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Tecnologia

Crisi dei microchip, l'Europa vara un piano che suona già in ritardo

La crisi è globale e tutti sono in difficoltà; Bruxelles si muove in ritardo ma forse l'Italia ha una strada per salvarsi da sola

Tra i tanti problemi attuali dell'Unione Europea ce n'è uno molto urgente da risolvere: abbiamo bisogno di ricostruire la nostra capacità di produzione di microchip e circuiti integrati per abbassare la dipendenza dal mercato asiatico, ancora dominante, e garantirci la cosiddetta sovranità tecnologica duratura. Lo stiamo facendo per le batterie, ma i chip sono qualcosa di trasversale e ormai presente in ogni oggetto, siano missili o tostapane. L'industria elettronica dell'Unione ha chiesto alla Commissione e al Parlamento di creare una strategia comunitaria e da questa domanda è arrivata una proposta di legge, l'European Chips Act. Ma fino a quando questa non diventerà concreta gli effetti sulle produzioni elettroniche e soprattutto sui programmi militari potrebbero rivelarsi tardivi, difficili da valutare e forieri di problemi. Con questo provvedimento la Ue vuole sostenere una maggiore capacità di ricerca, progettazione e sperimentazione, nonché garantire che gli investimenti nazionali siano coordinati con quelli in corso in tutta l'Unione.

Il presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, durante il suo discorso del 15 settembre tenutosi a Strasburgo, aveva dichiarato: "L'obiettivo finale è aumentare la quota globale di produzione di semiconduttori in Europa al 20% del totale mondiale entro il 2030, creare tutti insieme un ecosistema di chip europei all'avanguardia, compresa la produzione, che garantisca la nostra sicurezza di approvvigionamento e consenta di sviluppare nuovi mercati per la tecnologia europea innovativa. La tecnologia digitale è il problema decisivo che il mercato europeo deve affrontare oggi e non esiste digitale senza microchip. Mentre la domanda globale di semiconduttori è esplosa, la quota europea di progettazione e produzione di questi componenti è diminuita e le nazioni sono diventate in gran parte dipendenti dai prodotti di fabbricazione asiatica."

Parole corrette ma tardive, in quanto sono ormai mesi che si osserva come i postumi della pandemia abbiano scatenato una carenza globale di microprocessori e spinto altri governi, compresi gli Usa, a introdurre una strategia nazionale per recuperare produttività. L'European Chips Act segue, al momento soltanto negli intenti, l'approvazione dell'Innovation and Competition Act degli Usa, un disegno di legge da 250 miliardi di dollari volto a superare le ambizioni tecnologiche cinesi. Parte di questo disegno di legge impegna 52 miliardi di dollari per finanziare la produzione di semiconduttori all'interno dei confini Usa, investendo denaro in iniziative di ricerca, progettazione e produzione. L'annuncio dell'UE poi coincide con l'apertura del nuovo stabilimento di chip da 1,6 miliardi di euro del produttore europeo Infineon di Neubiberg (Germania), il cui fondatore Andreas Wittmann ha affermato che sebbene la società non avrebbe certo investito su un impianto di chip europeo vent'anni fa, l'aumento dell'automazione ha ridotto il vantaggio dell'Asia. Il suo nuovo impianto, che produrrà principalmente semiconduttori per auto, richiede una decina di persone in fabbrica, rispetto alle circa 140 delle strutture precedenti, ed è stato pagato in parte con finanziamenti pubblici.

Intel, altro colosso, ha annunciato a settembre che avrebbe investito fino a 95 miliardi di dollari in impianti europei di produzione nonostante il Ceo di Intel Pat Gelsinger avesse affermato in precedenza che sarebbero stati necessari sussidi per oltre 8 miliardi di dollari per convincere l'azienda ad aprire una nuova produzione europea di chip. Da Taiwan il presidente di Tsmc Mark Liu ha fatto sapere che la società avrebbe cercato di raddoppiare la sua produzione negli Stati Uniti e valutando se costruire il suo primo impianto europeo di semiconduttori in Germania. Ma secondo gli analisti, per rendere efficace l'Euopean Chips Act portando la produzione europea al livello di quella asiatica e americana servirebbero almeno venti miliardi di euro. Le opzioni dell'Ue per aumentare l'offerta interna di chip includono comunque il potenziamento dei suoi grandi produttori come Infineon, Bosch e St-Microelectronics e aiuti per la ricerca e lo sviluppo delle produzioni di alta tecnologia specializzata come quella svolta dalla olandese Asml, unico fornitore al mondo di macchine avanzate per la produzione di semiconduttori. C'è, infine, una variabile importante da considerare, ovvero considerare che cosa accadrebbe se, ormai liberati dagli effetti post-pandemia, nel medio periodo i mercati tornassero a richieste simili a quelle del passato. Potrebbe verificarsi una crisi di surplus dei semiconduttori a livello globale.

