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Baby K: «E dicevano che una donna non può fare il rap»

Si è fatta strada in un genere musicale (tutto al maschile) con brani diventati colonne sonore di intere stagioni. Con il lancio del suo nuovo disco Buenos Aires (già un tormentone) si racconta a Panorama. Dall’incontro con Tiziano Ferro alla diffidenza verso l’hip hop femminile. «Il #MeToo? In Italia è stata una rivoluzione mancata».


Non c’è limite all’ambizione. Se una cosa la puoi sognare, puoi anche provare a realizzarla. È questa la filosofia di Baby K, la femmina alfa del pop italiano, l’unica artista nazionale ad aver conquistato un disco di diamante (500 mila copie vendute) con il brano Roma-Bangkok, realizzato insieme a Giusy Ferreri, il primo pezzo made in Italy a superare i cento milioni di visualizzazioni su YouTube.

Claudia Judith Nahum (in arte Baby K), nata a Singapore e cresciuta a Londra, ha un curriculum fatto di grandi numeri, numeri da record che accompagnano puntualmente l’uscita delle sue canzoni: Da zero a cento, Voglio ballare con te, Playa…L’ultima è Buenos Aires: «La fotografia di un istante di vita reale, di un incontro casuale con un ex fidanzato, una persona che hai amato e a cui hai dato tutto. Devastante, come cento pugnalate nel petto…» racconta a Panorama. Ha l’attitudine di chi da sempre vuole cambiare le regole del gioco nel music business Baby K, che prima di approdare al magico mondo del mainstream, si è messa alla prova con la scena rap, un mondo di uomini, poco incline a fare sconti alle fanciulle che si cimentano con l’arte della strofa in rima.

«Mica facile: una ragazza che si mette alla prova con quel genere non viene considerata una rapper, ma soltanto una ragazza che tenta di fare rap. C’è un muro di diffidenza difficile da abbattere ed è molto complicato per una donna ottenere credibilità nel mondo dell’hip hop. In quel contesto si dice che le fanciulle non abbiano l’attitudine giusta, che non siano capaci di creare rime incisive. Ma, al di là dei pregiudizi, c’è un altro aspetto importante della questione: i ragazzi del rap tendono a fare squadra, ad aiutarsi, le donne molto, molto meno» spiega, entrando poi nelle pieghe del movimento #MeToo, quello che lei considera almeno per quanto riguarda l’Italia, una rivoluzione mancata: «Inutile girarci intorno, all’estero il #MeToo è diventato una bandiera, ha permesso di far uscire allo scoperto le dinamiche malate del dietro le quinte. In Italia c’è stato così tanto battibecco tra le donne che il messaggio non è riuscito a emergere. Ho visto molti dibattiti tv in cui le donne, anziché coalizzarsi, si puntavano il dito contro. Una totale mancanza di solidarietà…».

Chiusa la parentesi rap, il presente di Baby K è fatto di hit e tormentoni in sequenza che inesorabilmente diventano la colonna sonora dell’estate «Da un po’ di tempo, ogni mia canzone genera aspettative enormi. L’asticella è sempre più alta e questo, se da un lato mi fa un po’ paura, dall’altro è una grande spinta a fare sempre meglio, a crederci sempre di più».

Ecco, crederci è un’altra delle parole chiave per comprendere le ragioni della sua popolarità. «Ai tempi di Roma-Bangkok, il reggaeton in Italia era sinonimo di orrore» spiega. «Nonostante ciò ho deciso di adottare quel sound e i risultati sono stati straordinari. D’altra parte è sempre così: chi fa il primo passo può vincere o perdere tutto. In quel caso ho fatto una scelta coraggiosa anche perché il resto della musica italiana era ancora legato ai canoni della canzone pop tradizionale. Oggi, il reggaeton è dappertutto.Nella vita non bisogna aver paura di farcela da soli, magari anche andando controcorrente. Io, in fondo, sono sempre stata una lupa solitaria. Dietro il concetto di femmina alfa c’è l’idea di perseverare, di non arrendersi mai e di non aver paura di insistere» sottolinea. «I miei genitori hanno cambiato spesso paese per ragioni di lavoro. Anche per questa ragione la musica rappresenta le mie radici, l’unico elemento certo e stabile che mi accompagna da tutta la vita. Prima di iniziare una carriera nel rap e nel pop ho cantato per anni in tre cori e studiato flauto traverso».

Tra i colleghi, Tiziano Ferro è stato il primo a intercettare le potenzialità di Baby K: «Anni fa mi ha citato in un’intervista dopo aver visto un mio videoclip. Il mio account Twitter è letteralmente esploso e, dopo vari inseguimenti telefonici, siamo riusciti a parlarci. Sono rimasta di sasso quando mi ha detto: “Non voglio fare un semplice featuring con te, ma entrare in uno studio di registrazione per scrivere qualcosa insieme”. Che dire? Incredibile e bellissimo al tempo stesso».

Un rapporto e una stima professionale che hanno resistito anche a uno scherzo spietato delle Iene. «Hanno preso il mio cellulare e dopo aver trovato il numero di Tiziano lo hanno chiamato dicendogli che c’era un grosso problema e cioè che un suo brano era il plagio di una mia canzone. Solo dopo sono riuscita a spiegargli che ero vittima di una bravata delle Iene». La sua reazione? «”Non ti preoccupare, cancello soltanto tutte le collaborazioni che ho fatto con te!”. Per fortuna, scherzava…».

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