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O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»

O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»

Il fotografo Denis O’Regan ha dedicato la vita a immortalare rockstar come David Bowie, Freddie Mercury o Bob Marley sul palco e nei backstage. A Panorama racconta episodi divertenti sui clic e anticipa alcuni scatti inediti della sua collezione. Che è anche una mostra online.


«Due elicotteri in volo affiancati per un brevissimo istante: sul primo c’ero io, sull’altro i Queen, e sotto di noi i 115 mila di Knebworth in attesa di quello che sarebbe diventato l’ultimo show della band di Freddie Mercury. Riuscii a cogliere l’istante, a immortalare l’elicottero del gruppo con la scritta Queen sulla fiancata e il fiume di persone sottostante. Una fotografia che ha letteralmente fatto il giro del mondo… Un paradosso, in un certo senso, perché dopo averli seguiti per anni, l’immagine più iconica del mio lavoro con loro è l’unica dove i Queen non si vedono». È quello che racconta, divertito, il fotografo Denis O’Regan, una vita e una carriera a stretto contatto con le rockstar che hanno fatto la storia della musica.

«Sono stato più volte accanto a Mick Jagger un secondo prima che salisse sul palcoscenico e ho capito che ci sono due Jagger: quello che si dimena in scena e appare nelle fotografie più giovane di almeno vent’anni e quello che si aggira nel backstage. Lui ringiovanisce cantando davanti a centomila persone… È un lifting naturale» commenta scandagliando nella memoria le centinaia di aneddoti che ne fanno un prezioso testimone oculare, uno dei pochi ad aver visto e vissuto da vicino i più grandi personaggi dell’età aurea del rock’n’roll.

Dal 24 ottobre al primo gennaio, 15 delle sue immagini (di cui sei completamente inedite: quelle che vedete pubblicate in queste pagine) animano la mostra 69 Days, soltanto on line su www.west-contemporary-editions.com.

O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»
David Bowie, backstage, Australia 1983 (Denis O’Regan)
O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»
David Bowie e Mick Jagger a Londra nel 1987 (Denis O’Regan)
O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»
Bob Marley in Jamaica, 1980 (Denis O’Regan)
O’Regan: «Io catturo l’anima delle rockstar»
Keith Richards. Stati Uniti, 1988 (Denis O’Regan)

Dal sito si possono acquistare alcune straordinarie immagini e il 10 per cento del prezzo di vendita di ogni fotografia sarà devoluto alla Gosh Charity, associazione britannica che sostiene i bambini gravemente malati in cura presso l’ospedale Great Ormond Street di Londra. «Ho fatto il fotografo per il desiderio irresistibile di custodire per sempre un istante degli show che andavo a vedere, ma la realtà ha superato l’immaginazione, e per anni e anni la mia vita è stata un susseguirsi di aerei e backstage. Io e la valigetta con l’attrezzatura» continua O’Regan.

Quella valigetta che divenne un improvvisato sedile per Freddie Mercury in un giorno di luglio del 1986 (foto in apertura di questo articolo). «Eravamo a Budapest sulla terrazza della suite di un albergo con vista sul Danubio. Freddie e Brian May (il chitarrista dei Queen, ndr) stavano provando un brano folk ungherese e Freddie era intento a scrivere alcune parole del testo sulla sua mano. A un certo punto, decise di prendersi una pausa accomodandosi sul mio “flycase”. Ovviamente, immortalai l’istante. Mercury nella vita reale era un uomo timido e gentile, animato da una diffidenza totale nei confronti dei giornalisti che avevano scritto cose orribili su di lui. Sul palco, invece, era un performer scatenato senza freni inibitori. Raramente queste due facce si mostravano nello stesso momento davanti all’obiettivo. A me è successo soltanto una volta durante un concerto, quando vedendomi a lato del palco, si avvicinò e mi fece un sorriso dolcissimo» ricorda.

«L’immagine sulla terrazza a Budapest emana serenità e relax. Contrariamente a quel che racconta il film Bohemian Rhapsody, Freddie in quel momento non sapeva di aver contratto il virus Hiv dell’Aids. Nel biopic rivela la sua malattia ai compagni di band qualche settimana prima dello show Live Aid che è andato in scena nel 1985. Ma in realtà quella conversazione è avvenuta qualche anno più tardi. Credo che nel film quel dialogo sia stato retrodatato perché c’era la volontà di chiudere la pellicola con le immagini dell’epica performance a Londra durante il Live Aid» sottolinea.

Davanti alla fotocamera di O’Regan è transitato per un lunghissimo periodo anche David Bowie: «Mi ha consentito un accesso senza precedenti alla sua vita dentro e fuori il palcoscenico. Sono riuscito a fotografarlo anche nei camerini mentre si concedeva un istante di riposo con gli occhi chiusi. Tra i mille ricordi ce n’è uno che mi emoziona più degli altri perché in quel giorno a Berlino, alla fine degli anni Settanta, si incrociarono la storia della sua carriera e quella del Novecento. Ogni dettaglio fu memorabile, a cominciare dalla posizione del palco piazzato vicino alla porta di Brandeburgo, a pochi metri dal Muro, con di fronte il Reichstag. Terminate le prove nel pomeriggio, io e David organizzammo un “pellegrinaggio” agli Hansa Studios (adiacenti al Muro, ndr) dove aveva inciso Heroes e poi nell’appartamento dove aveva vissuto nei suoi anni berlinesi. La sera, durante lo show, avvenne qualcosa di inimmaginabile: a est la gente che abitava nei pressi del Muro, ascoltando David che cantava a ovest, scese in strada a cantare e a ballare. Donne, uomini, bambini, anziani…». L’inizio della fine, una preview di quello che sarebbe successo nel 1989 con la caduta del Muro.

Dall’Europa alla Giamaica per catturare lo sguardo e il carisma di Bob Marley: «Non è stata una passeggiata. Arrivai a Montego Bay con una pattuglia di giornalisti. Rimasi in attesa nella lobby dell’albergo per un paio d’ore, poi salii nella sua stanza dove era in corso un party con tanta gente. Iniziai a bussare, mi aprì Bob chiedendomi che cosa volessi. Nessuno lo aveva avvisato del mio arrivo. “Sono qui per fotografarti” gli dissi. E lui, senza esitazioni: “Non ho alcuna intenzione di farmi fotografare”. Non la presi benissimo: “Ma come? Ho volato per ottomila chilometri, e atteso per due ore alla reception per non portare a casa nemmeno uno scatto?”. All’improvviso, il colpo di scena: la stanza si svuotò in pochi minuti e Bob cambiò atteggiamento: “Ok, puoi farmi tutte le fotografie che vuoi”».

Bizzarrie da star, come quella volta che Keith Richards cambiò il corso di uno show dei Rolling Stones: «Era irritato per qualche motivo con Mick Jagger» ricorda O’Regan «così nel mezzo del concerto partì con un assolo di chitarra assurdo e interminabile… Mick era imbarazzato perché non sapeva che cosa fare, così l’altro chitarrista, Ron Wood, si avvicinò a Richards per chiedergli spiegazioni. E Keith: “Se ti manda Mick, digli di andare affanculo”». n

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