L'urgenza dei chip per uso militare

Sul piano militare la crisi dei chip sta causando un rallentamento nello sviluppo delle nuove tecnologie, ritardo che non è paragonabile al tempo necessario per il suo recupero. Così in tutta la filiera militare la parola digitalizzazione è diventata imperante ed è iniziata la corsa a rimediare all'errore di aver revocato lo stato di "produzione strategica" a tante aziende per risparmiare. Per noi europei non disporre di componenti significa rallentare programmi militari fondamentali come quello del nuovo sistema d'arma di sesta generazione Future Combat Air System (Fcas) franco-tedesco-spagnolo e del suo antagonista Tempest fatto da Gran Bretagna, Italia e Svezia. Non soltanto perché non si potrebbero completare i velivoli, ma perché senza la piena disponibilità di componenti definiti "pregiati" non si riusciranno a creare i sistemi che permetteranno la gestione di droni e neppure i sensori che questi programmi prevedono nascere interconnessi tra loro.

Nel frattempo la Nato ha evidenziato le "tecnologie emergenti e dirompenti" come un'area di interesse chiave per l'alleanza. A Londra, durante la conferenza biennale sulla Difesa (Dsei 2021, svoltasi lo stesso giorno del discorso della von Der Leyen per l'annuncio dell'European Chips Act), ai funzionari delle aziende militari coinvolti nel progetto Tempest sono state chieste informazioni sull'approvvigionamento di componentistica elettronica. La risposta di Richard Berthon, direttore del programma per il ministero della Difesa britannico, ha affermato che la sua squadra accederà al mercato globale delle parti "dove è conveniente e dove la nostra sovranità e sicurezza non siano compromesse". Berthon ha anche sottolineato che l'ufficio del programma Tempest sta prendendo le questioni di sicurezza "incredibilmente sul serio" e ha assicurato che chi si occupa di garantire che il Regno Unito possa sempre avere la tecnologia e le competenze di cui ha bisogno farà ogni sforzo perché questo avvenga per molto tempo. In quella occasione il vice Ceo di Saab, Anders Carp, ha chiesto che alla politica di favorire una strategia pana-europea o pana-occidentale per aiutare i governi e i loro partner industriali a dare priorità agli sforzi di ricerca e sviluppo tecnologico ritenuti chiave. Oggi Saab rappresenta la partecipazione dell'industria svedese alle ambizioni aeronautiche inglesi e italiane. Carp ha anche osservato: "Dovrebbe esserci una sorta di strategia in atto per vedere come possiamo assicurarci di dipendere da qualcuno. Senza la certezza di componenti le fasi di studio non possono passare a quelle di progettazione, ma se il neonato European Chips Act rimarrà una proposta questo non potrà mai avvenire. Thierry Breton, commissario europeo per i mercati interni, da Bruxelles ha spiegato che il piano europeo prevede la costruzione di impianti di fabbricazione dei chip in territorio UE e l'istituzione di un fondo comunitario per la realizzazione dei semiconduttori. Ma come sempre tra i 27 membri dell'UE ci saranno opinioni divergenti su questo progetto ma soprattutto molti interessi diversi su dove e come produrre, fermando quel fondamentale passaggio che porta dall'avere un'unica visione e gli stessi intenti a decidere quali saranno Stati e territori sui quali nasceranno i chip "made in Ue".

Oggi sia l'industria dell'elettronica di consumo europea, sia quella militare hanno rapporti commerciali con grandi fornitori di chip asiatici come Samsung in Corea del Sud ma soprattutto la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), vero colosso del mercato. E vista la volontà di Pechino di annientare ogni spinta separatista di Taipei, è facile immaginare che cosa accadrebbe alle quantità e al costo delle nostre forniture di microprocessori se anche quelli di Taiwan dipenderanno dalla Cina. Se sul piano dell'industria elettronica civile noi europei abbiamo delle alternative come Giappone, Usa e Ue stessa, sul piano militare i produttori europei di semiconduttori avanzati coprono necessità di nicchia con un basso volume di pezzi e quindi con un'applicabilità militare limitata. Con un forte aiuto istituzionale (fondi per ricerca e produzione, defiscalizzazione) queste aziende potrebbero progredire soprattutto nell'ambito delle applicazioni aerospaziali e della sicurezza. Ma da quel momento fino a raggiungere la tanto decantata autonomia strategica passerebbe ancora molto tempo. Forse per questo la presidente Von der Leyen, che in precedenza è stata anche ministro della Difesa tedesco, ha riconosciuto nel suo discorso che aumentare le capacità di produzione di semiconduttori sovrani sarà difficile ma necessario e ha concluso il suo discorso del 15 settembre con le parole: "Mettiamoci tutta la nostra attenzione".

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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