Ci hanno abitato star famose, da John Lennon e Yoko Ono a Lauren Bacall. E fece da scenario a un film «maledetto» come Rosemary’s Baby di Roman Polanski. Ma, tra esoterismo e psichedelia, sono molti altri i legami del mitico palazzo di New York con la controcultura hippy…
Tre anni: 1967, 1968 e 1969. Tre luoghi diversi: San Francisco, Los Angeles, Manhattan. È in questo perimetro spazio-temporale che si assiste alla sfavillante ascesa e alla rovinosa caduta di un’utopia, quella dei «figli dei fiori», dell’amore totale e della mente liberata dai condizionamenti. Cominciò nel 1967, a San Francisco, dove (come scrive Joan Didion in Verso Betlemme) «l’emorragia sociale si stava spandendo a macchia d’olio» e «i figli scomparsi si radunavano e si chiamavano hippy». Lì era l’epicentro della rivoluzione psichedelica, il quartiere di Haight-Ashbury. Da sobborgo in declino, complice il basso valore degli immobili, si era trasformato in ritrovo di freak, guru alternativi e (nell’ombra) spacciatori di droga.
Per due dollari si poteva acquistare una tavoletta di Lsd, magari una di quelle prodotte da Augustus Owsley, che oltre a trafficare narcotici finanziava il giornale locale, The Oracle, autoproclamatosi portavoce della società alternativa hippie. Il negozio più celebre era lo Psychedelic Shop dei fratelli Ron e Jay Thelin dove, ricostruisce Mario Iannaccone in Rivoluzione psichedelica, «si trovavano incenso, flauti di bambù, immagini esotiche, i libri di Aldous Huxley, David Thoreau, Alan Watts, Herman Hesse, Carl Gustav Jung e naturalmente Thimoty Leary, Aleister Crowley e il mago d’antan Eliphas Lévi». Sull’influenza degli ultimi due, esoteristi di chiara fama, torneremo fra poco. Quanto a Leary, era il profeta psichedelico per eccellenza, che aveva approfittato di un incarico ad Harvard per spargere droghe fra la gioventù suggestionata dei tempi.
Si può dire che Leary abbia inaugurato il 1967 o – vedendola da un’altra prospettiva – sia stato lui ad aprire le ostilità. Il 14 gennaio fu chiamato a parlare sul palco del gigantesco festival Human Be-in, cui parteciparono circa 30 mila fricchettoni. In quell’occasione pronunciò lo slogan – pare derivato da scoppiettanti conversazioni con Marshall McLuhan – «turn on, tune in, drop out». In Italiano potrebbe suonare come «accenditi, sintonizzati, abbandona», in pratica una versione commerciale delle dottrine orientali dell’illuminazione e del distacco condita con abbondanti dosi di droga, necessarie per accedere alla realtà superiore.
Pochi mesi dopo, assieme all’estate si riversarono ad Haight-Ashbury migliaia e migliaia di giovani da tutti gli Stati Uniti e persino dall’Europa: erano gli hippie, e quella era la loro Summer of love. Immancabili, a seguito dei capelloni svalvolati arrivarono giornalisti e sociologi, molti dei quali (soprattutto quelli liberal) si fecero conquistare dal dionisiaco ribollire di sesso di gruppo, stupefacenti e «controcultura». Gli osservatori provenienti da Los Angeles e da New York, tuttavia, vedevano per lo più il volto luminoso della baraonda «flower power». Ma a chi avesse voluto sollevare il coperchio non sarebbe potuto sfuggire il clamoroso degrado del quartiere psichedelico. Sì, i giovani erano belli e colorati, e avrebbero ispirato gli stilisti di mezzo mondo. Ma, giorno dopo giorno, diventavano sudici, emaciati. Si drogavano molto, mangiavano poco e male. Le violenze sessuali aumentarono spaventosamente, così come le intossicazioni e i disastri causati dai «brutti trip».
Per le strade si aggiravano ragazze nemmeno maggiorenni con i fiori nei capelli, ma anche orchi pronti a sfruttarle. Uno di questi era uno strano personaggio dalla folta chioma scura, appena uscito dalla galera dove aveva imparato a suonare la chitarra e passato il tempo a compulsare libri sulla manipolazione mentale. Il suo nome era Charles Manson. È ad Haight-Ashbury che Manson (già convivente con una bibliotecaria di Berkeley) recluta la giovane Lynette Fromme, soprannominata Squeaky: sarà la prima componente della Famiglia Manson, così ribattezzata proprio dai responsabili della clinica del quartiere, che tra il 1967 e il 1968 la studiarono quale esempio di comune hippy intrisa di droga e sesso libero.
Il format della Family, in ogni caso, non era originale. Negli anni precedenti era già emerso almeno un gruppo simile, con un leader apparentemente meno inquietante di Manson, e meno famoso: Vito Paulekas. Lituano d’origine, nato nel 1913, dopo una vita scombinata si era trasferito a Laurel Canyon, Los Angeles, nei primi anni Sessanta. Abitava, lui quarantottenne, con una diciottenne di nome Szou, con cui si sposò e mise su famiglia. Vito gestiva un gruppo di ballerini e ballerine, tutti ragazzi, abbigliati in modo stravagante: secondo qualcuno, furono i primi hippie. Passavano da un locale all’altro, supportando le band rock che spuntavano come funghi nella zona del canyon. Erano tutti lì intorno: Byrds, Buffalo Springfield, Doors, Frank Zappa… Vicini di casa, amici, portabandiera della rivoluzione in corso. Assieme ai musicisti c’erano artisti, registi, perdigiorno e stramboidi di vario genere.
