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Orgoglio anziano

Orgoglio anziano

Oggi la terza età è discriminata o elogiata solo se simula la giovinezza. E anche il movimento che la difende tende a negarne la fragilità e il diritto a non essere «sempre in forma».


Il grosso guaio del sistema politico-culturale in cui ci troviamo a vivere sta nella sua quasi diabolica capacità di sfruttare problemi realmente esistenti – e gravi – per proporre misure disastrose presentandole come soluzioni. Il caso più emblematico è sicuramente quello riguardante la popolazione anziana. È una questione che – nel breve periodo – riguarderà settori sempre più ampi dei popoli europei e non solo: a causa del gelo demografico che ci investe da anni, l’età media nelle nazioni cosiddette benestanti è in costante aumento. In Europa, nel 2022, si aggirava attorno ai 44,4 anni, con un aumento di 0,3 anni rispetto al 2021. In Italia è ancora più alta: 48 anni, la più alta fra i 27 Stati europei.

Negli Stati Uniti l’età media è 37,9 anni, ma a partire dal presidente Joe Biden la classe dirigente è composta da molti ottuagenari. In Asia le percentuali sono leggermente più basse, con l’eccezione del Giappone che si assesta sui 46,9 anni. Da quelle parti, l’invecchiamento medio è piuttosto evidente (sempre a causa del crollo delle nascite) e ha dato vita a fenomeni grotteschi tra cui la recente uscita di Yusuke Narita, professore di Yale, secondo cui per fare spazio ai giovani i nonni dovrebbero praticare un seppuku di massa, cioè suicidarsi. Sono proprio le parole di Narita a far esplodere il paradosso: abitiamo società sempre più vecchie, ma disprezziamo gli anziani. Il grande teologo Romano Guardini a loro dedicò uno splendido libro di recente ristampato da Morcelliana – Le età della vita – riflettendo sull’importanza della vecchiaia e sui doni che ancora può dare al mondo.

Purtroppo, oggi la concezione più diffusa è opposta: gli anziani vengono per lo più presentati come un fastidio, un costo, una palla al piede. Tutta la retorica insiste sui giovani: è a loro, ci viene detto, che dobbiamo rivolgerci per imparare come vivere, non certo ai vecchi saggi. È a Greta Thunberg che dobbiamo dare ascolto, il giovane rappresenta la purezza, la Grande Novità. Se ci si pensa, anche la «cultura della cancellazione» si basa su questa idea: il presente prevale sul passato (tanto da arrogarsi il diritto di giudicarlo e riscriverlo), il progresso sulla tradizione, la distruzione sulla conservazione. Valgono ancora, insomma, le parole che Simone de Beauvoir scriveva nel 1970: «I vecchi sono degli esseri umani? A giudicare dal modo in cui sono trattati nella nostra società, è lecito dubitarne: la vecchiaia resta un segreto vergognoso, un soggetto proibito». È un’atroce verità: gli anziani – in Occidente e in Italia nello specifico – sono relegati nell’ombra, trattati come cittadini di serie B (nel migliore dei casi) o come un peso, un fardello di cui sarebbe meglio sgravarsi. L’anzianità appare come qualcosa da occultare il più a lungo possibile, un elemento estraneo in un mondo sempre più veloce, costantemente performante e, soprattutto, eternamente giovane.

Ci si faccia caso: quali sono le rappresentazioni degli anziani fornite dai media? Di solito si dividono in due categorie. Da una parte ci sono gli anziani delle pubblicità, di cui è difficile dire se abbiano 50 o 80 anni: capelli grigi lucenti, fisico ancora tonico, denti bianchi e perfetti.Sono i giovani per sempre, gli immortali che sconfiggono la terza età prolungando all’infinito la giovinezza grazie agli ultimi ritrovati della chirurgia, a fenomenali adesivi per dentiere, ad apparecchi acustici invisibili. All’estremo opposto, ecco l’anziano non autosufficiente, malato, quello che grava sui figli e sulle strutture pubbliche, che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese con la pensione minima. La via di mezzo non esiste. Ci sono soltanto queste due rappresentazioni, entrambe facilmente strumentalizzabili e sfruttabili a livello commerciale.

