La mafia a Roma e la guerra di Ignazio Marino
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
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La mafia a Roma e la guerra di Ignazio Marino

Ecco come l'inchiesta "Mondo di mezzo" ha capovolto il rapporto di forza tra il sindaco e il Pd

È il rovesciamento delle parti nei rapporti di forza tra Ignazio Marino e il Pd uno dei principali effetti collaterali dell'inchiesta “Mondo di mezzo che sta terremotando la politica romana. Da sindaco perennemente osteggiato, sbeffeggiato, criticato, minacciato, adesso è Marino a poter vestire i panni del Grande Inquisitore e a dire oggi che “questa storia è la prova che si deve fare pulizia”. Una pulizia perseguita a costo di mettersi contro praticamente una città intera, i suoi poteri grandi e piccoli, le consorterie, le correnti e addirittura le sottocorrenti. Un “cambiamento totale” invocato anche sabato scorso alla convention del Pd romano, davanti ad assessori, consiglieri, associazioni, militanti e soprattutto davanti al procuratore Giuseppe Pignatone che poco prima aveva parlato dei rapporti tra mafia e politica a Roma.

È Marino a poter oggi rivendicare di aver sempre avuto ragione: nel voler respingere pressioni e appetiti, nel non essersi mai voluto piegare ai diktat sulle nomine sia in giunta che nell'amministrazione (pare che la cupola mirasse a piazzare nel suo staff l'ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni Luca Odevaine arrestato per corruzione aggravata) sia nelle aziende, e di aver resistito agli assalti subiti dai vertici del Pd (Luigi Zanda qualche giorno fa intimava: “Marino obbedisca al partito”), come agli insulti dell'ultimo consigliere comunale (Michela De Biase: "Io a tirare a campare non ci sto. Il sindaco è ormai il più famoso gaffeur d'Italia, perché non riesce a uscire da un'impasse in cui si mette da solo”).

Un'impasse che invece si è rivelata una corazza. Quasi nessuno del suo entourage al momento risulta coinvolto nell'inchiesta. A parte quel Mattia Stella, delegato all’attuazione del programma, ai rapporti con la giunta, il mondo produttivo e quello dell’associazionismo, intercettato al telefono con Salvatore Buzzi, il presidente della cooperativa sociale “29 giugno”, braccio destro del boss della cupola, l'ex Nar e Banda della Magliana Massimo Carminati. Stella non risulta indagato, ma il suo ufficio è stato perquisito. Per l'organizzazione era infatti uno da valorizzare, “da legà di più a noi”.

L'intreccio romano di mafia e politica

Ma nonostante le difficoltà da lui stesso ammesse e alcuni errori compiuti in questo primo anno e mezzo di amministrazione (comprese forse anche alcune nomine), è sempre stato il chirurgo dem a invocare una cura da cavallo per la città, un cambiamento radicale. L'inchiesta lo rafforza al punto da allontanare un rimpasto di giunta che Marino ha sempre cercato di evitare e che adesso sarà sì costretto a compiere, ma a modo suo. Gli avevano chiesto la testa dell'assessore alle Politiche Sociali Rita Cutini, che a leggere l'ordinanza della Procura si sarebbe opposta da subito al sodalizio con Carminati, per mettere al suo posto quello alla Casa Daniele Ozzimo indagato per corruzione. Come l'ormai ex presidente dell'Assemblea capitolina Mirko Coratti, per cui viene ipotizzato il reato di corruzione aggravata e illecito finanziamento, e che mirava a un posto in giunta dopo aver pubblicamente chiesto “l'azzeramento di tutte le postazioni”. Ma di cui Buzzi dice, magari millantando un credito solo immaginario, “me lo so comprato, ormai gioca con me” al punto di raccontare sempre al telefono, il 23 gennaio scorso, di avergli “promesso 150 mila euro se fosse intervenuto per sbloccare un pagamento di 3 milioni sul sociale”.  

Rapporti che Salvatore Buzzi aveva stretto in 30 anni di attività con la cooperativa che aveva fondato con la mission, si legge sul suo sito, di “promuovere vantaggi per i soci, benefici sotto forma di produzione di ricchezza e integrazione sociale”. Praticamente un'autodenuncia viste le tangenti distribuite a destra e sinistra in cambio di appalti milionari. Rapporti  fotografati. Come nel caso di una cena organizzata nel 2010 da Buzzi per “ringraziare i politici che ci sono a fianco”. E al fianco dell'uomo che faceva affari sulla pelle degli immigrati e dei più deboli, finito in manette per associazione di stampo mafioso, corruzione aggravata, turbativa d'asta, trasferimento fraudolento di valori e rivelazione di segreto d'ufficio, chi c'era? Intanto Gianni Alemanno, l'ex sindaco finito nel mirino degli inquirenti anche lui con l'accusa di associazione mafiosa e corruzione aggravata, che ieri ha dichiarato di non saperne nulla, la sua totale estraneità, nonostante tra i capi dell'organizzazione “Mafia Capitale” siano stati indicati alcuni degli uomini a lui più vicini come l'ex ad di Eur Spa Riccardo Mancini o l'ex capo di Ama Franco Panzironi. Ospite anche lui della stessa cena tra amici e amici degli amici insieme all'ex assessore Daniele Ozzimo, l'ex capogruppo del Pd capitolino durante l'amministrazione Alemanno Umberto Marroni, oggi deputato ed ex aspirante candidato – prima di ritirarsi – alle primarie per sindaco di Roma proprio contro Marino, il padre di lui Angiolo, storico garante per i detenuti del Lazio e l'attuale ministro del Lavoro, allora a capo delle cooperative rosse, Giuliano Poletti. Seduto a un tavolo vicino anche Luciano Casamonica, esponente dell'omonima famiglia malavitosa romana.

Anche a scorrere le foto nella gallery del sito della “29 giugno”, Buzzi appare in compagnia di diversi altri esponenti della politica romana e nazionale, soprattutto del centrosinistra. C'è pure Marino, è vero. Ma come presidente di una delle più importanti cooperative impegnate nel sociale era abbastanza normale che Salvatore Buzzi (intravisto sabato scorso alla conferenza programmatica del Pd e che secondo alcuni, ma il Nazareno si tiene stretto l'elenco degli invitati che Panorama.it ha richiesto, sarebbe stato presente anche alla cena di finanziamento con Matteo Renzi dello scorso 8 novembre) avesse rapporti un po' con tutti. Altra cosa, se dimostrata, tenere alcuni di questi tutti a libro paga.


Così, se fino a ieri era al Pd che Matteo Renzi chiedeva, attraverso il suo vice Lorenzo Guerini, di risolvere “il problema Marino” entro il tempo più breve possibile, massimo gennaio, ora che si è capito che il problema sta dentro il partito è Maria Elena Boschi a invocare un serio esame di coscienza da parte del Pd. “Deve fare chiarezza – ha detto il ministro per le Riforme – perché evidentemente a Roma c'è un problema”. Un problema tanto grosso che se Ignazio Marino fosse davvero un marziano potrebbe risolvere addirittura dalle fondamenta, rispedendo i romani al voto nel giro di due mesi. Per vedere quanti di quelli che lo ritenevano responsabile di tutti i mali della città sarebbero rieletti o conserverrebbero ancora le proprie rendite di potere.


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Claudia Daconto