Lo proteggeva Goldrake e il malvagio di turno veniva fatto a fette dalle lame rotanti. Federico Ghiso era stato investito poco prima di Natale, a otto anni; i genitori gli avevano regalato il giocattolo mentre era in ospedale. «Di quell’incidente non ricordo nulla, solo la sorpresa quando mi sveglio: quello che trovo sul comodino accanto al letto è un pacco con Goldrake e la sua astronave. Babbo Natale era passato in corsia e me lo aveva portato. Ero il bambino più felice del mondo anche se ero in corsia». Quarantatrè anni dopo il magico robot, pure un po’ acciaccato dal tempo, continua a fare la guardia all’anima fanciullesca del suo protetto. Perché, come diceva il pupazzo Woody nel film Toys Stories, «non ha importanza quanto tempo gioca con noi, l’importante è che noi siamo qui quando lui ne ha bisogno».
Comincia così uno dei libri più originali e fuori dagli schemi del momento, Toystellers sottotitolo Storie di giocattoli, collezioni e collezionisti, che quel bambino ha scritto e pubblicato con la passione di allora e la professionalità di oggi, il fremito istintivo di quegli anni e l’esperienza del pubblicitario televisivo, consulente e direttore creativo di Wunderman Thompson del gruppo WPP. Nelle 286 pagine di personaggi, storie, fotografie c’è un mondo perduto, c’è l’infanzia dei boomers vissuta con i supereroi della Harbert e poi della Mattel, popolata dall’Uomo Ragno, Big Jim, l’Incredibile Hulk, gli Atlas Ufo Robot, Capitan America. E fra le righe c’è, descritta da un’angolazione inedita, la ricostruzione plastica di quell’Italia felice e tormentata, anche se non digitalizzata, degli anni Settanta e Ottanta.








«Con un’avvertenza necessaria» spiega Ghiso per non cadere nel passatismo fine a sé stesso. «L’obiettivo non è recuperare l’infanzia perduta, ma costruire qualcosa che resti nel futuro. Il destino delle collezioni è sostanzialmente uno: quando non ci siamo più qualcuno venderà tutto. Così ho voluto mettere nero su bianco la mia passione e preservarne la memoria. Un libro come una navicella spaziale». Il paragone non è casuale perché Toystellers comincia proprio da un viaggio nello spazio profondo. È il 5 settembre 1977 (ore 4 e 16 minuti per essere precisi) quando la sonda Voyager viene lanciata in orbita da Cape Canaveral, destinazione sconosciuta. Sulla plancia anteriore viene incisa la scritta in latino «Per aspera ad astra» (Attraverso le asperità fino alle stelle).
«L’augurio è per la navicella ma anche per ciò che trasportava» dice Ghiso. «Lo scienziato e astronomo Carl Sagan aveva fatto mettere a bordo un disco d’oro con la raccolta delle cose migliori, capaci di rappresentare la mente umana, nel caso una forma di vita extraterrestre avesse trovato il disco. Una raccolta progettata per durare un miliardo di anni e che includeva, tra le altre cose, musica da tutto il mondo, saluti in 55 lingue diverse, la quinta sinfonia di Beethoven, il canto dei Navajo, l’infrangersi di un’onda dell’oceano, il vento tra i rami di una quercia, il verso delle balene, il battito del cuore umano e il suono di un bacio». Ecco, quel giorno in un quartiere alla periferia di Genova, Federico era appena rientrato da scuola. Se in quel preciso istante il Voyager avesse girato la sua fotocamera verso la Terra (cosa che fece davvero 12 anni, 5 mesi e 9 giorni dopo) probabilmente lo avrebbe immortalato nella sua stanza dei giocattoli o nello sgabuzzino di sua nonna a giocare con tutti i personaggi dei Fantastici 4, con Superman, Thor e Hulk, i Big Jim e i pupazzi di gomma di Paperino e Topolino.
Un viaggio nel tempo e nell’iperspazio, dove le categorie umane non contano, dove valgono più di tutto le emozioni e i valori puri dei samurai moderni. Si parte con Giumbolo, si prosegue con Barbapapà, si arriva a Goldrake e a Big Jim. Sosta obbligata, pezzo da collezionisti raffinati. «Big Jim era il mio gioco preferito. Il più raro è il 4332, modello prodotto in Messico. La fabbrica bruciò e in seguito venne realizzato a Hong Kong. Big Jim colpo di karatè o quello con la valigetta e i quattro volti intercambiabili erano compagni fedeli. Strepitoso il pupazzo con il bicipite che si gonfiava fino a rompere la fascia metallica della prova di forza».
Oggetti da collezionisti, e infatti un’intera sezione del libro è dedicata alle storie e alle testimonianze dei massimi esperti italiani di questa tipologia di giocattoli. Fabrizio Fontanella (numero uno, veneziano, ha un museo tutto suo), Federico Piccinini (romagnolo, ha la più vasta collezione di Mego della Harbert), Fabrizio De Angelis (massimo esperto di Big Jim italiano), Francesco Ristori (presidente del Florence Toys Museum), e altri. Curiosa la scintilla alla base della collezione di Roberto Ballandi: «Ero diciottenne e mia madre regalò tutto a mio cugino di dieci anni più giovane. Soldatini, mezzi da sbarco, carrarmatini della Dinky Toys, mezzi spaziali di Ufo Shado. Allora cosa ho fatto? Ho incominciato a ricomprarli, ovunque nel mondo». Se a questo punto sentite un boato, è un gol da Subbuteo. C’è anche lui in quegli anni Ottanta trainati dal Mundial vinto in Spagna, e c’è anche lui dentro il libro, con le maglie esotiche, le regole inflessibili, le squadre da riporre per evitare che il fratellino facesse a pezzi il centravanti con una manata. Tutto così fisico, reale, tangibile. L’autore di Toystellers sospira: «Oggi c’è la smaterializzazione del gioco, gli eroi dei bambini stanno dentro uno schermo. La fantasia è la stessa, la purezza del gioco fisico no. E poi, chi li protegge come Goldrake quando dormono?».