akkiApp, la messaggeria 2.0
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akkiApp, la messaggeria 2.0

Al posto di bigliettini, telefoni e computer, spuntano le app apposta per i locali, come la vecchia messaggeria, ma a portata (e dipendenza) di smartphone

C’era una volta la messaggeria, che ogni timidezza si portava via.
Nei locali adusi a tal pratica, partivano bigliettini con i numeri dei tavoli, in cui si scriveva alla bella o al bello di turno, un po’ come a scuola, tra un banco e l’altro.

Poi vennero i telefoni, che ricordavano gli sfoghi pomeridiani, sovraccarichi di consonanti moltiplicate (mmmmmmmm), sospiri e silenzi.

Infine arrivarono le postazioni con tastiera. Lo schema era lo stesso, solo più nuovo, veloce, filtrato dall’affetto “corazza” dello schermo fissato ai tavolini.
Oggi ci sono le app.
E così è nata akkiApp.


Come funziona


Si scarica l’app, si sceglie un nickname, una foto o un’immagine per il profilo, si inserisce la parola d’ordine della serata, ogni volta diversa, e si può chattare senza condividere i propri dati personali con tutti i presenti nel locale che si siano registrati, naturalmente senza poter sovrapporre gli avatar con i propri alter ego in carne e ossa.
Un conto alla rovescia tiene il tempo, allo scadere del quale, la chat si chiuderà, cancellando in automatico i flirt rimasti in sospeso, e le eventuali oscenità o confidenze suscitate dall’incontro tra l’aver bevuto qualche bicchiere di troppo e la garanzia di anonimato.
Chi avrà fatto in tempo a darsi un appuntamento davanti all’ingresso (alla porta dei bagni, per i più scaltri), o a scambiarsi i numeri di cellulare, passerà alla fase analogica, per gli altri, tutto rimarrà nell’ipotetico mondo digitale.


Come funziona davvero


Ero al pub vicino casa a bere una birra.
Una giovane promoter bionda, denominata akkiAppina, mi lascia sul tavolo un flyer dove due nuvolette, simbolo delle chat come whatsapp, formano un cuore.
Le rivolgo uno sguardo interrogativo.
Al piano di sotto, mi dice, la serata è appena iniziata.
Che serata?
La serata akkiapp.

Scendo le scale e mi trovo davanti a una coppia, in piedi, al centro di un palchetto: lui ha un mestolo legato come un pendolo alla vita, lei un pentolino. Un animatore con parrucca (si atteggia da ragazzino ma è sui trenta, ride, ma dentro dietro la mezza paresi si intravede un attacco di panico alla clown triste), conta infervorato “i colpi al minuto”: deng, deng, deng, deng…

Vince chi riesce a immedesimarsi meglio in un coniglio. Le coppie si avvicendano, compresa una di lesbiche, che sconfitte si giustificano “siamo abituate ad altri movimenti”.

Il record è segnato a 150 spinte al minuto.


Di volta in volta, mi dicono, le attività proposte dall’animazione, cambiano (non ho il cuore di chiedere quali possano essere le prossime).
Nel frattempo, tra i tavoli, si sta tutti con lo smartphone in mano, a chattare, probabilmente, col proprio amico che si è dato come soprannome Samantha, o con la propria ragazza, molto più interessante in chat che dal vivo, o con il ragazzo della propria amica, che se sapesse vi spaccherebbe la faccia, dando vita a migliaia di messaggi in poche ore, a catene di faccine sorridenti molto più semplici da riprodurre rispetto ai sorrisi reali.

Quando il conto alla rovescia finisce, non è chiaro se qualcuno abbia "acchiappato" davvero.


ViagrApp


Verrebbe spontaneo condannare questo spettacolo (a tratti, forse più che a tratti) raccapricciante.

Possibile che non siamo più capaci di “provarci” senza l'aiuto di app afrodisiache (stile Tinder, Grinder, Happn…)?
Possibile. Che possiamo farci?


Meglio per quei quattro cavernicoli rimasti su piazza: vista questa palude di connessioni per ritardati sociali, si trasformeranno presto in playboy richiestissimi.
Non c’è da stupirsi o indignarsi che nascano simili imprese per incentivare una massa di giovani non tanto a parlare gli uni con gli altri, ma perlomeno a chattare con qualuno nel raggio di qualche metro, invece che a distanze siderali, nella speranza che questo porti alcuni impavidi ad alzarsi dalla sedia, posare lo smartphone e affrontare un faccia a faccia old school.

akkiApp potrebbe essere destinata a un successo iperbolico, vista la "genialità" del nome e del mix analogico/digitale rivolto a un pubblico di bisognosi di facilitatori sociali.

Tutto bene, dunque.

Almeno fino a che non arriverà il giorno in cui, a furia di disimparare a guardarci in faccia, da quelle sedie non si alzerà più nessuno e nessuno sarà disposto a deporre il telefonino, perché dopo milioni di faccine scambiate, durante un faccia a faccia non saprebbe che fare.
A quel punto sarà il fallimento di Akkiapp, certo, ma sarà il male minore. Quello maggiore sarà l’estinzione.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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