Letteratura, arte e cultura pop segnano il trionfo della moda parigina
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Letteratura, arte e cultura pop segnano il trionfo della moda parigina

Parafrasando le parole di Oscar Wilde, «ci sono due tipi di moda al mondo: buona moda o pessima moda». È impossibile non pensare a Dorian Gray guardando sfilare l’ultima collezione del maestro giapponese Yohji Yamamoto. Completi a tre pezzi, gilet aderenti e lunghi cappotti eleganti, sciarpe legate strette attorno al collo, sovrapposizioni di blazer più spessi o più sottili e lunghe camicie bianche di cotone, che sono allo stesso tempo più intime e più casual.

Il nero è l’unico colore presente sulla passerella, dove i modelli sfilano in maniera lineare, sfiorandosi ogni volta che si incontrano. Le opere del pittore polacco Zdzisław Beksiński - noto per il suo surrealismo distopico - sobrie macchie di leopardo (Yamamoto non abbandona mai completamente l’estetica punk) e la calligrafia giapponese sono l’ispirazione per le stampe che non si limitano ad arricchire i soprabiti, ma lanciano anche un chiaro messaggio. Con la sua collezione autunno/inverno 2022, Yamamoto sancisce «l’inizio della terza età». Così i capelli incipriati dei modelli evocavano sia la cenere che l’inesorabile trascorrere del tempo.

Yohji Yamamoto

Sceglie di presentare la sua collezione a Tokyo - più precisamente nello storico quartiere di Asakusa - anche Mihara Yasuhiro. Lo stilista celebra quest’anno due anniversari importanti, i 25 anni dalla fondazione del brand e i suoi 50 anni. Due avvenimenti che lo hanno portato a riflettere sulla sua vita e a ideare una collezione che trae ispirazione dai suoi ricordi degli anni Novanta, il periodo in cui Yasuhiro ha iniziato il suo percorso nell’industria della moda.

La Tokyo di quegli anni è stata fortemente influenzata dalla moda occidentale, specialmente dal casual americano, e lo stilista incorpora questi aspetti nella sua collezione. Yasuhiro conia anche un nuovo stile chiamato «Modified» che è una reinterpretazione di diversi tipi di abiti di seconda mano che Mihara stesso ha raccolto per molti anni. Giacche in denim, trench in pelle vegana, felpe a strati dall’aspetto vissuto, maglie in mohair spazzolato con effetto pilling. Ogni capo rispecchia l’estetica in continua evoluzione di Yasuhiro. Anche le classiche sneaker «Harbie» si rinnovano per diventare più dinamiche e versatili grazie all’aggiunta di nuove texture, con parti che appaiono come scolpite.

Maison Mihara Yasuhiro

Dal surrealismo vagabondo di Yasuhiro viene quasi naturale passare all’universo fluorescente firmato Loewe. Gli ospiti della sfilata, accolti in uno spazio arricchito da 4.000 strisce di satin colorato realizzate dagli artisti Joe McShea & Edgar Mosa - a simboleggiare l’intero spettro visibile - sono stati trasportati in una nuova realtà dove niente è come sembra. Lo stilista Jonathan Anderson, per la prossima stagione, elabora una visione chiara, concisa e fortemente editata, priva di connotazioni stagionali immediate e posta volutamente nel proprio vuoto temporale, in cui i segni diretti e i riferimenti riscontrabili non contano.

Anderson riprende il lessico dadaista che viene tradotto nel nuovo guardaroba maschile dove il corpo rappresenta il punto di partenza e d’arrivo. Una nuova silhouette ridotta e immobile aderisce al busto e alle gambe. Cerchi e fili richiamano un movimento in divenire, come se il corpo fosse immortalato mentre si muove. Abiti nonsense si allungano in strascichi frontali, avvolgendo il corpo, mentre LED e luci illuminano i cappotti, il girovita e i lati dei pantaloni, il profilo delle scarpe, come un bagliore che arriva direttamente dal corpo e si proietta all’esterno.

Le borse sono tote capienti, come la Cubi in nappa forata e l’Amazona alta e rettangolare. La pochette Flamenco è ornata da conchiglie e reinterpretata in un morbido paio di stivali. Luci LED illuminano gli stivali di gomma. Le ciliegie diventano motivi grafici sui mocassini a punta quadrata.

In questa imperfezione alterata, si delinea un altro tipo di realtà. Una collezione che attua un reset, mettendo il corpo al primo posto e speculando intorno ad esso, attraverso bagliori di retroilluminazione.

Loewe

La luce diventa “attore” protagonista anche nella sfilata di Jil Sander. All’interno della Cattedrale americana di Parigi, una grande lanterna rosata che pende dal soffitto a volta accompagna gli abiti della collezione autunno/inverno 2022. Ci si presenta così un'atmosfera indulgente e urbana, che ribalta giorno e notte, lavoro e gioco, utilità e glamour. La varietà e la ricchezza della maglieria accentua il desiderio generale di un mix di calore, serenità e luminescenza. Sofisticati, dai colori vivaci, a righe, in lana o in ciniglia, o in lana con intarsi di ciniglia, i pullover sono lunghi e squadrati o corti e aderenti al corpo, con colli alti rotondi o morbidi.