Da un lato, si è imposta a livello generale ciò che l’antropologo canadese Marcel Danesi, in un saggio intitolato Forever Young (Armando editore), chiamava «giovanilizzazione». In qualche modo, sostiene Danesi, tendiamo a essere tutti adolescenti, a prescindere dall’età anagrafica. Certo, la brama dell’eterna giovinezza è un tarlo ancestrale dell’umanità, con cui tutte le epoche e tutte le culture hanno dovuto confrontarsi. Ora, però, è la categoria dell’adolescenza a regnare sovrana. Quella è la fascia in cui bisogna rimanere. «L’adolescenza della cultura» spiega Danesi «si è sviluppata perché, detto in parole povere, è un buon affare. La musica pop, per esempio, è diventata la norma perché le tendenze che si sviluppano al suo interno passano rapidamente dal mondo degli adolescenti al mondo degli adulti e, quindi, possono essere vendute e riciclate in continuazione a tutti i gruppi di età».

L’adolescente cambia spesso i propri gusti, segue appassionatamente le mode, insomma è un target commerciale perfetto. Gli anziani, invece, sono quelli che più faticano ad adattarsi all’esondazione delle nuove tecnologie, il divario che si crea fra un nonno e un nipote è sempre più ampio e difficile da colmare. «In genere» ha scritto lo psicanalista Massimo Ammaniti (autore di La curiosità non invecchia, Mondadori) «si pensa che la vecchiaia coincida con un ripiegamento su di sé, con la perdita di interesse per tutto quello che succede intorno, con il susseguirsi di giornate vuote e ripetitive, quasi che il tempo si fosse congelato, e con una sempre maggiore dipendenza dagli altri, dalle loro cure e attenzioni». Che le cose stiano così è difficilmente contestabile, ed è proprio contro questa concezione prevalente che da qualche anno – ovviamente a partire dagli Stati Uniti – si è manifestato una corrente di pensiero che si batte contro l’ageismo. Tra le prime a parlarne c’è stata la saggista Ashton Applewhite, autrice di Il bello dell’età, un libro presentato proprio come «manifesto contro l’ageismo». L’ageismo (da age, età) sta a indicare la «discriminazione e stereotipizzazione sulla base dell’età di una persona».

La nostra cultura, dice la Applewhite, «è concentrata sulla giovinezza in maniera grottesca». In verità, «solo il 4 per cento degli americani over 65 vive in una casa di riposo. In Italia, il 4,7 per cento». Tolta questa piccola percentuale, il 90 per cento delle altre persone over 65 vive una vita piena ed è in possesso delle facoltà mentali e fisiche. Se si trova in difficoltà, è per motivi economici o, appunto, per via della piega che sta prendendo la cultura occidentale e dell’emarginazione che ne consegue. Il movimento contro l’ageismo – in grande crescita – vorrebbe combattere questo tipo di discriminazioni. A farsene stravagante portavoce è stata Madonna, che ultimamente continua a far esplodere i siti di gossip e costume insistendo a presentarsi come una bomba sexy e una seduttrice a 64 anni. Il suo caso è estremamente emblematico del cortocircuito a cui si accennava prima. Da una parte, la cantante ha ogni diritto a sentirsi tutt’altro che decrepita e a diffondere ovunque la propria forza vitale. D’altro canto però, il suo atteggiamento rivela anche il lato oscuro dell’ageismo, su cui riflette in un interessante pamphlet appena pubblicato da Einaudi (Age Pride. Per liberarci dai pregiudizi sull’età).

Il fatto è che dopo aver bandito gli anziani, dopo aver cancellato l’autorità ad essi tradizionalmente attribuita, sembra che l’unico modo in cui siamo in grado di rispettarli sia quello di farli diventare una «minoranza» vittima di razzismo. Oppure – e questo è anche peggio – si tenta in qualche modo di farli tornare utili al sistema. Come? Imponendo loro una sorta di gioventù permanente. Si insiste sul fatto che possano avere ancora storie d’amore, fare sport, viaggiare e compiere mille altre attività. Il che è senz’altro vero, ma in quest’epoca la linea fra potere e dovere è molto sfumata. In poche parole, l’anziano che oggi viene celebrato e difeso è solo quello che può ancora produrre e consumare, quello funzionale al meccanismo neoliberale. Il malato o semplicemente colui che rifiuta la logica del fitness forzato diviene ancora più emarginato di prima, spinto addirittura a darsi una dolce morte per togliersi agevolmente dalle scatole. Quella che sembra una difesa degli anziani coincide con una sorta di nuova disciplina: basta con i pregiudizi sull’età, a patto che tu sia sempre giovanile e in forze. In fondo, il sistema se la prende sempre con gli stessi: i più deboli e i più fragili. E non fa più discriminazioni sull’età: attacca tutti con la stessa ferocia.

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