Uno di questi era accompagnato da una fama luciferina: si chiamava Kenneth Anger, era un cineasta d’avanguardia oltre che esoterista e profondo conoscitore degli insegnamenti di Aleister Crowley. A quest’ultimo era ispirato il film Inauguration of the Pleasure Dome, che Anger ripubblicò in nuova edizione nel 1966. Le sue opere erano divenute di culto, come si usa dire, presso l’intellighenzia lisergica. In quel periodo, Kenneth si era tatuato la scritta «Lucifer» sulla pelle, e stava lavorando a una pellicola che si sarebbe intitolata Lucifer Rising.
Secondo alcune fonti, aveva scelto per interpretare Lucifero un bambino di tre anni: Godo Paulekas, figlio del precursore degli hippie Vito e della sua moglie appena maggiorenne. Di fronte alla macchina da presa, però, il piccino non ci finirà mai: precipiterà da un lucernario la notte del 23 dicembre 1966. Che cosa ci facesse sul tetto di una casa di Laurel Canyon e se i suoi genitori gli avessero somministrato droghe o lo avessero coinvolto in qualche strano rituale non si saprà mai. È noto invece il nome del ragazzo che finì per interpretare Lucifero nel film di Anger: Bobby Beausoleil.
Anger lo conobbe a San Francisco, dove si trasferì nel 1967. I due divennero amanti, poi nemici, poi di nuovo collaboratori. Curiosa coincidenza: Beausoleil divenne un seguace di Manson, e sarebbe finito in carcere per il primo omicidio attribuibile alla Famiglia, quello del musicista Gary Hinman. Altra curiosità: Vito Paulekas, l’hippie ballerino con la passione per le giovincelle nonché padre del povero Godo morto a soli tre anni, aveva un vicino di casa celebre. Si chiamava Jay Sebring ed era il parrucchiere delle celebrità hollywoodiane ed ex fidanzato di Sharon Tate, assieme alla quale finirà macellato l’8 agosto 1969 a Cielo Drive, a meno di 20 minuti d’auto da Laurel Canyon. Gli autori del massacro? I ragazzini indemoniati della Manson Family.
Come in una danza macabra, i nomi circolano, passano e ritornano, sono legati da fili invisibili. Seguiamone un altro, e dalla California trasferiamoci a Manhattan, sulla 72 esima strada nell’Upper West Side. Qui sorge uno dei palazzi più antichi di New York, il Dakota Building (cui è dedicato un bel libro di Camilla Sernagiotto, La maledizione del Dakota). Come altri luoghi che abbiamo citato, una fama sinistra lo precede. Al Dakota ha vissuto per tanti anni, con Jason Robards, la diva Lauren Bacall, la cui «modesta» sistemazione è stata venduta nel 2015 per 25 milioni di dollari). Sempre da lì è transitato Bela Lugosi, il memorabile vampiro hollywoodiano. E proprio sulla soglia del palazzo è stato ucciso un altro dei protagonisti della controcultura, John Lennon, che lì viveva con Yoko Ono. Ma la parte di leggenda che qui più ci interessa riguarda l’alone esoterico che avvolge l’edificio. Secondo alcuni, in uno dei suoi 65 appartamenti avrebbe soggiornato Aleister Crowley.
Ed è qui che cominciano i guai, e tutti i nodi oscuri vengono al pettine. Il Dakota di New York fu utilizzato da Roman Polanski per girare gli esterni del film Rosemary’s Baby, storia di una giovane innocente che finisce nelle grinfie di una setta satanica e viene costretta a partorire l’Anticristo. A fornire spunti per il film fu Anton LaVey, l’uomo che nel 1966 aveva fondato la Chiesa di Satana proprio a San Francisco, la patria degli hippie. E indovinate chi gli fece da spalla nell’impresa? Il regista Kenneth Anger. Qui il circolo demoniaco si chiude. Anger ebbe come amante e collaboratore Bobby Beausoleil, assassino per conto di Manson. Anger – esperto del pensiero di Crowley – fu amico e ispiratore di LaVey, che fece da consulente a Polanski. La moglie del regista fu ammazzata a Cielo Drive (non lontano da Laurel Canyon, la tana dei rocker psichedelici) dalla famiglia Manson, assieme al suo ex fidanzato Jay Sebring, frequentatore di un giro hippie di cui anche Anger faceva parte.
Le coincidenze e i vincoli, in realtà, sono molti di più, ma in fondo quel che è accaduto in quegli anni è molto lineare. La rivoluzione psichedelica prima e sessuale poi – come ha scritto Mario Iannaccone – era portata avanti da benestanti, era libertaria e individualista. Il libertarismo e l’individualismo sfrenato sono alla base del satanismo moderno di Crowley (la cui prima regola era «Fai ciò che vuoi») e di quello più cialtronesco di LaVey. Droghe, abbattimento di ogni limite e regola, accoppiamenti sfrenati: sotto la patina dell’amore universale non poteva che nascondersi la violenza più brutale. Manson e i suoi la fecero esplodere platealmente, ma altri semi rimasero celati nel terreno. E sono spuntati negli anni seguenti. La società in cui viviamo, il sistema che la permea, è nato lì, a fine degli anni Sessanta a New York e in California. E non tutti gli incubi sono rimasti chiusi nelle stanze del Dakota building. n
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