Un ecosistema molto sviluppato di start-up e aziende evolute, formazione nell’alta tecnologia, un ampio bacino di talenti che lavorano utilizzando l’inglese, agevolazioni per gli stranieri, energie sostenibili. Così Lisbona, ispirandosi al modello California, è riuscita a superare l’Italia nel richiamare investimenti esteri. Ma può essere anche uno stimolo.
Eccolo lì il ponte clone, che arde di rosso tra due sponde del fiume Tago, architettura quasi fotocopia del Golden Gate Bridge di San Francisco. Poi c’è il vino, ottimo come nella contea californiana di Napa, magari troppo dolce per i gusti di qualcuno. E tutti o quasi parlano bene l’inglese, pure nel ristorante arrampicato sull’ennesima collinetta ripida. L’oceano è un altro, però sembra lo stesso: freddo, profondo, pronto a imbizzarrirsi per i devoti del surf. Inevitabili, allora, i parallelismi: «A lungo abbiamo presentato il nostro Paese come la West Coast d’Europa. Con quell’area degli Stati Uniti condividiamo similitudini nella mentalità: siamo, come in Silicon Valley, accoglienti verso il business. Ci sentiamo una società aperta» riflette Filipe Santos Costa, ceo dell’Aicep, l’Agenzia portoghese per il commercio e gli investimenti. Un ente governativo il cui compito è semplificare la vita a qualunque impresa voglia espandersi nell’angolo più occidentale del Vecchio Continente.
Costa incontra Panorama nel suo ufficio al piano alto di un palazzo a vetri nella zona degli affari di Lisbona, tra bandiere, un tavolo chilometrico, plurimi formalismi altisonanti. Ma il manager si scioglie subito, sta al gioco delle similitudini con una delle aree più ricche e tecnologicamente avanzate del pianeta. In fondo, è un gran complimento: «Riconosco una convergenza nell’approccio, una sovrapposizione identitaria. Il loro modello, basato sull’accumulazione del capitale, sull’affermazione progressiva di internet, non è replicabile. Come loro, in compenso, non abbiamo timore di sperimentare schemi inediti di business».
Il risultato è stretto in un manifesto appeso a una parete, in un elenco di risposte alla più semplice delle domande: «Why Portugal?». Perché conta sette unicorni, ovvero le start-up valutate oltre un miliardo di dollari (In Italia arriviamo appena a tre); ha un ricco ecosistema di aziende innovative, che da sole pesano per l’1 per cento del prodotto interno lordo. E c’è tutta la galassia di fattori non economici, dalla rilevanza profonda: il Portogallo è la settimana nazione più sicura al mondo, si allunga su quasi mille chilometri di costa, è scaldato da 300 giorni di sole l’anno, vanta una temperatura media di 15 gradi. «La pausa pranzo all’aperto è un rito irrinunciabile. Con meno di dieci euro si mangia una zuppa, un piatto di pesce o di carne. E si beve il caffè. Il costo della vita, rispetto alla Germania, è decisamente diverso» racconta Markus Krammer, responsabile della strategia e dell’esecuzione delle attività di prodotto di Nfon, società tedesca specializzata in soluzioni innovative per la comunicazione aziendale. Il manager ha indagato in mezza Europa, incrociando dati e parametri. Infine, ha deciso che Lisbona era giusta per inaugurare una sede estera dove sviluppare software: «I talenti» spiega «non mancano e sono di primo livello. Hanno un approccio internazionale, sono motivati a contribuire al successo della compagnia. Sono meno stressati, più rilassati». Krammer, come tanti, si è lasciato sedurre dal Portogallo: pur lavorando nel quartier generale di Monaco, ha chiesto e ottenuto di poter tornare qui almeno una volta al mese. Già, la famosa saudade. Si è comprato una casetta vicino alla spiaggia, dall’altra parte del ponte rosso: «Un regalo che sentivo di dovere a me stesso».
