Ve lo dico io: il presidente dei 5 stelle, giustamente, si sarebbe lamentato ritenendosi, non a torto, censurato. Lo stesso va detto anche se un esponente politico avesse deciso di replicare a un articolo del nostro giornale, usando parole dure o sarcastiche contro l’autore dello scritto. Mesi fa, quando Cecilia Sala venne arrestata a Teheran, ricordo che uscì un servizio in cui si stigmatizzava l’opposizione che, standosene tranquillamente in vacanza, chiedeva al governo di agire in fretta per la liberazione della giornalista. Matteo Renzi, citato nell’articolo per le sue scorribande sulle nevi di Cortina, prese carta e penna polemizzando con noi e con l’esecutivo. L’intervento, che occupava quasi una pagina, fu pubblicato integralmente, con risposta del sottoscritto. Stesso trattamento quando in redazione è arrivata la fotografia del fondatore di Italia viva intento a fare incetta di testi in una libreria che, secondo l’autore dello scatto, erano stati poi scaricati tra le braccia di una segretaria. Indispettito, il senatore semplice di Scandicci il giorno dopo ha voluto farci sapere che alla Feltrinelli di Milano aveva acquistato 60 libri ma trasportandoli da solo, aggiungendo in sovrappiù e in tono polemico che lui non legge i brogliacci delle intercettazioni passate sottobanco illegalmente da qualche pm, ma roba sopraffina, da intellettuale. Già che c’era, Renzi si è anche autonominato paladino delle donne scrivendo che parlare di libri scaricati alla segretaria «dice molto del rispetto che i colleghi della Verità hanno verso le donne e la loro professionalità». Una frase stupidamente polemica che, tuttavia, è stata regolarmente messa in pagina insieme all’augurio alle segretarie della redazione di «non vedersi mai scaricati addosso i libri». Tranquillo senatore, alla Verità le donne le rispettiamo più di quanto non siano rispettate nei partiti.
Se ho raccontato i casi di Conte e Renzi è perché penso che non solo le polemiche sui quotidiani siano il sale del giornalismo, ma anche perché ritengo che un politico o chiunque altro abbia diritto di replicare a un articolo o a un giudizio che trova ingiusti. Alessandro Giuli ha ritenuto immotivate le critiche che ha ricevuto sul Corriere della Sera da Ernesto Galli della Loggia e ha chiesto di replicare. Avrebbe voluto scrivere una lettera, ma gli è stata proposta un’intervista. Con il giornalista ha risposto alle domande che gli sono state rivolte e, da quel che si capisce, in redazione gli è stato chiesto di ammorbidire alcuni giudizi su Galli della Loggia, cosa che il ministro ha accettato di fare. Dai messaggi che il collega del Corriere e Giuli si sono scambiati, pare che l’intervista sia stata oggetto di controllo da parte dei vertici del quotidiano e, alla fine, l’autore del colloquio, con il ministro, ha commentato il testo pronto per essere mandato in stampa con un «A me pare molto bella, densa e puntuale». Però, stranamente, l’intervista non è stata pubblicata, perché in essa erano contenuti giudizi critici nei confronti dell’editorialista.
Ci sono giornali che sono abituati a nascondere le notizie invece di pubblicarle. In genere il bavaglio se lo impongono per non dare fastidio al potente di turno. Ma un quotidiano che si autocensuri per non disturbare un editorialista non si era ancora visto. Il quotidiano di via Solferino ha pubblicato una critica al centrodestra, accusandolo di non avere un progetto culturale. E il ministro Giuli ha replicato, accusando l’editorialista di presiedere un comitato che invece di fare il suo mestiere, ovvero promuovere le iniziative culturali, le affossa. Beh, che c’è di male? Che cosa c’è di talmente grave da richiedere la censura? Nel Codice penale esiste il reato di lesa maestà del presidente della Repubblica, ma quello di lesa maestà dell’editorialista non mi pare che sia ancora stato introdotto. Noi giornalisti ci lamentiamo spesso per le denunce di cui siamo vittime da parte di chi afferma di essere stato diffamato ma se neghiamo il diritto di replica e, peggio, abbiamo il timore di rispondere per le rime a un politico, è normale che le vicende imbocchino le strade dei tribunali. La libertà di stampa non significa libertà di stampare solo le adulazioni e mai le critiche. Soprattutto, non si può criticare la censura quando la si pratica con tanta facilità.
