumo, ma anche il cambiamento climatico con estati sempre più calde che significano sempre più condizionatori accesi, la richiesta di kilowatt è destinata a salire. Di quanto, più o meno esattamente lo dice l’agenzia internazionale per l’energia (IEA), che ha calcolato un incremento del 3% annuo per i prossimi tre, quando sarà necessario rivedere le stime. Fino a prima della pandemia l’aumento medio fu del 2,4%, il che significa, al netto di fluttuazioni possibili, che tra dieci anni avremo bisogno almeno di un 30% in più d’energia elettrica.

La buona notizia è che la tecnologia per un nucleare molto sicuro esiste già e varrebbe la pena di utilizzarla tornando a essere, come prima del 1986, una nazione con competenze ed esperienze di alto livello in questo campo. Certo, dobbiamo comunque sempre continuare ad aumentare anche le fonti rinnovabili per alcune buone ragioni: i cicli naturali cambiano e potrebbero tornare a essere favorevoli, la tecnologia ha bisogno di investimenti (si pensi alle diverse generazioni di pannelli solari, sempre migliori) e probabilmente il futuro della produzione energetica vedrà un mix costituito da sistemi di generazione sempre più numerosi e differenti tra loro. E mentre in altre nazioni piazzare cose come i generatori eolici in mezzo al mare è accettabile, quello che ci frega in Italia è la bellezza. Chi sarebbe disposto, infatti, a sopportare di vedere grandi eliche all’orizzonte delle più belle località marine del Bel Paese? Le centrali nucleari non sono certo ville del Palladio, ma non è obbligatorio piazzarle in Maremma e neppure costruirle brutte. Ma diamoci una mossa perché i kilowatt servono!

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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