Nell’era dei social e delle relazioni futili, cani e gatti non ci rinfacciano mai niente, a loro non interessa se siamo ricchi o poveri, non ci giudicano. Non è poco, soprattutto di questi tempi. Volete sapere cosa pensano di noi? Buona lettura.
Tutti pazzi per cani e gatti. Mai come dopo la pandemia i nostri animali domestici sono diventati così importanti. E scherzando, ma non troppo, quest’estate sull’autostrada preferiremmo abbandonare il marito (o la moglie), piuttosto che il nostro amatissimo cane. «È una follia dilagante e salvifica» dice Federico Coccia, medico veterinario e ricercatore all’Università di Teramo. «Il Covid ha contribuito a farci capire che quegli esseri pelosi a quattro zampe che abitano con noi ci potevano dare molto di più. Obbligati a stare in casa ci siamo accorti che con loro potevamo anche dialogare. E ci capivano. Fino a quel momento in pochi si erano domandati: “Cosa ci chiedono?”. Durante questi ultimi due anni abbiamo instaurato davvero un’interazione profonda. Il rapporto è diventato molto più intenso».
A questo punto verrebbe da dire: «Peccato, gli manca solo la parola». Ma come saggiamente scrisse il grande Elias Canetti: «Se un cane cominciasse a parlare sarebbe solo un banalissimo cane». Questo rapporto muto e profondo (in Italia gli animali domestici sono 62 milioni) è anche lo specchio crudele della nostra solitudine. «Abbiamo desertificato l’orizzonte emotivo, questa è la grande malattia dell’uomo di oggi» osserva Monica Pais, medico veterinario di Oristano, specializzata in oncologia chirurgica. Celebre per aver salvato centinaia di animali maltrattati, ultimi quelli bruciati nel tragico incendio del Montiferru, come racconta nel suo libro in uscita L’incendio del bosco grande (Longanesi).
«Stiamo regredendo, siamo noi gli animali insoddisfatti, tristi, terribilmente soli. E l’animale domestico è diventato una certezza. Un marito ti può lasciare, così come i figli, ma lui morirebbe pur di non abbandonarci. È il transfert per l’uomo verso una vita migliore». I cani sono gli unici al mondo che, se scendi a comprare le sigarette e torni dopo 5 minuti, ti fanno le feste come fossi stato via anni. Per Paolo VI erano «i nostri fratelli minori», la scrittrice Anna Maria Ortese li chiamava «le piccole persone». «Il cane ci capisce, legge i segnali, i nostri comportamenti. Forma un legame di attaccamento come i bambini, un rapporto affettivo di grande importanza. È totalmente comprensibile che sia diventato un membro della famiglia. Dipende da noi, ci vuole bene, non ci rinfaccia niente, non gli interessa se siamo ricchi o poveri, non ci giudica. Cosa volere di più?» afferma Emanuela Prato-Previde, professore di Psicologia presso la facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Milano, che da tempo si occupa di relazione uomo-animale. Con il gatto il rapporto è diverso: è indipendente, impossibile addestrarlo. In una casa dove c’è il gatto siamo noi gli ospiti, lui ci tollera. Sapienti e felici, i felini ci sono maestri: il loro mondo fatato e misterioso è avvolto da un mistico silenzio. Continua la docente: «Esistono tre tipologie di rapporto: il primo è l’animale visto come un amico con cui interagire. Ci sono regole, ma c’è il bisogno di condivisione e reciproco benessere. Questa è la relazione più sana. Poi c’è “l’estensione del sé” per appagare un’esigenza di potere e controllo. Questa categoria include i caregiver, che devono per forza accudire qualcuno, rendendolo totalmente dipendente. Più gli animali sono malandati, fragili, con molte patologie come i brachicefali – i carlini, per esempio -, più accudirli ci fa sentire migliori. Una cosa triste per loro e per noi. E infine lo status symbol: la razza più costosa e rara, il gatto che sembra una piccola tigre (come i bengala) o quello visto insieme al personaggio famoso».
