La guerra di Papa Francesco alla pedofilia
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La guerra di Papa Francesco alla pedofilia

Il pontefice sceglie la linea dura anche contro un altro monsignore. Ma i «garantisti» cercano di opporsi

La dichiarazione di guerra Papa Francesco l’aveva pronunciata il 7 luglio scorso, celebrando la Messa per un gruppo di vittime di sacerdoti pedofili: «Non c’è posto nel ministero della Chiesa per coloro che commettono abusi sessuali; e mi impegno a non tollerare il danno recato ad un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale. Per tutti noi vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo, la macina da molino e il mare».

Per mettere in atto il suo piano Bergoglio ha predisposto anche gli strumenti necessari: l’11 luglio 2013, poche settimane dopo essere stato eletto, Papa Francesco ha promulgato una profonda riforma del codice penale e del codice di procedura penale in vigore in Vaticano (che recepisce i codici italiani del 1929). In particolare ha modificato inasprito le pene per abusi sessuali (da 8 a 20 anni di reclusione) e stabilito che i cittadini vaticani o i diplomatici della Santa Sede possono essere processati dinanzi al tribunale penale del Vaticano anche quando compiono reati all’estero.

Jozef Wesolowski era tranquillo

Nonostante il clamore suscitato dal suo caso e la condanna alla dimissione dallo stato clericale (decisa dalla Congregazione per la dottrina della fede), avverso la quale ha proposto appello, l’ex nunzio polacco Jozef Wesolowski girava indisturbato per Roma e alloggiava nella stessa residenza in cui aveva abitato Bergoglio prima del Conclave: la Casa internazionale del clero a via della Scrofa, in pieno centro di Roma. Ma era tenuto d’occhio dalla gendarmeria vaticana e dalla polizia italiana, in attesa di un eventuale ordine d’arresto internazionale che sarebbe potuto giungere da Santo Dominigo (dove aveva commesso gli abusi sessuali contestai) o dalla Polonia (la cui legislazione prevede che siano processabili i cittadini polacchi per abusi sessuali commessi anche all’estero).

Grande amico di san Giovanni Paolo II

Wesolowski non è un prelato qualsiasi. Perciò poteva permettersi di girare tranquillo e indisturbato dentro e fuori il Vaticano, anche dopo la lo scoppio del caso, forte delle sue amicizie. In passato è stato molto legato a san Giovanni Paolo II, ce lo ha ordinato vescovo. Perciò ha sempre frequentato tutto l’entourage polacco intorno a Wojtyla e veniva confederato un prelato di fiducia dall’appartamento pontificio. Molto toccante la sua omelia pronunciata in occasione della morte del Papa polacco.

L'arresto in Vaticano

Convocato nel primo pomeriggio di martedì 23 settembre dal promotore di giustizia del Vaticano Gian Piero Mialano (una sorta di procuratore della Repubblica), Wesolowski si è visto notificare un’ordinanza di custodia cautelare per abusi e violenza su minori e possesso di materiale pedopornografico. Rischia fino a sette anni di carcere, salvo ulteriori aggravanti. A lui infatti non possono essere applicate le pene aggravate nel 2013, poiché i reati sarebbero stati commessi prima. L’ex nunzio ha presentato documentazione medica e così ha ottenuto gli arresti domiciliari in una stanza del collegio dei penitenzieri nel palazzo del Tribunale del Vaticano, sorvegliato a vista dalla gendarmeria pontificia. Per il processo bisogna attendere la fine dell’istruttoria e il rinvio a giudizio. È probabile il processo comincerà nel gennaio prossimo. Sull’appello relativo al processo canonico di riduzione allo stato laicale deciderà invece la Congregazione per la dottrina della fede (l’ex sant’Uffizio) il prossimo ottobre, nella cosiddetta «feria quarta» (la riunione della congregazione nella veste di tribunale).

I garantisti si oppongono

La decisione di arrestare un arcivescovo in Vaticano ha sollevato un vespaio di polemiche oltretevere. Secondo alcuni prelati si è trattato di un gesto inutilmente plateale che va a colpire un componente del corpo diplomatico della Santa sede e rischia di mettere in crisi l’autorevolezza del Vaticano nel mondo. Secondo altri non si è rispettata la presunzione di innocenza e inoltre l’arcievscovo è stato rodoto allo stato laicale senza neanche aver potuto godere di un adeguato diritto alla difesa.

Ma il Papa insiste nella linea dura

Francesco non si lascia influenzare dalle polemiche e prosegue nella linea dura. Perciò ha disposto lo spostamento dalla diocesi Ciudad del Este in Paraguay di mons. Rogelio Ricardo Livieres Plano, nominando al suo posto come «amministratore apostolico» mons. Ricardo Jorge Valenzuela Rios. Tradizionalista convinto, vicino ai lefebvriani, Livieres Plano è accusato di malversazione e copertura di abusi sessuali di preti della sua diocesi. La diocesi sudamericana in questione era da anni investita dalle polemiche per la presenza di un prelato argentino, monsignor Carlos Urrutigoity, accusato nel 2002 di abusi sessuali, quando operava negli Stati Uniti. Il prete era stato trasferito prima in Canada e da nove anni opera invece in Paraguay, dove era diventato il numero due del vescovo di Ciudad del Este, Livieres Plano. La scelta aveva fatto sorgere parecchie polemiche. Per questo Papa Francesco aveva inviato in visita apostolica il cardinale Santos Abril y Castello, Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, e monsignor Milton Luis Triccoli Cebelio, vescovo ausiliare di Montevideo. Dopo la relazione dei visitatori apostolici ha deciso di sollevare il vescovo dall’incarico.

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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