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Ieri dismessi, oggi rinati

Ieri dismessi, oggi rinati

Opifici, miniere, antiche imprese che non scompaiono ma diventano teatri, musei, archivi, biblioteche. Una mappa ragionata di alcuni, straordinari, recuperi. Dove accanto alle nuove funzioni viene tramandata la memoria del lavoro.


Fu forse Milano. Ritratti di fabbriche, libro del fotografo e architetto Gabriele Basilico uscito nel 1981, a sensibilizzare gli italiani più avvertiti sulla necessità di conservare – nel caso far risorgere, cambiandone uso e destinazione – i siti di stabilimenti abbandonati, un tempo pulsanti di fervore industriale. Da allora, molto è cambiato. L’Italia, Paese manifatturiero e di indubbia inventiva, pullula di realtà culturali e museali sorte su ex fabbriche, talvolta inglobate nel nuovo progetto, spesso solo ricordate con immagini, schede e video.

A Rho, città che confina con Milano ed è sede di primari eventi fieristici, in pieno centro ora spicca un Teatro civico da 700 posti, acustica perfetta, ampio foyer e climatizzazione in accordo con i più aggiornati criteri di sostenibilità. Inaugurata con un concerto di Giovanni Sollima il 25 novembre scorso, la sala (il 9 giugno ospiterà l’Orchestra e i Solisti di canto dell’Accademia Teatro alla Scala per una serata speciale) è diventata punto di riferimento per la vasta area metropolitana (www.teatrocivicorho.com). Chi l’ha immaginata, ovvero Diana Bracco, presidente del gruppo farmaceutico di famiglia, ha tutte le ragioni di ritenersi soddisfatta: il teatro porta il nome di suo marito Roberto De Silva (scomparso nel 2012) ed è stato costruito dove aveva sede il ramo cosmetico.

Una fabbrica che produceva fragranze proprie e su licenza di noti marchi, quali Ferrè, Byblos, Pancaldi, Bugatti, Chiara Boni e via elencando. Si chiamava Diana De Silva Cosmétiques ed è stata, dagli anni ‘70, un motore per la crescita di Rho e di quella parte del Milanese. Roberto De Silva, chimico come la moglie Diana (si erano conosciuti all’università di Pavia), l’ha guidata con passione per anni. Ma tutto, dice il saggio, ha una fine, persino il sole che ci illumina. Così il Gruppo Bracco è uscito dalla cosmetica, mentre resta leader nella farmaceutica, in particolare diagnostica per immagini (fatturato 1,7 miliardi annui, 3.600 dipendenti). De Silva amava la cultura e l’arte in tutte le sue forme, è stato logico dedicargli un teatro, o meglio una «scatola magica», come ricorda la pergamena inserita a futura memoria nelle fondamenta dell’edificio. «Non tutti hanno la fortuna di avere una storia, noi sì» ha detto Diana Bracco, orgogliosa del Gruppo fondato da suo nonno Elio nel 1927 e nel quale è impegnata dal 1966.

E la storia va tramandata ai giovani e più avanti a chi verrà dopo. Oltre all’omaggio al marito, la presidente si è adoperata per mettere online l’archivio storico aziendale, ricchissimo di foto, documenti e video, ora disponibili a chiunque voglia conoscerli (www.archiviostoricobracco.com). Investire nel «corporate heritage» vuol dire aprirsi al futuro, proprio mentre sembra che si guardi al passato. È la convinzione di Bracco e altri condottieri d’industria, che sistemano e aprono gli archivi, creano luoghi di riflessione storica e culturale dove sorgevano officine, intersecano l’arte con una tradizione di lavoro. L’archeologia industriale, lungi dall’essere settore specialistico di indagine, è diventata leva di una visione contemporanea che valorizza la storia di imprese costitutive della nostra identità. Non c’è marchio industriale di rilievo, in Italia, che non faccia parte dell’associazione Museimpresa, nata a Milano nel 2001 su proposta di Assolombarda e Confindustria. Oltre 100 le imprese rappresentate. Ai vertici dell’associazione, con il presidente Antonio Calabrò, i vice Marco Amato (Museo Lavazza), Carolina Lussana (Fondazione Dalmine), Lucia Nardi (Archivio Storico Eni), Silvia Nicolis (Museo Nicolis).

