Neanche ventenni, apparentemente senza problemi, accomunati però dalla scelta definitiva: il suicidio per mezzo del nitrito di sodio. Una sostanza che si acquista online con facilità e che alcuni forum molto discutibili spiegano come usarlo.Il fenomeno si è diffuso attraverso la Rete e, anche in Italia, è diventato una minaccia per i giovani.
Fabio Gianfreda, 19enne di Latina, esce di casa dicendo che andrà a trovare un’amica a Roma. Ma non tornerà mai a casa. Viene ritrovato il giorno dopo nella stanza di un albergo nei dintorni della stazione Termini, senza vita. Accanto a lui, bottigliette piene d’acqua e una sostanza: nitrito di sodio. Un altro caso: Alessandro Cecconi, 18 anni, al quarto anno di un istituto tecnico di Bassano del Grappa, si collega in Dad per seguire una lezione ma poi non compare sullo schermo. Lo troveranno i genitori al ritorno dal lavoro, esamine, nella sua stanza.
Sono due recenti episodi di suicidio con nitrito di sodio, una sostanza in genere impiegata in campo agroalimentare per la conservazione di carne e pesce, ma che negli ultimi anni viene utilizzata da giovani (e non solo) per una scelta senza ritorno. Acquistabile per pochi euro sul web, in vari Paesi sta diventando la tragica scorciatoia per un’ inaccettabile eutanasia. «Il primo caso documentato dalla letteratura scientifica risale al 2010 ed è avvenuto in Australia» racconta Costantino Ciallella, responsabile Unità di ricerca in Patologia forense e direttore della Scuola di specializzazione in Medicina legale della Sapienza di Roma. «Si tratta di un 76enne. Aveva assunto una quantità non precisata di cristalli trovati dentro un contenitore industriale. Si è scoperto in seguito che si trattava di nitrito di sodio. L’uomo è comunque sopravvissuto».
Tutti questi casi seguono un protocollo custodito nei cosiddetti «forum pro-choice». Il più noto è Sanctioned suicide che, con la scusa di una libera scelta, fornisce a tutti i membri, anche minorenni, informazioni su come togliersi la vita in breve tempo: suggerimenti, farmaci da assumere 48 ore prima, dieta da seguire, dosaggi indicati per assicurarsi la letalità e consigli per non suscitare sospetti in famiglia, con tanto di chat dal vivo e operatori pronti ad assistere l’aspirante suicida. Gli utenti pubblicano «post di addio» e tentativi di suicidio in tempo reale, che risultano poi i messaggi più visti sul sito.
«Da quando Fabio non c’è più, da due anni a questa parte, siamo in contatto con i familiari di altri sei ragazzi italiani la cui morte è correlabile alla sostanza». A parlare è Marco Gianfreda, padre di Fabio. «Sappiamo che nostro figlio ha ordinato un chilo di nitrito di sodio via web, per 13 euro. Non ha spiegato il suo gesto, neanche nei video di saluto che ha lasciato nel pc. Oggi abbiamo contatti con genitori di ogni parte del mondo».
Ma fin dove può spingersi la propria libertà personale? Il web è legittimato davvero a offrire di tutto, persino la libertà di suicidarsi a ragazzini per pochi euro? È davvero un indice di libertà il fatto che chiunque in condizioni di fragilità psicologica possa accedere senza difficoltà a siti di questo genere?
La politica internazionale non approva, è ovvio, ma nei fatti rimuove il problema. Sul web il sito «pro choice» non ha vita facile. A oscurarne l’accesso sono Germania, Italia (anche se risulta ancora visibile con particolari motori di ricerca), Australia. Ancora consultabile, invece, in Stati Uniti, Regno Unito, Canada. Su Twitter l’account di Sanctioned suicide è raggiungibile senza problemi.
È un fenomeno l’emulazione via web in drammatica crescita nel mondo anglosassone, oggetto di una recente di un’inchiesta del New York Times, che ha rivelato nomi e nazionalità dei due amministratori di Sanctioned suicide, l’uruguaiano Diego Joaquín Galante e Lamarcus Small, che vive in Alabama, entrambi di 28 anni e sotto indagine dell’Interpol. Secondo la testata americana sono 50 i casi di suicidi collegati al sito. Ma oltre 500 persone, tra cui molti minorenni, hanno dichiarato di volersi togliere la vita sul forum e in seguito non hanno più postato alcun messaggio. Un numero ufficiale, ma con molti dubbi che sia ufficioso. E mentre in Italia ci si divide su eutanasia legale e suicidio assistito, nel mondo da anni le persone utilizzano mezzi a buon mercato per suicidarsi nel modo più facile e veloce possibile. Niente burocrazia, nessuna patologia terminale che giustifichi questa intenzione, nessuna pratica da compilare o colloquio psicologico da sostenere. Solo tanto sgomento, soprattutto per chi resta.