Questo amore folle finisce per cadere in patetiche esagerazioni, soprattutto nel mondo dei cani (gli astuti gatti in qualche modo riescono a sfuggire). Così a Roma c’è il bulldog francese (la razza ora più ricercata) che arriva dal veterinario in auto blu accompagnato dall’autista, quelli che volano su jet privati, hanno trasportini griffati, armadi-mignon ricolmi di cappottini di cachemire abbinati a quelli dei padroni. Portano collari Swarovski o catene d’oro come i rapper. Frequentano spa, girano in passeggini come bebé, ricoperti di peluche (i negozi per animali vendono più giochi che quelli per bambini). Non sanno più annusare, se si bagnano le zampe fanno i capricci, seguono diete vegane (anche i gatti).
Abbiamo animali obesi, depressi, curati dagli stessi psicofarmaci che ingurgitano i padroni, che calpestano prati artificiali invece di correre su erba vera. Presi per moda e poi lasciati a casa soli tutto il giorno: «Ma gli parlo attraverso le telecamere» assicurano i proprietari. Cani frustrati, piegati ai nostri desideri di padroni ansiosi, esibiti nei salotti come i figli che non abbiamo avuto o postati sui social in loop con le unghia dipinte. Cani che non sono più cani. Come racconta Francesco Serra, da oltre 20 anni istruttore cinofilo e consulente comportamentale: «All’inizio si lavorava sui comandi di base, oggi le problematiche sono soprattutto di comportamento. Ci siamo trasformati in psicologi dei cani, ma spesso supportiamo anche i proprietari». Serra li ha visti mangiare sulla sedia a tavola, si è sentito rispondere che avevano l’agenda piena e non poteva fare lezione e non andavano disturbati mentre facevano colazione. «Ma devono restare cani, invece stanno diventando come noi: ansiosi, spaventati, diffidenti verso i loro simili. Assorbono tensioni, sono aggressivi, sempre meno sereni». In Italia ci sono 7 milioni di cani e 7,5 milioni di gatti e per l’alimentazione spendiamo 2 miliardi e 78 milioni l’anno.
Un dato in crescita continua. «Prima erano lasciati a se stessi, oggi il loro comportamento viene modificato dalla stretta convivenza con l’uomo» sottolinea Clara Palestrini dottore veterinario, professore associato presso il Dipartimento Medicina veterinaria e Scienze animali dell’Università di Milano. Diete curate, posti confortevoli dove dormire, aspettativa di vita più lunga, ma secondo la docente: «Umanizzarli troppo è sbagliato. Non bisogna trattarli come bambini, se no alla fine perdono autenticità. Per fare un esempio: se prendo un border collie e lo lascio a casa otto ore da solo, non mi posso lamentare se la trovo distrutta. Bisogna stare attenti alle razze che si scelgono. Pretendere che il cane o il gatto si adattino alle nostre esigenze è un errore. Sono animali, hanno determinate necessità e queste devono essere rispettate. Ci vorrebbe una corretta informazione, andrebbe fatto un corso di pre adozione, perché loro sono il risultato dei nostri sbagli».
Franco Marcoaldi ha appena pubblicato Animali in versi. Un nuovo canzoniere, raccolta dedicata al mondo animale. «Sono creature che ci sono incredibilmente intime e per certi versi abissalmente lontane. In questa relazione possiamo riscoprire noi stessi con modalità diverse rispetto a quelle del mondo umano, che in apparenza ci fa sembrare connessi e in sostanza ci rende sempre più disconnessi. Ci donano gioie, emozioni, felicità, che altrimenti non troveremmo».
Secondo lo scrittore non bisogna essere etologi per sapere che i piccoli miracoli quotidiani sono praticamente ininterrotti: «Credo che l’attenzione diversa al loro mondo sia uno dei grande eventi della storia dell’umanità. Una delle poche cose buone successe negli ultimi decenni per quello che Nietzsche diceva essere l’animale malato per eccellenza, cioè l’uomo. Penso alle foto che ci arrivano dall’Ucraina, dove la gente con il proprio animale scappa tra le braccia. Per chi ha sensibilità per il mondo animale queste immagini hanno aggiunto commozione a commozione, dolore a dolore. Nell’infelicità si cerca il rapporto con altre forme di vita. Sono segni di un’umanità che non vuole arrendersi neanche di fronte al più grande degli orrori».




