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Delitto di Garlasco, la traccia 10 non convince: la difesa di Stasi chiede nuove analisi

Delitto di Garlasco, la traccia 10 non convince: la difesa di Stasi chiede nuove analisi

La difesa di Stasi chiede un test più sensibile per rilevare sangue sulla traccia sullo stipite della porta e stop alla distruzione dei reperti. Il prossimo incidente probatorio fissato per il 4 luglio

L’ultimo fronte si apre sullo stipite della porta. È lì, dove l’assassino si sarebbe appoggiato per lasciare la villetta di via Pascoli intrisa di sangue, che torna al centro l’ormai famigerato reperto numero 10. Un’impronta sporca, silenziosa, che per anni è rimasta una delle ombre del caso Garlasco. Ora, la difesa di Alberto Stasi – condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi – ha chiesto un approfondimento decisivo: un nuovo test per rilevare la presenza di sangue umano su quel frammento raccolto nel 2007 e finora risultato negativo ai controlli.

Non è una semplice formalità tecnica: è una richiesta che, se accolta, potrebbe incidere su uno dei casi più controversi della cronaca italiana degli ultimi vent’anni. A firmarla è il genetista Ugo Ricci, consulente dei legali di Stasi. Nel mirino ci sono i tamponi utilizzati per analizzare la traccia 10 e 11, impressi sulla parte interna della porta d’ingresso. L’appello è chiaro: “Non distruggete i tamponi, usate il test Obti per cercare tracce ematiche umane con una sensibilità più elevata rispetto ai metodi finora impiegati”.

La traccia 10, il dubbio che resiste

Ma cos’è davvero il reperto 10? È il punto su cui poggia – letteralmente – l’ultima speranza della difesa. Si tratta di una porzione dell’impronta lasciata presumibilmente dall’assassino, isolata e protetta da un foglio di acetato trasparente fin dalla scena del crimine. In sede di incidente probatorio, i periti del gip – Denise Albani e Domenico Marchigiani – avevano raschiato quasi tutto il materiale dal supporto, lasciandone una quantità minima su cui venne effettuato un test rapido per la presenza di sangue. L’esito fu negativo. Nessuna traccia ematica. Nessuna certezza.

Ma proprio quell’assenza, secondo i legali di Stasi, è troppo debole per essere definitiva. Il test utilizzato sarebbe stato effettuato su un secondo tampone, prelevato sulla stessa superficie ma in modo meno accurato. Per questo ora si chiede di tornare sull’originale: applicare il test Obti – più sensibile – direttamente sul foglio di acetato che sigilla i frammenti 10 e 11. Non solo: si domanda di non eliminare nessun residuo, né i tamponi già usati. Ogni fibra può ancora contenere una traccia utile. Un’ombra di sangue. Un frammento di verità.

È una richiesta tecnica, certo. Ma è anche una mossa strategica. Perché se dovesse emergere che quella impronta non apparteneva a Stasi, e che conteneva materiale biologico compatibile con un altro soggetto – magari Sempio – il castello giudiziario costruito in questi anni comincerebbe a incrinarsi.

I nuovi reperti: un capello dimenticato e la pattumiera che parla

Nel frattempo, un altro frammento si aggiunge al mosaico. È un capello di tre centimetri con bulbo rinvenuto in mezzo alla spazzatura mai analizzata, prelevata otto mesi dopo il delitto e conservata per diciotto anni. Una busta di cereali, un Fruttolo, un Estathé e quel capello, rimasto in silenzio finora. Sarà sottoposto a esame del Dna nucleare dai periti del giudice Daniela Garlaschelli, per un confronto diretto con Andrea Sempio – l’amico del fratello della vittima, oggi indagato per omicidio in concorso – e con gli altri soggetti che verranno sottoposti a prelievo genetico.

L’ipotesi è che possa trattarsi di un profilo nuovo, differente da quelli già repertati nella scena del crimine e analizzati dal professor Carlo Previderè nel 2008. All’epoca, l’esperto individuò 29 capelli nelle pozze di sangue, ma solo uno – appartenente a Chiara – aveva il bulbo utile per l’identificazione certa. Gli altri, tra cui diverse formazioni bionde senza radice, non portarono a nessun volto. Non ancora.

Il maxi incidente probatorio e l’ombra di Sempio

L’indagine è stata riaperta. In un’Italia che nel frattempo è cambiata, Garlasco resta ferma al 13 agosto 2007. Il prossimo incidente probatorio è fissato per il 4 luglio. In aula si tornerà a discutere non solo della traccia 10, ma di tutti i reperti recuperati nella villetta. Spazzatura, impronte, capelli e tamponi: tutto torna in discussione. E mentre la difesa Stasi chiede di acquisire anche i file completi delle tipizzazioni genetiche, i legali di Andrea Sempio tacciono. Nessuna istanza, per ora, è arrivata né da loro né dai consulenti della famiglia Poggi.

Eppure il nome di Sempio, fino a qualche anno fa completamente estraneo all’inchiesta, oggi è inciso negli atti. Non è solo un’ipotesi. La sua compatibilità genetica con l’Ignoto 1 trovato sotto le unghie di Chiara è una pista. La sua voce, registrata in sottofondo nella chiamata al 118 di Stasi, è un dubbio. Eppure, l’ex procuratore Mario Venditti, che già allora ne chiese l’archiviazione, non ha dubbi: “Sempio non c’entra nulla con questo omicidio”. Ma è davvero così?

Droni, laser scanner e la cantina del silenzio

Intanto, nella villetta di via Pascoli, sono tornati i tecnici. Con laser scanner, droni e nuove tecnologie, si prova a ricostruire tridimensionalmente l’ambiente e i movimenti di quella mattina. La scala che scende verso la cantina – dove fu trovato il corpo – è ancora lì. Come la porta, come l’impronta. Come tutto quello che in diciotto anni non ha smesso di parlare, ma che forse nessuno aveva ancora saputo ascoltare fino in fondo.

In quel labirinto di indizi, c’è anche la voce di Chiara Poggi. Riemersa in un video universitario in cui discute un esame, è il frammento umano che rimette al centro la sua figura. Una ragazza di 26 anni, uccisa in piena estate in una villetta di provincia. Attorno a lei, uomini che oggi si accusano, si difendono, si contraddicono. Uno – Stasi – sta finendo di scontare la condanna. L’altro – Sempio – rischia di entrare nella storia giudiziaria come il vero colpevole. O come un capro espiatorio di un caso che ha sempre rifiutato risposte semplici.

Per ora, la verità resta un campo minato.

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