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Il rottamatore rottamato

Nuova politica sull'immigrazione, le falle del Jobs Act, il no alla Buona Scuola. Cosa resta del renzismo? Solo Renzi, ma ormai lo conosciamo

Questo 2017 è iniziato senza i botti della propaganda, senza gli effimeri annunci di una realtà che non c'è, senza la prospettiva fallace di un tempo dorato visibile solo ai giocolieri delle parole. Il volto sereno e il tono severo di Sergio Mattarella ci hanno introdotto a un 2017 che ha azzerato a reti unificate lo storytelling renziano e cioè quella melassa indigesta declinata ossessivamente su qualsiasi mezzo di comunicazione per quasi tre anni.

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Finito il governo delle astuzie, con una velocità oggettivamente inattesa, assistiamo alla rottamazione del rottamatore. Uno dopo l'altro cadono i pilastri del renzismo, di quella narrazione che immaginava un Paese inesistente ma che pervicacemente lo voleva a immagine e somiglianza di un premier fanfarone.

Dopo la bocciatura popolare del referendum costituzionale, architrave di un'Italia che doveva garantire a Renzi il monopolio delle istituzioni, l'albero del renzismo ha iniziato a perdere i suoi frutti. Ed erano frutti avvelenati o bacati, lucidati solo da quella propaganda che conta sul quasi totale asservimento dei telegiornali nazionali e di alcuni importanti quotidiani.

Il caso Mps si è manifestato in tutta la sua tragicità ed è venuta a galla l'insipienza di un governo che non intervenne a tempo debito pur sapendo a quali rischi stava per esporre i risparmiatori e l'intero sistema del credito.

Sul fronte del lavoro il Jobs act ha improvvisamente manifestato tutti i suoi limiti: gli effetti della "droga" degli incentivi per la creazione di posti di lavoro sono stati analizzati con una serenità finora sempre assente; così come l'utilizzo dei voucher che non vanno cancellati tout-court ma riportati alla loro originaria destinazione.

La gestione dell'immigrazione unita alla lotta al terrorismo induce a pensare l'avvio di un nuovo approccio, dopo lo stupido buonismo e la negazione in radice di qualsiasi emergenza da parte del duo Renzi-Alfano: c'è voluto ancora una volta il presidente Mattarella per spiegare che "non rendersi conto dei disagi e dei problemi causati alla popolazione significa non fare un buon servizio alla causa dell'accoglienza".

È passato meno di un mese dalla fine del governo Renzi, un tempo brevissimo ma sufficiente per sotterrare un'altra riforma che avrebbe dovuto essere epocale: la "Buona scuola". Seppure ispirata da principi sacrosanti, l'incapacità di fermarsi e fare autocritica corre il rischio adesso di far precipitare nella confusione totale professori e alunni, con il concorso di un ministro inadeguato.

Di Italicum, poi, nessuno parla più: la riforma elettorale più bella del mondo approvata con il voto di fiducia è rimasta improvvisamente senza padri. Ecco, fatte rotolare queste pietre ditemi voi: che cosa resta del tempio del renzismo, di quella stagione che lo stesso Pd ha mandato in soffitta in meno di un mese feste comprese? Rimane giusto lui, il livoroso e vendicativo Renzi. Ovviamente non si rassegnerà, fingerà di aver capito la lezione. Sarà un'altra finzione, tanto oramai lo conosciamo.

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ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Mattero Renzi vuole soprattutto elezioni al più presto. Anche per questo punta sul sistema elettorale in vigore dal 1993 al 2001: il cosiddetto Mattarellum. Vale a dire, timido maggioritario corretto con un (bel) po' di proporzionale (foto all'Assamblea nazionale del Pd a Roma, 18 dicembre 2016)

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Giorgio Mulè