Non tutti sanno, o ricordano, che l’Italia fu la culla dell’avanguardia artistica più rivoluzionaria del Novecento: il futurismo, che potremmo scrivere tutto maiuscolo, o FuTuriSMo, o in lettere capovolte, in omaggio al fecondo disordine tipografico e ortografico che il movimento propugnava. D’ora in avanti lo scriviamo con l’iniziale minuscola, pur se minuscolo non fu.
Da Milano al mondo
Da Milano – nacque a inizio XX Secolo sulle sponde del Naviglio, dove si rispecchiava il chiaro di luna (da uccidere, secondo il fondatore Filippo Tommaso Marinetti) – il futurismo si diffuse nel mondo, portando con sé il nome di un’Italia nuova, macchinista, veloce, aggressiva, contrapposta alle pigrizie provinciali dell’Italietta post-unitaria, una Cenerentola nella ruggente Europa imperialista del periodo.
Nacque con un Manifesto pubblicato (a pagamento?) sulla prima pagina del quotidiano francese Le Figaro il 20 ottobre 1909, ma lo stesso documento vide la luce nelle settimane precedenti su diversi quotidiani italiani, da La Gazzetta dell’Emilia alla Gazzetta di Mantova, all’Arena di Verona, al Piccolo di Trieste (allora porto austriaco), al Pungolo di Napoli. Il visionario Marinetti, 33enne di forti ambizioni, inventò non solo il movimento, ma il marketing culturale.
Marinetti e la macchina del futuro
Amante di donne e motori, ricco di famiglia, nato nella cosmopolita Alessandria d’Egitto nel 1876, Marinetti aveva sempre il portafoglio aperto per sostenere gli spiriti pazzi che ruotavano intorno a casa sua, nel palazzo milanese di corso Venezia 61. Il giovane scrittore e poeta, chiamato Effetì, li spingeva a rompere con la muffa dei musei; li invogliava a scrivere, dipingere, scolpire, combattere, progettare con in testa il rombo degli aeroplani, le automobili, il tuono dei cannoni, la sinfonia delle mitragliatrici, il fragore delle turbine e dei transatlantici.
Il futurismo incarnava il futuro e si espanse a tutti gli aspetti della vita quotidiana. Futuristi furono la cucina, l’architettura, l’arredamento, la moda, il cinema, la musica, il teatro, la danza, la scienza, l’educazione. Le impronte digitali del futurismo si trovano in ogni espressione del mondo attuale e hanno segnato le avanguardie del Novecento, dal dadaismo al surrealismo fino alla pop art e all’arte digitale.
Il nodo del fascismo
Direte: e allora? Allora c’è un piccolo problema: la rimozione cui il futurismo è stato a lungo oggetto dal Dopoguerra, a causa dei suoi rapporti con il fascismo. Che ci furono. A parte Marinetti, fascista convinto fin dall’alba del movimento di Mussolini, tutti ebbero relazioni con il regime, ma intermittenti. Umberto Boccioni morì nel 1916, prima ancora che si costituissero i fasci. Tutti, però, fascisti o meno, futuristi della prima ora o adepti più tardi, ebbero vite strabilianti.
Il libro che riapre i conti con la storia
Ed è a queste che Giordano Bruno Guerri ha dedicato il libro Audacia Ribellione Velocità. Vite strabilianti dei futuristi italiani (Rizzoli). «Di strabiliante c’è pure che Marinetti e altri videro veramente nel futuro» spiega Guerri a Panorama, «con parole di allora immaginarono il computer, il cellulare, persino l’Intelligenza Artificiale».
Continua Guerri: «Da noi, parlare di futurismo dopo il 1945 era come richiamare in vita il fascismo. Una stupidaggine critica e storica. In Germania l’arte degenerata era vietata. In Italia, con la masnada futurista, non si potevano certo vietare le espressioni più moderne e avanzate».
Dalla rimozione alla riscoperta
La rimozione del movimento fondato da Marinetti, un «cretino fosforescente» secondo Gabriele d’Annunzio, e la dispersione delle opere durò a lungo. «Per fortuna Gianni Agnelli prese opere per il Lingotto», ricorda Guerri. «La svolta arrivò con la grande mostra veneziana a Palazzo Grassi nel 1986, curata da Pontus Hultén».
Negli ultimi decenni, con fatica, il movimento nato nel 1909 ha finalmente riottenuto il posto che merita nella storia dell’arte. Anche grazie a libri come questo di Guerri, ricco di curiosità, immagini e visioni, una strabiliante strenna natalizia, da mettere sotto l’albero o, per contrasto, accanto a un passatista presepe, stile casa Cupiello.
