I moltissimi episodi di quest’estate sono la punta dell’iceberg: una violenza gratuita, irrazionale, che coinvolge i giovanissimi – 46 mila reati compiuti da minori – viene alimentata dai social (postare le risse è la nuova moda), ma non trova risposte. Così, enfatizzato dal vuoto della pandemia, esplode il disagio di una generazione. Di cui le famiglie spesso non si accorgono, se non quando è tardi.
Estate violenta. Era il titolo del più bel film di Valerio Zurlini ambientato a Riccione. Anche lì era agosto, 1943, gli echi della guerra, il futuro incerto, un destino di dolore che avvolgeva i protagonisti. Ma era tanto tempo fa. La nostra estate violenta non ha più le magliette a righe e lo sguardo malinconico di Jean-Louis Trintignant. Oggi le ragazzine di 14 anni girano con bottiglie di vodka, i coetanei sollevano le magliette griffate per mostrare come trofei le cicatrici delle coltellate ricevute dopo le risse in spiaggia.
A Varese, il Village Summer Disco ha chiuso per qualche giorno perché non ne potevano più della maleducazione, dell’arroganza, delle parolacce di una frotta di ragazzini smascellanti che li chiamano «zio e bro», anche se nessuno li aveva mai visti prima. Non stiamo parlando di chi uccide un uomo a mani nude, come a Civitanova Marche. Ma di un altro tipo di aggressività, che da mesi ha visto in Milano il suo epicentro. Città che i ragazzi stessi ormai definiscono: «Una giungla». Con il caldo estremo anche la violenza ha cercato nuove mete: Riccione, Rimini, Jesolo, la Versilia, Gallipoli, persino la borghese Santa Margherita Ligure.
Viviamo nell’età della rabbia. Negativa, distruttiva. A Roma i ragazzini nella metro vengono accerchiati e picchiati furiosamente, spesso da altri più piccoli di loro. Durante un evento all’Argentario un gruppo di benestanti diciottenni, cui è stato proibito l’ingresso, ha tirato sassi agli invitati. Spalle e nasi rotti. Nella Capitale una ragazza si è rifiutata di bere con alcuni amici: per punizione è stata spinta giù dalle scale della discoteca. Tre costole rotte. A Marina di Carrara un gruppo a fine cena ha lanciato i bicchieri in strada, senza motivo. Un ciclista ha rischiato di essere colpito. A Marechiaro, a Napoli, scagliavano i lettini in mare solo per postare un video, che manco è diventato virale. A Riccione ogni maledetta notte si accoltellano sulla spiaggia.
A Jesolo il sindaco Christofer De Zotti, appena eletto con Fratelli D’Italia, ha emesso un’ordinanza per chiudere ogni sabato notte tre accessi al mare. Stradine strette, poco illuminate, luogo ideale per rapine e spaccio: «Le scelte che abbiamo fatto, certo non a cuor leggero, hanno portato a un miglioramento della situazione» afferma. «A giugno abbiamo assistito a episodi gravi, ma ora tutto è sotto controllo. L’ordine di problemi da affrontare è doppio: il primo è l’abuso di sostanze e alcol. L’altro aspetto è che se in inverno siamo in 26 mila, d’estate arriviamo a oltre 200 mila presenze. Come una città capoluogo, ma senza le stesse dotazioni. Chiediamo che venga affrontata la realtà delle grandi spiagge con l’assegnazione di un adeguato numero di forze dell’ordine». Delinquenza e like. Questo è il nuovo mix, spiega il sociologo Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio permanente Generazione Proteo: «La rabbia non aveva mai raggiunto questi livelli. È gratuita, non ha razionalità, né una spiegazione. Pare l’unica strada possibile per avere un’identità sociale».
