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Gianfranco Rosi, intervista al vincitore del Festival di Berlino

"Fuocoammare", docu-film su Lampedusa, conquista la giuria. Il regista: "Il Mediterraneo non può diventare la tomba di chi fugge dalla guerra"

Fuocammare, il docufilm che Gianfranco Rosi ha dedicato al dramma dei migranti che attraversano il Mediterraneo e tentano di arrivare a Lampedusa, ha vinto l'Orso d'Oro della 66esima edizione della Berlinale. In lizza 18 film, ma il documentario è stato molto applaudito e la rivista Screeen lo ha giudicato il migliore in corsa.

Dove finisce il giornalismo, inizia Fuocoammare. Così la stampa internazionale, New York Times in testa, ha lodato il film di Gianfranco Rosi che ha suscitato commozione e applausi al Festival, vincendo il premio più prestigioso, oltre ai riconoscimenti della Giuria ecumenica, di Amnesty International e del Berliner Morgenpost.

Appena uscito nei nostri cinema e venduto in più di 20 paesi, il documentario racconta la vita quotidiana a Lampedusa tra gli abitanti e i profughi di passaggio. Dell’emergenza migranti si parla ogni giorno, ma stare davanti al mare e ai volti spaventati di chi sbarca dopo un naufragio, è tutta un’altra cosa.

"Questa è la più grande tragedia dopo l'Olocausto" dice Rosi, già Leone d'oro alla Biennale di Venezia per SacroGRA nel 2013 e filmaker-narratore di persone e luoghi invisibili ai più, dai barcaioli indiani di Boatman ai narcotrafficanti messicani di El Sicario -Room164 (nessuna parentela con il Francesco Rosi regista di "Le mani sulla città").

Per girare Fuocoammare è stato per un anno a Lampedusa guardandola con gli occhi di chi ci vive. E pur non puntando su immagini-shock, la presa emotiva del film risulta fortissima, a cominciare dagli sos che la guardia costiera riceve ogni notte o quasi. Voci che chiedono aiuto nel panico, in inglese, mentre i soccorritori cercano di localizzarli. "Un uomo che è un uomo non può stare a guardare" dice nel film Pietro Bartolo, il medico di tutti, rifugiati compresi, che spesso rivede in sogno quelli che non ha potuto salvare. Lo vediamo fare l’ecografia a una donna africana, incinta di due gemelli, cercando di vedere il sesso per dirle se sono maschi o femmine. E visitare il piccolo Samuele, figlio di pescatori che, andando a caccia con la fionda tra i cactus, scopre di avere un occhio pigro. "Una metafora casuale e perfetta" dice il regista. "L'occhio pigro è anche quello di un’Europa che non ha voglia di vedere e affrontare questa emergenza epocale".

Fuocoammare è stato accolto subito come un film politico. Lo era fin dal progetto?

Inizialmente dovevo fare un instant movie che desse di Lampedusa un'immagine più vera, lontana dall'eco mediatica. Ma poi ho trovato un mondo complesso da raccontare. La mia non è un'inchiesta politica, ma è vero che la cronaca impone nuovi ragionamenti: non possiamo lasciare che il Mediterraneo diventi la tomba di chi fugge da guerre, fame e disperazione.

 Cosa risponde a chi ripete che l'Europa non può accogliere tutti, che deve chiudere le frontiere?

Dico che è inutile alzare barriere, nella storia i muri non hanno mai resistito. Chi scappa dalla disperazione e dalla morte non ha altra scelta, e non si fermerà. Come quelli che si lanciavano dalle Torri Gemelle in fiamme, nel 2001. Un profugo mi ha detto: "Anche se ti dicono "potresti morire in mare", finché c'è un "potresti" tu parti".

 Lei che cosa si augura?

Che i politici affrontino l'emergenza, che si tenga un summit come quello recente dell'Onu per il clima a Parigi. Che si creino corridoi umanitari, si pensino soluzioni per fermare le guerre. Altrimenti i profughi saranno sempre di più, passeranno da tre a 30 milioni.

A Lampedusa sembrano tutti solidali, non ha registrato insofferenze o proteste?

Come dice il medico, Pietro Bartolo, è un'isola di pescatori e tutto quello che viene dal mare è benvenuto. I lampedusani sono speciali. Pensi che ho affittato lì una casa per girare Fuocoammare e non riesco a lasciarla.

C'è chi, vedendo il film, l'ha accusata di pornografia del dolore.

Qualcuno che urla c'è sempre, ma era una voce fra gli applausi. Nessuno dovrebbe mai filmare la morte, ma se c'è una tragedia ignorata io sento il dovere morale di farlo. Ho immagini ancora più forti di quelle usate nel film, ho dentro di me scene indimenticabili. D'altronde è la mattanza che non dovrebbe esserci, non io.

 


 

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Ansa
Gianfranco Rosi con l'Orso d'Oro conquistato al Festival di Berlino per il suo film Fuocoammare, 20 febbraio 2016

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Valeria Vignale