I cappotti sono centrali: alcuni sono pelosi e morbidi, alcuni senza colletto, con revers di pelle o plastron di shearling a contrasto, alcuni hanno strisce diagonali bianche e verdi o arancioni e nere, uno è in camoscio blu pallido, uno è in un leopardo astratto jacquard. La palette di colori, tra il bianco sporco e il nero, gioca con gli archetipi sartoriali, mescolando tonalità: burro, avorio, salvia, sabbia, cacao, blu acciaio, bordeaux, e accenni di arancio, giallo e verde.

«Ci è piaciuta questa silhouette davvero elegante e maschile, ma anche con un lato sensuale» ha commentato Lucie Meier, metà del duo di stilisti. «Iniziamo sempre con la sartoria, solo per vedere cosa vogliamo davvero fare e dire e cosa ci interessa. Ma questa volta lo abbiamo applicato anche a tecniche tipicamente femminili» ha aggiunto Luke Meier.

Stampe astrologiche e ricami zodiacali illuminano i capi e offrono quello strumento e quella libertà di essere ciò che si vuole essere «poiché siamo tutti diversi e in continuo cambiamento».

Jil Sander

Un tunnel di specchi accoglie i 40 modelli che sfilano per Kolor. La collezione, disegnata dal giapponese Junichi Abe, mira a trovare l’equilibro tra l’essere completo e l’essere rotto. Sulla sua passerella i modelli si riflettono grazie a un gioco di luci che confonde lo spettatore, coinvolto in un mondo di illusioni, dove 80 comparse con indosso abiti da ufficio appaiono e scompaiono in un battito di ciglia.

È la tecnica del Fantasma di Pepper, risalente a metà dell’Ottocento e ancora oggi utilizzata a teatro e in vari giochi di magia. Abe la applica con assoluto genio non solo nella sua presentazione, ma anche nella collezione stessa. I capi appaiono così in diverse lunghezze, diverse forme - sovrapposti l’uno all’altro - nel tentativo di trovare lo squisito equilibro dell’imperfetto e perché no, trasformarlo in una nuova idea di perfezione.

Pezzo chiave della collezione è il montgomery rosso brillante. Sul lato sinistro della linea del collo e dell'orlo, e sulla manica destra, i tessuti esterni e interni sono separati, rivelando la struttura interna che di solito è nascosta, aggiornando un capo familiare in un pezzo con un'identità cromatica unica. I cappelli che appaiono in tutta la collezione sono realizzati in collaborazione con Kijima Takayuki. Una parte della loro tesa è ritagliata a forma di logo Kolor, creando un accessorio che cattura l'essenza della "rottura" sentita in tutta la collezione.

Kolor

A concludere la Settimana della moda uomo parigina è stato il debutto del giapponese Nigo per la maison Kenzo. Per chi non lo conoscesse, Nigo è una delle figure più influenti nello street style a livello globale, fondatore, nel 1993, del marchio Bape (A Bathing Ape) ma anche “padre” del brand Human Made e di decine di collaborazioni, come quella con Virgil Abloh (che lo riteneva un mentore) per Louis Vuitton o con Uniqlo, per il design della linea UT.

Nigo rappresenta il secondo direttore creativo nipponico della maison Kenzo, dopo il suo fondatore Kenzo Takada, morto nel 2020 per complicazioni dovute al Covid. «Nigo e Kenzo Takada condividono un linguaggio culturale intrinseco – una comprensione della sintesi tra tradizioni di moda giapponesi e occidentali – ma è soprattutto il loro approccio alla moda a unirli: la convinzione che ciò che vedi in passerella dovrebbe vedersi anche nella vita reale» si legge in una nota diffusa da maison Kenzo.

La sua prima collezione, dall’ironico titolo «Real-to-wear», mostra il suo innovativo approccio alla moda. Nigo sceglie Galerie Vivienne (lo stesso luogo dove Takada ha presentato la sua prima collezione) per il suo debutto e fonde le influenza della propria adolescenza e carriera con la tradizione di Kenzo, scrivendo un linguaggio che guarda al futuro imparando dal passato.

Il tailoring giapponese prende forma in incarnazioni ibride di abiti e salopette, completi gessati e in Principe di Galles deostruiti e reinterpretati in lane lavate, mentre cappotti in Harris Tweet rimandano agli anni Ottanta. E ancora bomber souvenir si ispirano a quelli storicamente commissionati in tessuti da kimono dalle forze d’occupazione americane in Giappone e capi in denim giapponese mostrano un perfetto equilibrio tra il grezzo e il molto raffinato. La grammatica degli archivi di Kenzo appare così filtrata dall'inconfondibile sensibilità artistica di Nigo.

Tra i coloratissimi fiori che sfilano sulla passerella (ripresi dalla stampa floreale d’archivio Pop Bouquet), troviamo anche nuove interpretazioni della tigre, motivo principe della Maison. La «Aka-e Tiger» ad acquerello, una grafica Tiger Varsity e con strisce di tigre che appaiono su varie categorie di capi.

Infine, come tributo al fondatore, le medaglie usate come decorazioni sui capi sono forgiate nell’iconico profilo di Kenzo Takada-san.

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Mariella Baroli