Economia

Roma, la cloaca dove spariscono i soldi degli italiani

Dal 2008 le casse pubbliche versano 500 milioni l'anno per sanare 22,4 miliardi di buco. Ecco i numeri aggiornati del disastro economico della Capitale

Il Sindaco di Roma Ignazio Marino. ANSA/ Massimo Percossi

A Roma le cloache sono due. La prima è quella che emerge dalle inchieste di Giuseppe Pignatone sulla Mafia romana che sta scoperchiando un «mondo di mezzo» popolato da corrotti e corruttori, criminali e politici. Ma non è possibile capire come questa cloaca abbia prosperato senza indagare la seconda. Si chiama «Gestione commissariale del Comune di Roma». È una sorta di discarica dove sono stati scaraventati tutti i debiti che il comune ha accumulato prima del 2008: 22,4 miliardi; circa 5,7 di crediti dei quali 3 inesigibili o inesistenti; contenziosi per espropri del valore di 1 miliardo e 70 mila cause civili.

Tutto inizia nel 2008: dopo 15 anni di Francesco Rutelli e Walter Veltroni al Campidoglio, il Comune di Roma era tecnicamente fallito, schiacciato da una montagna di spazzatura contabile che non riusciva nemmeno a valutare per intero. Per dare un’idea: il comune faceva debiti con le banche per pagare gli stipendi. Ma il governo, invece di dichiarare il dissesto della capitale, decise di ripulirla da tutte le poste passive e metterle in mano a un commissario. Gianni Alemanno, diventato sindaco nell’aprile del 2008, ereditò un comune con un bilancio perfetto ed è per questo che ha potuto aumentare la spesa corrente di 900 milioni.

Il risultato? Dal 2008 i romani e tutti gli italiani pagano i debiti accumulati dalle gestioni Rutelli e Veltroni: i primi attraverso le imposte locali tra le più alte d’Italia e una extratassa di 1 euro su tutti i biglietti aerei per ogni volo in partenza da Roma; i secondi attraverso un contributo statale di 500 milioni l’anno. Fino a quando lo Stato verserà questi 500 milioni? Fino a sempre. Fino alla fine dei tempi. Fino al Giudizio Universale. Così stabilisce la legge del 2010 che ha insediato l’attuale commissario Massimo Varazzani (ex Cassa depositi e prestiti, ex Enav) il quale, in questi quattro anni, ne ha viste, letteralmente, di tutti i colori e potrebbe scrivere un trattato su come la politica, quando è incapace di gestire la cosa pubblica, sa scaricare sulla collettività i suoi errori.

Varazzani non è solo colui che deve pagare i debiti della capitale, ma è anche colui che tiene in piedi Roma. Come? Semplice: facendosi anticipare dalle banche i contributi dello Stato, ha pompato nelle casse comunali, tra il 2011 e il 2013, 2,6 miliardi. Grazie a lui Roma riesce ad andare avanti senza fallire. E la cosa incredibile è che, nonostante questa massa di soldi piovuti sul Campidoglio, nel 2012 lo Stato ha iniettato nel comune altri 1,5 miliardi. E ancora più incredibile è che nel 2014 il governo Renzi ha autorizzato Roma a scaricare sulla Gestione commissariale altri 600 milioni di debiti iscrivendo un credito dello stesso importo sul proprio bilancio, che così magicamente va in pareggio. Ed è perfino inaudito che Roma, dopo essere stata salvata una, due, tre volte, abbia contratto, tra il 2008 e il 2013, 1 miliardo di debito; abbia aumentato il numero dei dipendenti all’incredibile cifra di 57 mila (società municipali comprese) e che per i 25 mila assunti diretti abbia proceduto a un «indebito incremento dei fondi per la contrattazione collettiva» come ha scritto nel 2012 la Ragioneria generale dello Stato.