Per lo studio, la conservazione e valorizzazione del tessuto e della moda, due aspetti da secoli vanto d’Italia, sia pure divisa in stati e staterelli -, da segnare in agenda è il Museo del Tessuto di Prato. La sede è all’interno dell’ex opificio tessile ottocentesco Campolmi, sorta di riassunto didattico dell’archeologia industriale. Nei locali della fabbrica, di valore intrinseco, vengono conservati migliaia di tessuti provenienti da tutto il mondo e l’arte tessile mostra i suoi segreti attraverso macchinari e fasi della produzione. Presenti, anzi in via di arricchimento, abiti, accessori moda e tessuti contemporanei, in collaborazione con le aziende del distretto. Il Museo ha una Textile Library, archivio dedicato a fibre e filati, oltre a sale per mostre temporanee (www.museodeltessuto.it).

Sempre tessuti, almeno come rimando, a Biella, con Cittadellarte, all’interno dell’ex Lanificio Trombetta, che ospita la Fondazione, intitolata a Michelangelo Pistoletto, 90 anni il 25 giugno, artista originario nella stessa città. Sede di mostre e altre iniziative, in questo periodo con focus sull’auspicabile pace, Cittadellarte testimonia come un semplice luogo dismesso, in un’ex capitale della lana e del fare italiano, possa diventare contenitore di attività rivolte al futuro (www.cittadellarte.it). Con un salto al sud, ecco il museo aziendale Strega Alberti, a Benevento, dentro lo storico stabilimento del celebre liquore, icona della «città delle streghe». Oltre a macchinari, etichette e manifesti vintage, due sale sono dedicate al famoso premio letterario intitolato al brand di casa (www.spaziostrega.it, le visite guidate dovrebbero riprendere in estate).

Luogo di incredibile fascino è la miniera di Montevecchio, nel sud della Sardegna, in una zona estrattiva fin dall’antichità. Dismessa nel 1991, si esplora con visite guidate su vari percorsi, capaci di far rivivere le condizioni estreme di lavoro dei minatori e di un mondo padronale ormai scomparsi. La macchina di estrazione del minerale potrebbe ancora funzionare, nonostante abbia cent’anni (www.minieradimontevecchio.it). Il turismo spinto da curiosità industriali non sarà potente come quello delle città d’arte, o enoico e gastronomico (l’Italia è una Penisola dei tesori), ma si sta ritagliando una fetta notevole di amatori. La nostalgia del passato non è sempre un atteggiamento che spinge a dire, scioccamente, «come si stava bene un tempo». Coltivare la relazione tra memoria e futuro è nel programma dei musei d’impresa. Basti dire che ci sono aziende come Barilla, con l’archivio storico a Parma, che raccoglie le molte campagne pubblicitarie amate da generazioni di italiani, e un museo della pasta, per capire quando non ci sia nulla di perniciosamente passatista nel visitarlo (www.archiviostoricobarilla.com).

L’archivio è stato fondato nel 1987, per volere di Pietro Barilla, che teneva a diffondere la cultura aziendale di tutti i marchi acquisiti dal Gruppo. Dal 2014 gran parte del materiale è confluito alla Corte di Giarola di Collecchio, nel comprensorio musei del Cibo della provincia parmense. Territorio che ha visto il recupero di un mulino, un laminatoio e un pastificio a ciclo completo del XIX secolo. Chiudiamo con il museo della Macchina per caffè del Gruppo Cimbali, a Binasco, alle porte di Milano. Fondato nel 2012 per promuovere la cultura del caffè, è nel quartier generale dell’azienda. Oltre 300 pezzi conservati, un centinaio esposti, ne fanno il più grande museo di macchine professionali per preparare la bevanda al mondo.

Macchine intarsiate, quasi barocche, o slanciate, avveniristiche, da fine Ottocento ai giorni nostri. Sono il catalogo tridimensionale di ingegno tecnico e design applicato all’oggetto comune in ogni bar d’Italia, e all’estero, dove il marchio Cimbali è ben presente. Con l’Academy, il museo si propone anche programmi di formazione e master per gli addetti (www.mumac.it). C’è ancora tanto da fare, per valorizzare tutta la storia industriale d’Italia, direbbe il perfezionista; ma un bel pezzo di strada è già percorribile, dice l’ottimista.

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