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(iStock).
Tecnologia

Siamo entrati nel cervello di Alexa

Panorama ha avuto accesso all’esclusivo centro di ricerca di Torino che plasma l’intelligenza artificiale dell’assistente vocale di Amazon. Non le insegna soltanto a rispondere alle domande, ma definisce la sua personalità che deve essere cordiale, inclusiva, apolitica e in continua evoluzione. Le prossime tappe sono: la capacità di capire i dialetti, fare conversazione e diventare la voce dei robot domestici. Volete sapere se ci spia? Buona lettura...


Nessuno sa come sia davvero, che aspetto abbia. Alta? Mora? Con gli occhi verdi? Tutti conoscono però la sua voce, sempre calma, conciliante, spesso rassicurante. Alexa, l’assistente digitale di Amazon è infatti popolarissima ma eterea, eppure gli italiani con lei interagiscono quasi in modo compulsivo. Solo l’anno scorso Alexa è stata interpellata oltre 5 miliardi di volte e una relazione così assidua ha generato persino affetto sincero. Sette milioni di volte gli utenti italiani le hanno detto «ti voglio bene». Ma chi ha reso così brava e amichevole Alexa?

Panorama è entrato per la prima volta, in esclusiva, nel centro di ricerca di Torino dove un team di scienziati si occupa proprio di far evolvere e migliorare la creatura di Amazon. A questo compito partecipano una cinquantina di persone tra ingegneri del linguaggio, ricercatori scientifici, programmatori e altri professionisti e proprio in Italia si trova uno dei principali centri al mondo che si occupano di Alexa; gli altri sono negli Stati Uniti, in Germania e in India.

Un polo di eccellenza nato più di quattro anni fa, cresciuto molto rapidamente, cui è stato affidato anche lo sviluppo della lingua spagnola. Un risultato non banale se si pensa che per quanto Alexa sia poliglotta, al momento parla solo nove lingue, due delle quali fanno riferimento al team sotto la Mole.

«Da quando in Italia è arrivata Alexa, la sua capacità di apprendimento è migliorata di oltre 70%, un avanzamento importante che ha reso l’utilizzo dell’assistente digitale molto più semplice, utile e gratificante» spiega Daniele Amberti, capo del Centro di ricerca e sviluppo Alexa di Torino. Uno dei compiti del suo team è quello di «plasmarne il carattere», definendo i modi di rispondere e interagire con gli umani.

«Alexa, essendo un’intelligenza artificiale, non ha un sesso specifico (negli Stati Uniti si può scegliere anche la voce maschile, ndr). Inoltre, ha sempre un tono rispettoso, manifesta valori di inclusività, fornisce risposte brevi e quando fa riferimento ad argomenti importanti cita sempre le fonti» racconta Gianmaria Visconti, country manager Alexa Italia, Francia e Spagna. «In più è cordiale, informata, apolitica, ironica e spiritosa, è talentuosa (recita poesie, canta, ndr). A dare personalità all’assistente digitale è un gruppo di lavoro che si occupa dei contenuti editoriali e decide quali opinioni e argomenti deve conoscere. Ecco perché può rispondere a domande come “quale squadra tifi?”, ma ha anche una canzone, un libro e una poesia preferiti e molti altri elementi che la caratterizzano».

Alexa è aggiornata anche sui fatti di attualità, è stata programmata per esprimere un’idea su chi avrebbe potuto fare il presidente della Repubblica italiana e ora ha un’opinione sulla guerra in Ucraina. Ma il suo carattere «italiano» passa anche dalla capacità di riconoscere i vari accenti e i diversi modi di dire del nostro Paese, una capacità per nulla banale. «Qui entra in gioco l’aspetto più tecnologico e scientifico del lavoro che svolgiamo nel nostro centro di ricerca» dice Chiara Rubagotti, language engineer in Amazon. «Il livello di complessità aumenta perché la comprensione di ciò che viene chiesto ad Alexa passa da due elementi: il primo è la voce, il secondo è il senso, il contesto.

Grazie a strumenti di intelligenza artificiale e di machine learning Alexa capisce e riconosce le parole dette con i tanti diversi accenti che caratterizzano l’italiano; ma è necessario integrare questa parte inserendo costantemente regole deterministiche, per esempio dicendo ad Alexa che “spegni” o “spengi” la luce sono la stessa cosa e che a seguito di questo comando deve avvenire una certa cosa».

Il team italiano si occupa anche di aggiungere funzioni che possono avere un senso sia nell’uso generale dell’assistente digitale, sia nei contesti locali. «Nessuno all’inizio aveva previsto la gestione delle tapparelle in modalità domotica, un elemento che negli altri Paesi non aveva alcun senso, ma grazie alle richieste degli italiani è diventata disponibile per tutti» spiega Visconti. Tuttavia, per capire e comprendere ciò che viene chiesto ad Alexa è necessario che qualcuno ascolti e trascriva queste richieste.

E qui viene la domanda che tutti si pongono: Alexa ci spia? «No, non ascolta le conversazioni né registra mai quello che diciamo. Lo speaker riconosce solo una “wake word”, una parola chiave che lo attiva, che è proprio “Alexa”. Solo dopo questo passaggio l’assistente processa la domanda. Una percentuale bassissima di queste richieste, tutte in forma anonima, viene ascoltata ed elaborata per consentire di migliorare l’esperienza d’uso, ma l’utente può sempre scegliere di disattivare questa funzione» puntualizza Visconti.

Calmate le preoccupazioni dei tecno-ansiosi, il discorso procede sugli sviluppi futuri di questa tecnologia. «Stiamo lavorando in un due direzioni: la prima è l’utilizzo di Alexa in nuovi contesti, per esempio in auto, in movimento con gli auricolari Bluetooth o quando guardiamo la tv. L’altra è aumentare il livello di conversazione. Alexa sarà il cervello dei robot da compagnia» conclude Rubagotti. Il primo prodotto commerciale arriverà a giorni negli Stati Uniti, poi inizierà a colonizzare il resto del mondo. Si chiamerà Astro, e sarà un robottino motorizzato tuttofare pronto a intrattenere i bambini e a tenere compagnia agli anziani. Una nuova era tecnologica è appena cominciata.

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Mark Perna

Globtrotter e tech addicted

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