Tutto questo significa una cosa: che il sindaco di Roma è Ignazio Marino, ma la cassa l’ha in mano Varazzani, che può aprirla o chiuderla a piacimento. E questo significa che la vera battaglia per il controllo politico di Roma non si combatte in Campidoglio, ma si combatterà a marzo quando, in seguito a una pronuncia della Consulta che ha definito illegittima la sua nomina, forse Varazzani dovrà lasciare. Chi lo sostituirà avrà un potere immenso sulla capitale.

Ma torniamo ai numeri della cloaca. Al 31 ottobre di quest’anno i 22,4 miliardi di indebitamento del 2010 sono scesi a 14,3, la maggior parte dei quali (11) sono debiti finanziari, contratti da Rutelli e Veltroni con banche e istituzioni finanziarie con le quali sono stati firmati anche nove contratti derivati, sette dei quali chiusi da Varazzani (con un risparmio di 270 milioni). Se si vanno a spulciare le voci che compongono la massa debitoria si scoprono numeri da capogiro: 411 milioni di prestazioni che il comune non ha mai pagato (debiti verso imprese, bollette…); 691 milioni di debiti fuori bilancio, 722 da oneri di contenzioso per le 40 mila cause civili ancora in piedi; 160 milioni di debiti verso l’Ama (gestione dei rifiuti); 1 miliardo da pagare per gli espropri effettuati e mai indennizzati con l’avvertenza che questo miliardo è stabilito per «induzione», nel senso che nessuno sa davvero quanto valgono quelle 363 cause in piedi.

Per di più Varazzani si è trovato a dover pagare qualche decina di milioni (con un risparmio di circa il 30 per cento sulla richiesta iniziale) agli eredi Vaselli i quali, addirittura dagli anni 60, aspettavano di essere pagati perché il comune, sui loro terreni, ha costruito Tor Bella Monaca, il quartiere teatro della rivolta dei residenti contro gli immigrati, dove gli appartamenti vengono occupati da abusivi, vulcano di tensioni sociali pronte a esplodere in ogni momento.

Poi ci sono i crediti: erano 5,7 miliardi nel 2010, oggi sono 1,8 miliardi. Motivo? La maggior parte di quelli trasferiti dal Comune alla Gestione commissariale erano inesistenti o inesigibili, come, per esempio, le multe. Secondo la Corte dei conti i romani che saldano sono tra il 12 e il 34 per cento e siccome la probabilità che qualcuno pagasse quelle notificate negli anni passati era infinitesimale, Varazzani ha deciso nel 2012 di togliere dai crediti 360 milioni di euro di multe non pagate. E, peraltro, la Ragioneria generale ha certificato che un romano su quattro paga il biglietto dell’autobus (e questo spiega almeno in parte i guai dell’Atac). Ma il credito più importante Varazzani lo vanta nei confronti dell’Ater (case popolari): 400 milioni di Ici che la società regionale non ha mai pagato al comune e che ora dovrebbe versare alla Gestione commissariale. Impossibile. Anche perché l’Ater incassa meno della metà degli affitti ai quali avrebbe diritto.

Può stare in piedi un baraccone di questo genere? Per ora Varazzani c’è riuscito grazie all’ingegneria finanziaria. I contributi statali vengono anticipati dalle banche le quali, sottratti gli interessi, forniscono alla Gestione commissariale i soldi di cui ha bisogno. In questo modo, poche settimane fa Varazzani ha incassato da un pool di banche  5,2 miliardi di euro garantiti dai contributi statali ai quali ha diritto fino al 2040.

A questo punto ci sono due notizie: una bella e una brutta. La bella è che la liquidità della Gestione commissariale è di 6 miliardi, la brutta è che non bastano. Nel 2018, quando non potrà più chiedere anticipazioni, i debiti saranno ancora pari a 8,8 miliardi. Chi li pagherà? Ci sono due strade: la prima è che lo Stato continui a versare 500 milioni l’anno fino a chiudere tutte le pendenze. La seconda è che quegli 8,8 miliardi finiscano nella madre di tutte le cloache: il debito pubblico nazionale. Per questo scandaloso sistema di gestire la cosa pubblica nessuno ha pagato, e nessuno pagherà. Tranne gli italiani.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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