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Doors: il vero Jim Morrison

Doors: il vero Jim Morrison

A cinquant’anni dalla sua morte, il frontman della band resta una figura complessa. Poeta razionale e spirituale, voleva entrare in contatto con il mondo superiore.


Lo sciamano faceva da guida, il panico pieno di voluttà evocato attraverso droghe, canti e danze precipita lo sciamano in uno stato di trance. La voce trasfigurata, i movimenti convulsi, si comporta come un ossesso. Gli sciamani mediavano tra l’uomo e il mondo degli spiriti. I loro viaggi mentali sono il momento cruciale della vita religiosa della tribù. La seduta spiritica come mezzo per curare le malattie». Sono parole di Jim Morrison tratte da The Lords e riportate da Philip O’Leno, amico intimo del cantante dei Doors quando entrambi frequentavano la scuola di cinema del celebre ateneo Ucla.

A cinquant’anni dalla morte di Morrison, avvenuta a Parigi il 3 luglio 1971, le poche frasi sullo sciamanesimo sono forse quelle che meglio ci fanno capire chi e cosa fosse davvero questo giovane uomo che da solo ha dato vita a una rivoluzione. Ancora adesso, viene mummificato come icona della rivolta. Da un lato è identificato come una sorta di ispiratore del movimento hippie statunitense, simbolo di quello che poi si sarebbe chiamato flower power. Dall’altro, ci viene venduto come un ribelle fine a se stesso. È lo spirito del tempo, dopo tutto. Il ribelle è il feticcio della nostra epoca. Colui che «sfida le convenzioni», sovverte la morale costituita, ha il coraggio di andare «controcorrente».

Sono ribelli le rockstar, gli attori, gli scrittori, i poeti. Persino gli scienziati e gli uomini d’affari: nell’immaginario hollywoodiano chiunque «violi le regole» è eroe. Tutti devono essere ribelli, è l’imperativo che giunge dall’alto, dalla pubblicità, dai media, dall’intrattenimento. «Ribellarsi è giusto!» tuonava Jean-Paul Sartre. «Ribellarsi è giusto!» ripete oggi il filosofo Alain Badiou. Che, non a caso, ripristina lo slogan per ricordare il ’68, momento fondativo del ribellismo di massa.

Tutte queste manfrine sulla ribellione sono però parecchio dannose. Chiedetevi: perché, attualmente, si elogia tanto il ribelle? Perché è l’individuo che fa ciò che gli pare. Egli rivendica il «diritto» di andare oltre le leggi e le convenzioni perché, semplicemente, «desidera» così. Il ribelle è l’incarnazione degli spiriti animali del neoliberismo. È, fondamentalmente, un asociale, un egoista, uno che vuole imporsi a tutti i costi, a discapito degli altri. L’icona perfetta del sistema che sovverte ogni regola naturale, distrugge ogni gerarchia e sbriciola ogni valore.

Jim Morrison non è stato nulla di tutto ciò. Ribelle, certo. Ma basta leggere i bei libri che gli ha dedicato Frank Lisciandro per capire che la sua era una «rivolta contro il mondo moderno», molto più aderente ai canoni di una tradizione ancestrale che alle leggi ferree della moralina ultracapitalista. Sì, lui superava i limiti. Ma non per distruggere l’ordine naturale. Piuttosto, per mettersi in comunicazione con un mondo superiore. «Era razionale e spirituale» dice il suo amico Phil. «Cioè, Jim forse non meditava né andava in chiesa, ma cercò sempre […] di trattare chiunque con giustizia e onestà e si sforzò di non comportarsi da stronzo e di non fare screzi, perché intorno a lui ci fossero solo vibrazioni positive».

Jim era interessato allo spirito. Leggeva Carlos Castaneda, Herman Hesse. Ma non con la superficialità con cui questi autori sono passati al grande pubblico (ridotti a paccottiglia per borghesi annoiati). No, lui voleva attraversare «le porte della percezione». Si interessava all’alchimia, che è un viaggio eroico alla scoperta di se stessi e dell’anima del mondo. Amava gli alchimisti perché «in sostanza riconoscevano una forma di trascendenza – per quanto lavorassero nel mondo fisico su metalli e sostanze chimiche – ed era chiaro di cosa si trattasse». Le droghe gli servivano per la ricerca, pur con tutte le debolezze e le cadute che possono accompagnare un giovane uomo. Sul palco, si muoveva come uno sciamano. Era una figura dionisiaca.

Nel bellissimo Jim Morrison. Wotan in rock, Luca Leonello Rimbotti scrive: «Nei meandri dell’uomo europeo giace da sempre – muto ma vivo – archetipo di potenza proveniente da mondi arcaici: secondo Jung, che perlustrò l’inconscio collettivo come giacimento dell’istinto irrazionale, tale presenza ha il volto inquietante e un po’ “criminale” di Wotan/Odhin, il dio monocolo padrone delle rune. Mago sapiente e poeta, simbolo del potere occulto e liberatorio della natura, fratello della bevanda d’idromele sacro che trasfigura e spalanca le visioni, Wotan, in fondo, non è che un altro nome per dire Dioniso. Non è stato forse solo per un caso che Nietzsche ha chiamato Dioniso il suo dio, e non Wotan. Il dio sciamano Wotan, poeta visionario e guerriero onnisciente, sparse la sua semente psichedelica su germani, celti, slavi, greci e romani e, di nome in nome, corse per tutte le regioni di Est e Ovest, di Nord e Sud, avendo lo stesso sangue di Shiva, Bacco, Orfeo, Dioniso».

Ecco, questo sangue è stato sparso anche su Jim Morrison. «Ce lo presentano come un’icona del flower power californiano ma non lo è mai stato» dice Rimbotti a Panorama. «Non perché lo dico io, ma perché nulla in quello che ha detto e fatto ce lo potrebbe far pensare. Non è per caso che non si esibì a Woodstock, non ci volle andare lui». Secondo Rimbotti, Morrison era sì un ribelle, «ma si ribellava alla società dei consumi, portatore di valori che potremmo definire di superomismo. Era una figura prometeica che si abbeverava agli scritti di Nietzsche e alle poesie di quel mistico geniale che fu William Blake. Visionari, che sono stati contro il loro tempo come lo fu lui».

Dionisica era la sessualità che esalava, totalmente diversa dalla burocratizzazione del sesso e dalla psicosi gender della nostra società. «La sua era una sessualità trasgressiva, ma sana. Aveva le sue storie, ma era innamorato della sua ragazza, con cui andò a Parigi e visse intensamente. È rimasto fedele a questo amore. Poi aveva cadute che derivavano dal carattere. La sua è stata una differenza sofferta». Morrison è stato d’un eroismo quasi dannunziano. E non solo perché fu, realmente, talentuoso poeta e appassionato lettore. Ma perché ha messo a rischio sé stesso fino a bruciarsi.

Si è donato, cosa che i tanto celebrati ribelli contemporanei di certo non fanno. «Non c’è nessuno più integrato dei cosiddetti ribelli di oggi» dice Rimbotti. «L’autenticità della ribellione deriva dalla autenticità delle scelte esistenziali. Jim Morrison ha scelta la via del sacrificio. Veniva da una famiglia tutto sommato benestante, avrebbe potuto starsene tranquillo, godersela. Invece si è immolato in uno stile di vita completamente altro». Forse è proprio per questo che, ancora adesso, esercita così tanto fascino. Forse per questo ancora oggi milioni di persone ballano e sognano seguendo questo indimenticabile, piccolo Zarathustra rock.

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