Il decimo rapporto dell’Osservatorio racconta di una generazione delusa dalla politica, impaurita, frustrata. Il 39,5 per cento teme di essere vittima di una gang. E nello stesso tempo sente una profonda attrazione verso il branco. «Un giovane su quattro ha dichiarato di aver assistito a episodi di violenza a opera di baby gang» continua Ferrigni. «Anche se ormai è un termine usato in modo improprio, una semplificazione mediatica. Non c’è nessuna conquista di un territorio dietro a questi episodi».
Secondo il sociologo cambiano anche i destinatari: «Le bande hanno come obiettivo “l’altro generalizzato”, quale esso sia. Per loro non sono mai reati, ma imprese straordinarie, titaniche. La prevaricazione è diventata una condotta di vita, una forma di nuovo nichilismo. E non intravedo a oggi una via d’uscita». Tutti vogliono essere protagonisti, anche chi assiste e riprende con il cellulare. Postare le risse diventa una droga. E se prima il fenomeno interessava le periferie oggi li troviamo anche nei quartieri centrali. Gli ultimi dati del ministero di Giustizia parlano di quasi 46 mila reati compiuti da minorenni. Numeri che destano preoccupazione. La pandemia continua a essere additata come la causa di ogni male, secondo i dati dell’Osservatorio uno su quattro ritiene che l’escalation sia imputabile principalmente al lockdown (25,7 per cento).
Simone Feder dal 1984 coordina l’area delle dipendenze della Casa del Giovane di Pavia: «Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo assistito alla devastazione dell’eroina e non avevamo una rete di servizi adeguata. Ora che li abbiamo il disagio ci sta travolgendo. Mai avevamo ricevuto richieste di ingresso in comunità di quindicenni con doppia dipendenza e lunghe liste d’attesa. È chiaro che qualcosa stia succedendo». A chi dice che è solo una percezione, lo scrittore e psicologo racconta: «Fino a sette anni fa non avevamo mai accolto minorenni. Mi dicono: “Ho fatto una cazzata” e non sanno che hanno commesso un reato. Non c’è consapevolezza, le famiglie si accorgono del disagio quando è tardi. È una generazione fredda, che fatica a riconoscere il ruolo dell’autorità, incapace di sentire il prossimo. Il più delle volte sono figli di famiglie agiate, cresciuti a iPhone e patatine, nella società del nulla».
Nel progetto Selfie sugli stili di vita, portato avanti dall’educatore, c’è un dato che fa riflettere: il 55-60 per cento dei giovani incontrati ha avuto o ha in corso una terapia con lo psicologo. «Quello che noi vediamo è una sofferenza profonda nella fascia d’età dai 15 ai 20 anni» spiega Ciro Cascone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano. «Sembra che crescano più in fretta, ma non è così. Usano droghe e bevono alcol a 12 anni, eppure non sono certo maturi. Addossiamo tutte le colpe alle restrizioni, ma la pandemia non ha creato nulla, ha solo esasperato a dismisura ciò che già c’era. I reati di gruppo esistono da sempre, però è cambiato qualcosa: abbiamo visto aggregazioni sempre più numerose. Facevano le rapine anche prima, ma oggi l’elemento scatenante è la violenza sulla persona. Si aggredisce qualcuno non tanto per portargli via il portafoglio, ma per picchiarlo. E poi sono in crescita i reati di resistenza a pubblico ufficiale. È la trasgressione verso gli adulti, l’autorità, le istituzioni». È solo la punta dell’iceberg: «Aumentano gli abbandoni scolastici, l’autolesionismo, gli accessi ai reparti di neuropsichiatria infantile».
Le famiglie sono in difficoltà, fanno fatica a sbarcare il lunario, travolte nel frullatore della vita. «Non riescono a seguirli adeguatamente, c’è una sorta di abbandono educativo. Io uso una frase: i ragazzi ormai sono diventati invisibili» conclude il procuratore. Sempre più isolati, vivono attraverso la musica dei trapper o le serie tv, come Blocco 181, dove l’eroe è il cattivo. E vince. Alfio Maggiolini, psicoterapeuta del Minotauro e consulente dei servizi della giustizia minorile di Milano, ne vede migliaia: «Le bande da I Ragazzi della via Pal in poi sono sempre esistite. Ma da noi situazioni strutturate con un leader, tatuaggi e gerarchie non sono mai state un fenomeno così rilevante. Quello che sta succedendo è diverso. L’aggregazione orizzontale, ossia l’idea che gli adulti non ti aiutano e devi cavartela da solo, è la realtà. Molti si identificano con il quartiere di appartenenza, tatuandosi il luogo dove vivono».
