"Britney Jean" di Britney Spears: la recensione
Cover di "Britney Jean" - Ufficio Stampa
Musica

"Britney Jean" di Britney Spears: la recensione

Basta prendersi cura di tutte quelle altre. Dal 3 dicembre, occhi e orecchie puntate solo sull'icona musicale più discussa degli ultimi 10 anni. Panorama.it ha ascoltato il suo ottavo album di inediti, perché al cuore pop non si comanda

Dire alla Spears che con il suo "Britney Jean" ha dato vita ad uno degli album più brutti di tutta la sua carriera, è come dire che ci siamo svegliati tardi la mattina dando colpa alla sveglia perché "non ha suonato". È troppo facile.

Il punto è capire cosa ci si possa aspettare da lei. Un prodotto dalla voce di velluto? Un pianeta musicale da scoprire? Testi visionari? No.

Da Britney Spears ci aspettavamo solo un disco che facesse tremare i vetri delle macchine, un disco che portasse a sudare in 10 tracce almeno quanto "I'm a slave 4 U", canzone memorabile che le pareti delle nostre camerette del 2001 ancora se la ricordano con un certo imbarazzo. E invece, tanto ormai non è uno spoiler, non è così.

Quando abbiamo saputo che era "l'opera più personale dell'artista" abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Quando poi abbiamo collegato che c'era dentro Will.I.Am, David Guetta, Sebastian Ingrosso e la penna intimo/zarra di Sia Furler (con una mano da parte di Katy Perry), ci siamo ritrovati così destabilizzati da rimanere senza fiato, confusi. Forza e coraggio, ci siamo detti. 

Così siamo partiti con tutte le buone intenzioni e con il buon ricordo di una tanto piacevole quanto sfortunata "Work Bitch", cercando di trovare, pacificamente e in puro stile natalizio, tutto il buono di questo ottavo album di inediti di Santa Spears (cit.). Ma non ci siamo riusciti.

È inutile aggrapparsi fin da "Alien" all'alterazione computerizzata della sua voce. Era da un po' che non sentivamo più di due parole cantate di seguito da Britney e a costo di sembrare un linguista, le E e le O vengono pronunciate dal filtro in un modo che nemmeno Siri quando viene offesa. Un inizio debole e straniante.

Se chi ben comincia è già a metà dell'opera, meglio passare a "Work Bitch", che abbiamo avuto la malaugurata idea di ascoltare in modalità adatta ai bambini, una roba che io e lo psicologo non dimenticheremo per la vita. Insomma, passiamo a "Perfume", un tentativo non malvagio ma totalmente sgonfio di intensità che si infrange su un ritornello in discesa.

Ci prova David Guetta, in "It should be easy" con Will.I.Am a ridare tono e muscoli ad un disco che proprio qui poteva decollare verso l'infinito e oltre. E invece si allinea in una totale scarsità di idee al già ascoltato, al già conosciuto, al per nulla dimenticato. È andata meglio con "Body Ache", una buona traccia.

Interessante l'intuizione mal cavalcata di "Tik Tik Boom" con l'amato T.I. rapper. Mentre ascolti la traccia senti tutta l'intenzione di puntare sull'usato sicuro, quello di chi giustamente fa industria musicale e che in condizioni normali, dovrebbe confrontarsi con un'artista tendenzialmente mezza matta che ci mette dentro idee, personalità, qualche stupidaggine e tantissimo cuore. E invece.

Annunciare un album come il più intimo quando qui non ci si è tolti nemmeno il cappotto, fa mal sperare per le altre tracce, di cui riusciamo ad apprezzare alcune idee di "Til it's gone" e "Passenger". Ridondanza, qualche lieve senso di noia e cerchio alla testa: se fosse un medicinale, avrebbe un bugiardino già pronto per l'uso.

Visto che al mondo non era già bastato "Nel primo sguardo" di Laura Pausini con Silvia, anche Britney fa il suo primo step familiare nelle sue opere (no, non è il primo in effetti) includendo sua sorella Jamye Linn in "Chillin' with you", forse l'unica traccia del disco con uno spirito tanto "taverna 10 euro a pranzo" quanto sincero.

L'album si chiude con "Don't Cry" e il suo fischio country che però torna sui suoi passi richiamando poi al suo dovere il pop Anni 90. E va a finire che diventa una delle tracce in cui intravedi, seppur stancamente, qualcosa di buono. Nella voce di Britney, nell'arrangiamento e nella costruzione del pezzo.

Insomma, questo "Britney Jean", no, non è un album ambizioso. No, non è un album che cambierà la storia, ma neanche (come invece ha fatto più volte nella carriera, anche ben dopo il "Blackout" del 2007) l'educazione fisica del pop.

Britney ormai, non va più sostenuta per la sua musica, ma per ciò che per moltissimi rappresenta. Quando ascoltiamo un album come questo non c'è nessun dispiacere, nessuna delusione, nessun pentimento. Quando c'è l'amore, come una madre per i figli, si passa sopra tutto.

"Britney Jean" è un'altra copertina da esporre agli amici, un altro tassello da avere ASSOLUTAMENTE (il maiuscolo è fondamentale), ma quella copertina così decorosa con una mano emotiva che le sfiora la guancia, brillerà meno delle altre.

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Alessandro Alicandri