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WhatsApp ha venduto i nostri dati a Facebook

Uno dei fondatori della chat più famosa al mondo ha confidato come è sceso a compromessi con Zuckerberg. Un magnate che non guarda in faccia a nessuno

Si chiama Brian Acton e una decina di anni fa muoveva i primi passi con WhatsApp. Insieme all’amico e collega Jan Koum, è considerato uno degli imprenditori che ha cambiato il modo di approcciare la digitalizzazione da parte delle persone, con una piattaforma che, di fatto, ha ucciso gli sms.

L’applicazione da oltre 1,5 miliardi di utenti è passata nel 2014 nelle mani di Facebook, che ha sborsato 22 miliardi di dollari per averla. Quattro anni fa, il servizio era ancora a pagamento, 89 centesimi di euro da versare ogni 12 mesi, ma dopo l’avvento del social è diventato gratuito, con la promessa da parte di Brian e Jan di “non chiedere più nulla ai nostri iscritti” e di “non vendere mai pubblicità per guadagnare”. Non è andata proprio così.

Cosa è successo

Approfittando di un’intervista con Forbes, Brian Acton ha raccontato in che modo Mark Zuckerberg aveva pensato di far soldi con l’app. Il modello di business di Facebook è basato sugli annunci pubblicitari, una strategia del tutto opposta all’etica operativa che i due fondatori di WhatsApp si erano imposti da seguire.

Separazione dovuta

La diatriba interna è giunta al culmine quando, lo scorso anno, Acton è uscito dal gruppo di Zuck, lasciando dietro di sé almeno 850 milioni di dollari di azioni non vendute. All'inizio del 2018, anche Koum aveva pensato all’abbandono, anche se sta continuando il suo lavoro a intermittenza per cercare di massimizzare i profitti e non perdere nulla. Che dentro gli uffici sia successo qualcosa è evidente, tanto che allo scoppio dello scandalo di Cambridge Analytica, su Twitter Brian Acton ha postato senza esitazione È tempo di cancellarsi da Facebook.

    Condivisione dei dati

    Un paio di anni fa, Facebook ha rivelato i piani con cui avrebbe voluto condividere i dati degli iscritti a WhatsApp con quelli degli utenti di Facebook. A gennaio 2018, il client di messaggistica ha annunciato il rilascio della versione Business, per consentire alle aziende di gestire e inviare messaggi non promozionali ai clienti, sostenendo un costo fisso. Poteva essere questo l’introito in grado di calmare le mire economiche di Zuckerberg e invece no.

    Tutti coinvolti

    Di recente è girata voce che entro il 2019, WhatsApp comincerà a mostrare annunci nella sezione Stato dell’app, banner e adv provenienti da Facebook. Acton e Koum non hanno mai voluto che l’app diventasse qualcosa di simile ma dovevano aspettarsi che, in qualche modo, quei 22 miliardi di dollari rientrassero in sede prima o poi. Entrambi sono usciti dal social, o almeno ci stanno provando, quando hanno capito che Zuck se ne sarebbe infischiato delle promesse fatte anni addietro.

    “Alla fine ho venduto la privacy dei miei utenti per avere un vantaggio maggiore. Ho fatto una scelta, un compromesso, e ci convivo ogni giorno”. Il riferimento è all’incrocio di dati che, seppur stoppato dall’Unione Europea, Facebook metterà in pratica con la condivisione delle API per lo sviluppo di banner con agenzie di terze parti. Sappiamo che oggi per comprare annunci sulle bacheche è possibile profilare gli utenti, tramite generalità ampie (nessun nome e cognome) ma comunque per mezzo di categorie specifiche ed esaustive.

    App diverse, stesso monitoraggio

    Una volta collegati gli account tra le due app, gli stessi sviluppatori potranno diffondere i loro annunci tra le piattaforme, ottenendo dati utili sia allo scopo del social vero e proprio che a quello dei frequentatori delle chat. Lo sfogo del fondatore non arriva in un momento casuale.

    Qualche giorno fa, i creatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, hanno annunciato la loro dipartita da Facebook, che aveva acquisito l’applicazione più amata dagli influencer nel 2012. Pare che il rapporto con Zuckerberg non fosse dei migliori e di questo passo il giovane milionario si ritroverà solo. Ma con una barca di soldi.

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    Antonino Caffo

    Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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