Con questo ibrido di sostanza e sentimento, il fratello minore della Spagna ci ha raggiunti e fatto lo sgambetto: lo «European Investment Monitor» della società di consulenza EY, pubblicato pochi mesi fa, certifica che nel calamitare gli investimenti stranieri il Portogallo ha scavalcato l’Italia, piazzandosi, nel 2022, al sesto posto in Europa. Rispetto a dodici mesi prima, i progetti d’investimenti diretti esteri sono aumentati del 24 per cento, mentre nel nostro Paese la crescita, che pure c’è stata in modo notevole, si è fermata al 17 per cento. «Oltre all’apertura verso il digitale» osserva ancora Filipe Santos Costa «un contributo fondamentale arriva dalla diffusione delle energie verdi. Non puntiamo più su petrolio, gas e carbone, ma sulle rinnovabili. Le rendiamo disponibili a un buon prezzo. È un elemento che piace alle big tech, le spinge a premiarci».
I giganti della tecnologia sbandierano obiettivi di approvvigionamento green, qui li raggiungono dal giorno in cui attaccano la spina. Da queste parti ci sanno fare nell’alleggerire, nel rendere memorabili le conoscenze occasionali. In tre giorni di permanenza, abbiamo incontrato l’imprenditore talmente orgoglioso del suo ufficio da farcelo visitare a mezzanotte, dopo un bicchiere di Porto. Mentre a pranzo scatta automatico l’invito davanti all’oceano, negli stabilimenti balneari aperti pure d’inverno, pronti a servire uno squisito, diversamente digeribile bacalhau con panna e olive. Qualche metro più giù, un gruppo di ragazzi prende il sole. Sono gli studenti della vicina Nova school of science and technology, università a 15 minuti di strada dalla capitale e a dieci dal mare. Conta 8.500 iscritti, una moltitudine di programmi legati all’innovazione, 300 ricercatori che sfornano circa 1.300 pubblicazioni l’anno e hanno registrato più di 300 brevetti. L’ateneo ha siglato partnership con prestigiosi omologhi statunitensi quali la Carnegie Mellon di Pittsburgh e la University of Texas di Austin. Area che, guarda caso, negli Usa è considerata la prosecuzione naturale della Silicon Valley californiana.
Nel campus ci sono grandi prati verdi, laboratori all’avanguardia, mostre di quadri e fotografie nelle aree comuni. «Le competenze aiutano a trovare un’occupazione, le «soft skill» sono quelle che distinguono un candidato, gli fanno vincere un colloquio. Agli studenti insegniamo a risolvere problemi, a essere flessibili e sensibili, a pensare in maniera creativa» dice José Paulo Santos, il vicepreside per le materie scientifiche, nell’ennesima sala riunioni oceanica. L’approccio formativo è soprattutto pratico: costante confronto con le aziende e tirocini. «Bisogna imparare a rispondere in anticipo ai problemi della società» ripete Santos. Da Nova sono uscite figure di spicco della Nasa, di Google, del Cern, più fiumi di talenti che andranno, o sono già, a lavorare in start-up locali e internazionali.
Il Portogallo non è l’Eden, ma ha un buon vento a suo favore. Così, sebbene il governo sia stato da poco spazzato via da uno scandalo di corruzione, nessuno si dice spaventato per le imminenti elezioni di marzo: l’assetto politico vede contrapposti due grandi, radicati schieramenti. La sensazione, sussurrata a microfoni spenti da imprenditori e figure pubbliche, è che chiunque prenderà il potere non farà rivoluzioni. Una manovra epocale, per esempio, doveva esserci a fine 2023, ma è stata rimandata di un anno: il Paese, da sempre mecca dei nomadi digitali, avrebbe dovuto interrompere la tassazione agevolata (al 20 per cento per 10 anni) per gli stranieri che trascorrono sul territorio, producendo reddito, più di 183 giorni l’anno. Una norma parecchio criticata perché iniqua: i cittadini portoghesi arrivano a versare nelle casse dello Stato fino al 48 per cento dei loro introiti e, spesso, faticano a permettersi una casa. Il galoppo dei prezzi del mercato immobiliare è una consuetudine anche in Silicon Valley, terra di ricchezza e disuguaglianze. Sono i risvolti di una società aperta, che a tanti chiude la porta in faccia.