Sono tante, in tutto il mondo, anche le pagine social contro il forum. È il caso di Stop sanctioned suicide (Sss), gestita nel Regno Unito da Catherine Nihill Adenekan, che il 4 aprile 2020 ha perso il figlio Joe, 23 anni. «Stava vivendo un momento difficile dal punto di vista sentimentale, era curato dal centro di salute mentale di Leeds. È diventato membro di Sss dal 28 marzo. Ha raccontato della sua ex ragazza agli altri partecipanti. Loro gli hanno risposto che nulla sarebbe mai migliorato e togliersi la vita sarebbe stata la soluzione per mettere fine al suo disagio. Lui non era convinto, ha scritto che non voleva farsi del male. E allora gli hanno proposto il cosiddetto “metodo pacifico”. Ovvero come e dove comprare nitrito, come preparare la soluzione e persino come non farsi scoprire da noi familiari. Joe ha lasciato alcune lettere per noi e una per gli inquirenti, dove diceva di aver frequentato il forum e dove li implorava, però, di chiuderlo al più presto. Così, da settembre 2020, ho iniziato la mia battaglia per onorare il desiderio di mio figlio. La polizia e il governo, invece, non hanno fatto nulla. Rimane il fatto che mi hanno contattato altri 22 genitori di vittime di suicidio da nitrito accertate, solo in Inghilterra».
Marco Gianfreda, che ha anche fondato l’associazione «Io sono Enea» per aiutare giovani che vivono disagi, indica alcuni passi da fare. «Bisognerebbe impedire la libera vendita del nitrito, riservandola ai soli operatori professionali. La sostanza va inserita in una specifica lista presso il ministero della Salute e bisogna fare in modo che i fornitori richiedano, al momento dell’acquisto, una prova che l’acquirente sia in effetti un addetto ai lavori».
«Sono assolutamente d’accordo con questo sbarramento» commenta Alessandro Cecconi, padre del diciottenne di Bassano del Grappa. «Così come sarebbe necessario oscurare il sito Sanctioned suicide, fare pressione sulle grandi compagnie che gestiscono server e motori di ricerca e lo rendono facilmente consultabile. Ma bisogna anche battersi perché finalmente diventi obbligatoria la cosiddetta identità digitale. Chiunque su internet dev’essere riconoscibile e responsabile di ciò che sostiene e, soprattutto, risponderne sul piano penale. Il vero ruolo di contrasto spetta alla politica».
Intanto l’inchiesta su Matteo Cecconi alla Procura di Vicenza è nella fase di indagine preliminare, in contatto con la Procura di Roma. «Mio figlio ha lasciato un diario in cui ha spiegato quanto sia stato determinante quel sito nella sua scelta di farla finita. Si è tolto la vita 13 giorni dopo essersi iscritto. Dopo il decesso, l’account di Matteo è stato «bannato» in modo tale che nessuno potesse più accedere al forum con il suo nome, per capire o approfondire i suoi movimenti all’interno del forum».
E c’è chi poi, in questo tragico palcoscenico, ci guadagna. «Abbiamo scoperto che molti utenti hanno annunciato donazioni economiche prima di andarsene, e lì ci siamo spiegati il motivo di quell’attività digitale» aggiunge Gianfreda. «I due amministratori gestiscono anche siti di “incels” – involuntary celibates -, dove è certo che avvengano movimenti di denaro. Il movente potrebbe essere comunque ideologico e identitario. Ideologico perché gli amministratori spesso ripetono, anche confrontandosi con i parenti delle vittime, di credere fermamente nella “libera scelta” delle persone; identitario perché a Sanctioned suicide, che nasce prima sul dark web, si sposta quindi sul sito di news Reddit da cui viene poi bannato e infine approda sull’open web, è legata una community a cui gli amministratori dimostrano di tenere molto».
Parlarne, al di là dei possibili rischi di emulazione, è importante per informare genitori, operatori sanitari e, soprattutto, i più giovani.