Radicamento e rivendicazione, una nuova rivalsa sociale. Le lotte delle banlieue francesi non sono mai state così vicine, bisognerebbe rivedere quel film profetico che fu La Haine, l’odio. Oggi l’identità è data dal gruppo. «I social hanno moltiplicato questa dinamica dell’essere attraverso l’apparire. Ogni esperienza è spettacolarizzazione. Quanto valgo, si chiedono». Una domanda crudele che riguarda il ragazzo delle periferie come il figlio di papà. «Più che dall’odio sono pervasi dall’infelicità, dalla tristezza, da un senso di vergogna e disperazione» conclude lo psicoterapeuta. Eppure la generazione Z era considerata la più pacifica e remissiva. Ma non abbiamo capito che la violenza era una parte, forse la principale, della loro fragilità. Davide Longo, scrittore torinese, lo aveva anticipato nel romanzo Una rabbia semplice: «La mia impressione è che quando ci sono questi sviluppi anomali, soprattutto nei giovanissimi, è perché qualche sistema di controllo è saltato. Noto due reazioni diametralmente opposte: da un lato c’è il ritiro, l’apatia, la chiusura in sé stessi, la rinuncia. Dall’altro, l’esplosione. La sensazione che provano è che la possibilità di determinare il loro futuro sia praticamente nulla. Ciò che possono fare è solo consumare».
La sua esperienza è data da oltre vent’anni di insegnamento: «La percezione terribile è che quello che fanno a scuola non ha nessuna attinenza con la vita che verrà e non gli può fornire i mezzi per intervenire sul reale. La scuola li prepara per un mondo che è finito 40 anni fa. E così in una società dai valori fragili è comparsa una violenza priva di equilibrio». Una rabbia repressa. Don Tommaso Forni prima di diventare prete, parroco di 13 parrocchie in Lunigiana, è stato ufficiale di marina, attore, giornalista. Il suo è uno sguardo non bigotto, di chi il mondo lo ha praticato: «Sono preoccupato, è una generazione abbandonata a sé stessa. Mi confronto continuamente con le forze dell’ordine: lo scenario che emerge è desolante. Sono più nevrotici, reagiscono in modo stizzito alle correzioni, sono spesso sguaiati. E poi d’estate vivono sballottati tra genitori separati, due mamme, sei nonni, senza punti di riferimento. Dovrebbero essere i genitori a moderare, ma con gli strumenti che hanno non ce la fanno».
Questo rapporto così complesso è raccontato nel saggio Figli Violenti della psicoterapeuta Virginia Suigo: «Il trend degli ultimi tempi andava nel senso contrario, ma la pandemia ha cambiato le cose. La stessa impressione dei ragazzi che incontriamo in studio è che in realtà la situazione fuori sia calda, che ci sia una percezione di pericolo diversa dagli anni passati. Spesso sono dimensioni molto esibite: risse postate sul web da giovani che poi vanno a bere e divertirsi insieme». Non sono ribelli, nè necessariamente trasgressivi. Eppure si creano cortocircuiti anche in famiglie insospettabili con genitori dediti. Riflette la psicologa: «Situazioni troppo claustrofobiche dove i figli si rivoltano e i genitori sono completamente esautorati dal loro ruolo, succubi di piccoli tiranni, che spadroneggiano e hanno un disperato bisogno di visibilità. Eppure siamo noi che li pompiamo di foto e diplomi da quando hanno un anno e fanno il corso di nuoto». Attenzione, perché tutto potrebbe partire da lì.