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C’era una volta l’auto

C’era una volta l’auto

Il settore automotive segna il passo. La crisi riduce i volumi di vendita, ma anche i produttori fanno fatica a rispondere alla domanda per mancanza di componenti. Intanto, il parco circolante invecchia (l’età media delle vetture è di 12 anni) e i modelli elettrici stentano a crescere. Ora si punta sugli incentivi.


Ma non basterà.e ha viste tante. Ha iniziato a occuparsi di statistiche sul mondo dell’auto più di mezzo secolo fa, lavorando per l’importatore del gruppo Volkswagen. Poi, nel 1993, ha fondato il Centro studi Promotor, dedicato ad analizzare il settore. E adesso, se gli chiedete come giudica l’attuale fase del mercato, Gian Primo Quagliano risponde senza esitazioni: «È la peggior crisi cui ho mai assistito. Certo, anche quella del 2008 è stata molto grave, però era una crisi da domanda, provocata dal crollo del Pil. Questa invece è dovuta sia alla caduta della domanda, ereditata dalla pandemia, sia alla mancanza di offerta, perché la case automobilistiche si trovano in grandi difficoltà di produzione per la mancanza di alcuni componenti. Siamo nella classica tempesta perfetta».

Se gli incentivi agli acquisti di auto nuove, introdotti il 25 maggio, avranno effetto, a fine anno il mercato italiano potrebbe arrivare a 1,3 milioni di immatricolazioni, stima il Centro studi Promotor, un livello lontanissimo dai 2 milioni abbondanti a cui eravamo abituati e inferiore di oltre 600 mila vetture rispetto al 2019. «A questi ritmi» avverte Quagliano «il parco circolante continuerà a invecchiare: oggi l’età media dei 39 milioni di veicoli circolanti in Italia è di 12 anni, molto elevata». A provocare tale disastro è un incredibile concatenarsi di fattori: quando finalmente i consumatori hanno riacquistato fiducia dopo la fase nera della pandemia, sull’industria dell’auto è piombata nel 2021 la scarsità dei microchip, con l’effetto di rendere impossibile ai potenziali clienti procurarsi una nuova auto.

Poi si è aggiunta la guerra in Ucraina che, oltre a gelare le prospettive di crescita post-Covid, ha creato nuovi problemi all’approvvigionamento dell’industria: nel Paese invaso dalla Russia ci sono infatti 17 impianti di produzione di cavi per auto che, secondo la società di consulenza AlixPartners, sono il componente per vetture più importante esportato da lì verso l’Unione europea. Con il conflitto molti stabilimenti hanno dovuto fermare la produzione e così le fabbriche in Europa si sono trovate senza cablaggi: un’auto oggi funziona grazie a un reticolo di cavi che raggiunge in media i 5 chilometri di lunghezza e se ne manca un pezzo non può uscire dalla fabbrica. Nel frattempo la carenza di microchip non è finita, anche per colpa dei nuovi lockdown decisi in Cina. Così ci sono clienti che prenotano un modello, l’aspettano per dieci mesi e poi si sentono dire dal concessionario che l’ordine è stato cancellato. Se a tutti questi problemi aggiungete la spinta ai prezzi dovuta ai rincari del gas e del petrolio, beh, il binomio «tempesta perfetta» non appare per niente esagerato.

«La situazione del settore dell’auto è gravissima e il governo deve adottare efficaci misure di sostegno. Ma proprio su questo terreno si stanno verificando errori, inefficienze e ritardi intollerabili» sottolinea il Centro studi Promotor. I ritardi a cui si riferisce riguardano gli ultimi incentivi che sono stati annunciati mesi prima della loro introduzione, con l’effetto di bloccare il mercato per tutta la prima parte dell’anno: nessuno compra oggi a 100 quello che pensa di poter acquistare domani a 95. Le case automobilistiche hanno reagito alla crisi e alla mancanza di componenti privilegiando la produzione di modelli più costosi che garantiscono margini più elevati. Parafrasando Maria Antonietta, se non si può dare il pane alla classe media, si danno le brioches a chi può spendere.

Il risultato è che i bilanci delle società sfoggiano ottimi risultati: Stellantis ha chiuso il primo trimestre 2022 con ricavi in crescita del 12 per cento rispetto allo stesso periodo 2021, anche se le consegne consolidate sono scese del 12 per cento a 1,3 milioni di unità. Volkswagen ha visto l’utile operativo del primo trimestre salire a 8,45 miliardi di euro, rispetto ai 4,81 miliardi del 2021. Mercedes ha subìto una netta flessione delle vendite mentre i profitti sono cresciuti del 7,71 per cento. Anche Bmw ha consegnato meno auto (-6,2 per cento) ma ha aumentato gli utili.

Chi invece soffre è la rete dei venditori. «Se e quando ci sarà disponibilità di prodotto» spiega Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, l’associazione dei concessionari, «il mercato italiano del nuovo è destinato ad attestarsi su 1,5-1,6 milioni di vetture e quindi lontano dalla chimera dei 2 milioni che per tanti anni abbiamo rincorso». Questo perché i prezzi delle auto sono destinati a salire e non tutti potranno permettersi di acquistarle. I costi con l’elettrificazione sono cresciuti, c’è l’inflazione, i produttori vogliono guadagnare di più: «Le case automobilistiche hanno deciso, quasi tutte, di ridurre i margini ai dealer» dice Cosentino, «e se aggiungiamo i volumi sopra ipotizzati è matematico che la rete distributiva calerà nei prossimi due, tre anni di un -20 per cento almeno».

In altre parole, un concessionario su cinque sarebbe destinato a chiudere.Un mercato dell’auto più piccolo avrà anche un impatto negativo sull’economia nazionale. Come ricorda la Fiom, il nostro Paese produceva 1 milione e 800 mila vetture alla fine degli anni Novanta, mentre nel 2021 ne abbiamo prodotte circa 440 mila: «Il fatturato dell’automotive è comunque importante nel nostro sistema industriale dal momento che, se consideriamo anche la componentistica, si tratta di 93 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del Pil, con un’occupazione di circa 250 mila lavoratori diretti».

Ma come si può rivitalizzare un mercato così strategico per il Paese se l’automobile è destinata a diventare sempre più cara? «In Italia si comprano più vetture usate che nuove, forse perché i privati un modello nuovo non se lo possono permettere» chiosa Cosentino di Federauto. «Va reso atto al governo italiano, unico in Europa, di aver riconosciuto un incentivo anche ai veicoli che emettono fino a 135 grammi di CO2, cioè quelli che fanno parte della fascia economica e che non a caso sono i più venduti. Ma non basterà a riportare il mercato ai livelli del passato».

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