Home » Come farsi il Cv (Curriculum vitae) a prova di intelligenza artificiale

Come farsi il Cv (Curriculum vitae) a prova di intelligenza artificiale

Come farsi il Cv (Curriculum vitae) a prova di intelligenza artificiale

Non basta più riassumere le proprie esperienze e competenze. Oggi i profili dei vari aspiranti a un’assunzione vengono valutati da algoritmi automatici, che pesano e incrociano tra loro numerosi fattori, spesso indecifrabili. Un esperto selezionatore di risorse umane svela i metodi per essere più furbi delle macchine. E partire in vantaggio sugli altri candidati.


Se non è una guerra, di sicuro è una corsa a ostacoli. Prima di riuscire a convincere un selezionatore di essere la persona giusta, quella da assumere, bisogna fare in modo che il nostro profilo non venga scartato in partenza in mezzo a centinaia, che la nostra candidatura arrivi sotto il suo naso. Di più: un buon curriculum è solo un tassello di un mosaico di strategie da mettere in piedi per trovare lavoro o cambiarlo, per crescere di stipendio e posizione.

Una premessa resta imprescindibile: a complicare lo scenario, di recente, è intervenuta l’intelligenza artificiale. Un’etichetta altisonante, non sempre appropriata, che racchiude le procedure automatiche per scegliere gli aspiranti migliori prima di scrutinarli. Escludendo gli altri senza nemmeno un congedo, uno standard e mesto «le faremo sapere».

Secondo una ricerca mondiale condotta dalla società PwC, il 58 per cento tra i più quotati esperti di risorse umane reputa la tecnologia uno strumento fondamentale per trovare nuovi talenti. Già qualche anno fa, rispondendo a un sondaggio condotto dal social network LinkedIn tra manager incaricati di reclutare personale, il 67 per cento di loro dichiarava che l’Ai gli faceva risparmiare tempo. Non c’è scampo, l’obiettivo deve essere giocare d’astuzia: dimostrarsi, senza barare, più furbi delle macchine. Diventare quello che i selezionatori chiamano un «A Player», un’eccellenza che tutti vorrebbero mettere sotto contratto. Naturalmente, non è così semplice. È l’esatto opposto.

«Occorre adottare un’autentica strategia di marketing, lavorare su sé stessi, sul proprio marchio. Scrivere una storia unica, cucirla su misura, addosso all’azienda alla quale si punta» sintetizza Daniele Bacchi, fondatore e Ceo di Reverse, società specializzata nell’«agile headhunting». Una versione aggiornata del vecchio cacciatore di teste, capace di coniugare innovazione e metodi d’analisi tradizionali. Reverse è attiva anche all’estero, ha una rete di 500 scout, tra i suoi clienti ci sono multinazionali e marchi molto noti del made in Italy.

«Gli algoritmi più comuni sono quelli di matching» osserva Bacchi: «Si tratta di software che leggono digitalmente i curriculum e ne filtrano il contenuto tramite parole chiave, attribuendo un peso, un punteggio, alle più rilevanti per una determinata posizione». Dunque «il Cv a prova di Ai» è una formula accattivante, ma pure una clamorosa falsità. Il singolare è inapplicabile, va declinato al plurale: servono tante varianti di Cv. «Se mi sto proponendo per lavorare in un supermercato, dovrò enfatizzare concetti ed esperienze quali cassiere, banconista, gestione della merce, rapporto con il pubblico, relazioni con la clientela e così via». È pura semantica: stressare gli aspetti congruenti con il proprio traguardo.

Troppo vago e piuttosto ovvio? Niente affatto. Di quell’edificio di frasi che è un curriculum, è mutata profondamente la modalità di costruzione. È più agevole modificarla, centrarla, tarala di volta in volta, senza brancolare nel buio: «I social network sono uno straordinario strumento di trasparenza. Si può bonariamente spiare su LinkedIn il responsabile delle risorse umane della società d’interesse, vedere quali post consiglia, cosa scrive. Quali sono i valori che reputa cruciali». E sulla base di questi, imbellettare, aggiustare i campi, le voci, che danno forma alla propria immagine. Fino a tentare lo sprint: «Se davvero lo si vuole contattare, si decide di scrivergli, mai usare un messaggio standard, fare riferimento a qualcosa che possa colpirlo».

In parallelo, è necessario scolpirsi un profilo. Da subito, non solo quando si è a caccia di un nuovo impiego. «Internet è un pozzo d’informazioni aperto a tutti, disponibile gratuitamente o a costi ridotti». Il suggerimento è leggere, documentarsi, divulgare in bacheca i concetti appresi, in linea con i propri territori d’interesse. Tentare, così, di farsi notare. «Sul mercato del lavoro la timidezza è uno svantaggio. Come lo è un vendersi smaccato. È necessario essere sottili, raffinati». Ed evitare scivoloni, insanabili ingenuità: «Tutto quello che pubblichiamo, lo dice la parola stessa, è pubblico. Lo ricordo soprattutto ai giovani, che pensano di parlare con gli amici, invece si stanno esponendo per sempre e rischiano di pagare il prezzo di una leggerezza di troppo».

L’esempio più recente è il caso di Alexi McCammond, la giornalista costretta a rinunciare alla direzione della rivista Teen Vogue per alcuni tweet razzisti risalenti a dieci anni prima. «Se proprio si vuole esagerare, sbottonarsi, almeno si tenga il profilo privato, filtrando bene gli accessi». E questo vale su Facebook, Instagram, qualunque arena di bit. Un’altra ottima idea è aprirsi un blog, un sito o una pagina personale, «in cui descrivere le proprie passioni, cosa ci rende unici». Le imprese, specie le più strutturate, per assumere fanno come le università americane prestigiose: non ammettono gli studenti solo con il massimo dei voti, ma quelli impegnati in tante attività extracurriculari. «La diversità, la capacità di uscire dallo standard, è un valore oggi ritenuto fondamentale».

Se il curriculum ha superato le maglie degli algoritmi, è atteso dal «check social» e dal «check Google». Banalmente, un’analisi accurata di quello che si trova su internet di noi. Per buona parte, possiamo controllare questa narrativa, sedimentarla un po’ per volta, dando così l’impressione che non sia frutto di uno slancio del momento, ma specchio della propria indole più autentica, un riflesso fedele dello spirito.

Già, è una faticaccia, che per giunta rischia di servire a poco, sempre a causa dell’intervento solerte dell’intelligenza artificiale: «Sarà capitato a tutti» dice Bacchi «di andare su un e-commerce e, per ogni prodotto, vederne segnalati altri cinque che potrebbero piacerci. L’Ai ci arriva osservando che migliaia di consumatori prima di noi, hanno visualizzato le pagine di quegli oggetti subito dopo quello di nostro interesse. Lo stesso accade nelle aziende: su decine di migliaia di impiegati, si accorge che in media performa meglio chi possiede determinate competenze. E consiglia di assumere aspiranti con caratteristiche analoghe».

Torniamo all’esempio del supermercato: pensiamo di stressare nel curriculum i nostri studi scientifici per sottintendere che siamo più abili con i numeri, dunque saremmo cassieri o addetti all’inventario provetti. Invece, l’algoritmo premierà chi ha una formazione umanistica, perché statisticamente più produttivo. Su queste variabili, purtroppo, non c’è controllo. Poco male se siamo chi siamo: saremo i candidati perfetti per qualche altro lavoro.

© Riproduzione Riservata