Il gruppo guidato da Alessandro Profumo ha rilevato una quota del 25% della società tedesca Hensoldt. E con un investimento di oltre 600 milioni subentra al fondo americano KKR per cesellare una partnership industriale. Al tempo stesso Thyssen-Krupp prova ad uscire dalla Ast di Terni dove Marcegaglia o Arvedi possono correre in soccorso. Nuove sinergie che si infilano nel rapporto preferenziale tra Parigi e Berlino.
Scorrere le pagine del Recovery plan appena rilasciato dal governo ci ricorda sì l’importanza della politica, nella decisione degli orizzonti di una società, ma soprattutto quanto il settore industriale sia ancora cruciale per le nostre economia. E proprio da un incrocio cooperativo, non invasivo e clientelare, tra politica e industria che può arrivare la ripresa economica nei prossimi anni. Proprio sul fronte industriale negli ultimi giorni è arrivata una buona notizia. Il gruppo Leonardo, di cui lo Stato italiano è azionista di maggioranza, uno dei maggiori player europei nel settore della difesa ha rilevato una quota del 25% della società tedesca Hensoldt. Leonardo, con un investimento di oltre 600 milioni, subentra al fondo americano KKR per cesellare una partnership industriale nel settore della Difesa.
Hensoldt è una società leader nella produzione dei sensori in particolare, componenti essenziali per le applicazioni di cyber security e della robotica. La società italiana sarà il maggior azionista del gruppo insieme alla potente Kfw, la Cassa depositi e prestiti tedesca. È evidente che l’operazione abbia avuto il beneplacito del governo tedesco, segno della volontà di una maggiore cooperazione strategica tra Roma e Berlino ed il riconoscimento del valore di Leonardo nell’ambito della sicurezza tecnologica. Ma c’è di più dietro l’operazione. Come mostra il recente libro Italia e Germania. L’intesa necessaria (Bollati Boringhieri) di Flavio Valeri, Beda Romano e Federico Niglia la Germania non ci sta «colonizzando», tutt’altro. Nella realtà esiste un’osmosi necessaria tra due nazioni europee che sono sempre più interdipendenti. Ed è quanto la vicenda Leonardo-Hensoldt mostra. Inoltre, la fusione tra le due realtà è anche un presidio dell’ancoraggio Atlantico dei due paesi considerando che Leonardo ha l’85% del suo fatturato composto da vendite agli apparati militari di Usa, al Regno Unito e al resto d’Europa. Tuttavia, come è noto, gran parte della classe dirigente italiana sogna un’integrazione maggiore con la Francia sia dal punto di vista politico che economico-finanziario, eppure dal punto di vista produttivo il legame più forte è con i tedeschi. Si tratta dunque di attenuare quell’idea che la Germania sia un ostacolo al nostro futuro in Europa. Berlino è un’amicizia più importante di quella di Parigi. E proprio le imprese e la finanza tedesche andrebbero anzi coinvolte, entro i limiti di protezione dei nostri asset strategici, in quei progetti d’investimento che devono da ora ricostruire la struttura della nostra offerta e lo stock di capitale così come Berlino cerca di fare con le aziende di punta italiane. Con moderazione, senza gli eccessi degli entusiasmi esterofili che talvolta nel nostro paese coincidono con la volontà di dipendere dallo straniero, si può costruire una maggiore integrazione con la Germania. Un’altra notizia in tal senso arriva dalle acciaierie di Terni (AST), dove la Thyssen-Krupp ha deciso per ragioni di politica industriale di mettere sul mercato lo stabilimento. Attualmente il core business di Terni e’ costituito dai laminati piani in acciaio inossidabile, per i quali Ast é leader in Italia. L’acciaieria è inoltre fra i più grandi produttori di acciaio inox in Europa. Gli impianti, concentrati a Terni, occupano un’area di oltre 1,5 milioni di metri quadrati e coprono per intero il ciclo di fabbricazione a partire dalla fusione. I forni elettrici dell’impianto sono impiegati per produrre circa 1.000.000 di tonnellate di acciai speciali l’anno. Ast occupa direttamente piu’ di 2.400 persone, mentre altre centinaia sono i lavoratori coinvolti nei servizi e nell’indotto. Indissolubilmente legata al territorio umbro, i 630 milioni di euro investiti dall’azienda negli ultimi dieci anni rappresentano il 10% del Pil della Regione. Anche in questo caso è probabile una passaggio dalle mani tedesche a quelle italiane. Due i potenziali acquirenti. Marcegaglia e Arvedi. La motivazione che spinge Marcegaglia a rilevare Terni è di natura tattica in quanto giunge a seguito dei dazi Ue sull’import di laminati inox a caldo, Marcegaglia ha dunque bisogno di un impianto produttivo non potendo più importare laminati dall’Asia. Anche Arvedi, tra i maggiori produttori italiani, è interessato a Terni.
Negli ultimi anni ha investito 50 milioni nell’llta Inox al fine di portare la capacità produttiva totale da 60 mila a 120 mila tonnellate di tubi per fare concorrenza a Marcegaglia. A differenza di Marcegaglia, Arvedi è un produttore siderurgico (non un distributore) che cola acciaio seguendo un innovativo processo produttivo basata sul forno elettrico grazie all’intuizione di Giovanni Arvedi che ebbe il sostegno di Enrico Cuccia. C’è dunque anche una partita concorrenziale tra i due gruppi italiani e questa è una buona notizia, segno di vivacità in un momento difficile per il mercato degli acciai. Tanto la vicenda Leonardo che quella di Ast sono sue buone notizie, seppure di diversa portata. Dopo anni di terrore di colonizzazione Franco-tedesca il Belpaese può forse tornare a dire la sua in modo più assertivo grazie al realismo nell’uso della golden power e soprattutto grazie alla qualità industriale espressa dai suoi gioielli pubblici e privati. Una forza che permette di posizionare il paese anche in una migliore posizione strategica tra Washington, Parigi e Berlino.