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Un marito a metà: per averlo (quasi) tutto – La recensione

Divertente e paradossale commedia francese di Alexandra Leclère. Con una moglie e un’amante a spartirsi il loro uomo vivendoci insieme a settimane alterne

Che spasso. Il film, la storia, gli attori. Certo, più per lo spettatore che per i personaggi, se volessimo considerarli reali e davvero coinvolti nell’intrico sentimentale da macerazione continua. Perché Un marito a metà (in sala dal 30 agosto, durata 104’), quinta regìa di Alexandra Leclère, viaggia sul filo di un paradossale estremismo di contesto, per molti versi associabile al suo precedente Benvenuti… ma non troppo, 2016, quello degli inquilini di un lussuoso quartiere parigino obbligati per legge ad ospitare gruppi di immigrati. Di Leclère, è evidente, diventa tendenza stilistica il gusto per le situazioni esasperate, spesso ai limiti del surreale, attraverso le quali riesce a dispensare divertimento:  grazie anche all’intelligente distribuzione delle scene e alla brillante scrittura del dialogo.

La violinista e la libraia unite in un amore comune

Al centro del racconto e della contesa che genera c’è Jean (Didier Bourdon, che ci piace sempre di più), signore in carne, ben maturo, sposato da 15 anni, due figli, sembiante pacioso. Sua moglie si chiama Sandrine (Valérie Bonneton) e scopre che lui la tradisce da un annetto con Virginie (Isabelle Carré). Lei fa l’insegnante di violino ed è violinista ella stessa; l’altra ha una libreria e vive, dunque, tra i libri.

Di sicuro lui, che del resto fa il professore di letteratura all’università, ama l’arte e la cultura, preso com’è da entrambe. Le quali, peraltro, accantonate ripicche e vendette, incominciano a litigarselo, meglio, a dividerselo perché nessuna delle due vuol perderlo definitivamente.

Quel “triangolo” pilotato tra beffe e ribaltoni

Succede che, come una scheggia (e in fondo un disegno diabolico) parta la folle idea di  Sandrine: chiedere a Virginie di tenersi Jean una settimana ciascuna, una di qua e una di là, una con la bruna, una con la bionda. Col risultato di spiazzare totalmente  l’uomo, a volte ribaltandone le preferenze muliebri, altre volte beffandolo, sempre molto deliziando con battute sàpide e sprazzi di umorismo sottile.

Se questo pilotato triangolo sia destinato a infrangersi o a perpetuarsi, forse in una sorta di “affidamento congiunto”,  lo si scoprirà al cinema, perché qualche piccola sorpresa il racconto, nel finale, la potrebbe riservare.

Geometrie,  sincronismi   e godibile contenuto

Altre certezze, piuttosto, appartengono alla forma del film, oltre la godibilità del suo contenuto di commedia. Per esempio al suo perfetto schema sincronico e geometrico (il faro: Ernst Lubitsch) e alle corrispondenze tra i personaggi , anche nel moltiplicarsi, quasi a “specchio”, dei loro riferimenti famigliari, dai genitori di Virginie che vive lo choc giocoso del padre-paterno Félix (Michel Vuillermoz)che sta tardivamente diventando gay; a quelli di Sandrine, dai quali lei cerca inutilmente conforto, travolta dalla franchezza della madre (recitata da Hélène Vincent) che tollera da sempre i tradimenti del marito (Jackie Berroyer) la consola così: “Dicono che due coppie su tre affrontano l’adulterio almeno una volta nella vita. Prima o poi succede a tutti. Infatti secondo me la terza coppia non dice la verità. Guarda tuo padre che combina: ora che è in pensione colpisce nel quartiere e se la fa con una farmacista”.

“Papà, hai giocato al dottore con quella signora?”

Frasi e battute felici. Quella del figlioletto di Jean, che al ritorno del padre in casa dopo la settimana passata con Virginie, gli chiede: “Papà, hai giocato al dottore con quella signora?”. E che dire della scena dove, quasi all’inizio del racconto, Sandrine stampa dal cellulare del marito fedifrago i messaggi svenevoli e insieme fiammeggiati testimoni  del tradimento, li ripiega con cura e si presenta all’università, nel pieno di una raffinata lezione di letteratura tenuta da Jean sulla corrispondenza amorosa, alza il dito per chiedere parola e, con calma si mette a leggere uno sms dopo l’altro tra lo sconcerto e l’ilarità generali.  Una imperturbabile, spiritosa “piazzata” che riporta alla migliore Comédie Française dove l’emiciclo universitario  diventa platea teatrale e gli studenti diventano pubblico.

Raffinatezza funambolica. Trasferita anche sul piano del politicamente scorretto (già praticato in Benvenuti… ma non troppo) con le due donne sospese tra solidarietà e vendetta tutte al femminile e quello strano modo di diventare ad un tempo odalische e geishe attorno al loro uomo.

Officine Ubu distribuzione, ufficio stampa Echo srl, Stefania Collalto, Lisa Menga, Giulia Bertoni
“Un marito a metà” di Alexandra Leclère - Didier Bourdon

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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