E’ il 3 aprile 1973 quando Martin Cooper, ingegnere della Motorola, chiama il suo rivale Joel Angel della Bell utilizzando uno strumento portatile che pesa 1,1 chilogrammi, il Motorola Dyna Tac, il primo cellulare della storia. Rivolgendosi ad Angel, pare che Cooper abbia gongolato: «Alla Motorola ce l’abbiamo fatta: la telefonia cellulare è realtà».
Sono trascorsi quasi 50 anni dalla nascita di quel mastodontico prototipo dalla batteria che durava appena 30 minuti, progenitore dell’oggetto forse più rappresentativo della civiltà di oggi: lo smartphone. Ma per capirlo appieno serve riportare ancora più indietro le lancette, e ricordarci dell’invenzione del telettrofono, il primo telefono, fonte di una rivoluzione sociale e culturale risalente a metà Ottocento. La mente da cui scaturì tutto fu quella dell’italiano Antonio Meucci. Nel 1849, durante i suoi esperimenti di elettroterapia, scoprì la trasmissione della voce per via elettrica, ma fu solo nel 1854 che assemblò uno «strumento» per comunicare. L’inventore fiorentino si trovava a Cuba come ingegnere del Gran Teatro di Tacón, e lo progettò per necessità: doveva parlare con la moglie, costretta a letto al secondo piano del loro cottage. Funzionava.




Ma le cose non andarono come sperato. Meucci non aveva disponibilità economiche per vedersi convalidato il brevetto del suo telettrofono a New York, che gli fu praticamente «scippato» da Alexander Graham Bell, il quale fece registrare il suo «telefono» nel 1876. Ne nacque una diatriba in qualche modo risolta soltanto nel 2002, quando lo stesso Congresso degli Stati Uniti d’America ha ufficialmente riconosciuto il lavoro dell’ingegnere italiano nell’invenzione del telefono. Ma Meucci morì povero.
Insomma, dal fisso al cellulare, la storia del telefono è segnata da rivalità. Che proseguono anche oggi nella sfida tra i vari brand del settore per il modello più accattivante e tecnologicamente sorprendente.
Economicamente è alla portata di tutti (non a caso sarebbero circa 6 miliardi i cellulari sul pianeta), ma non è sempre stato così. I primi telefonini erano appannaggio di ricchi manager. L’antesignano nei negozi, il Motorola DynaTAC 8000X, commercializzato a partire dal 13 marzo 1984 costava al dettaglio 3.995 dollari, cioè più di 9 mila euro di oggi.
Ciononostante, ne furono venduti circa 300 mila pezzi, e questo dà la misura di quanto fosse riconosciuto come cruciale passaggio sia sociale sia di business. Non solo: era un vero e proprio status symbol, come racconta Bruno Mastroianni nel suo recentissimo saggio Storia sentimentale del telefono (Il Saggiatore). «Il cellulare per tanti anni è stato simbolo dell’uomo d’affari, sempre connesso, fino a diventarne lo stereotipo» ricorda a Panorama il filosofo e giornalista aprendo riferimenti, tra l’altro, al fenomeno anche nostrano degli yuppies. «Sempre raggiungibile, continuamente produttivo. Poi, a mano a mano, soprattutto con la nascita delle schede Gsm e con le ricaricabili, lo strumento diventa più abbordabile economicamente, raggiunge le masse. Comincia a comparire sempre più frequentemente nelle mani dei giovani».
Il merito è anche dell’azienda finlandese Nokia che si presenta, nel 1987, con il suo Nokia Mobira Cityman 900. Da molti ricordato come «il Gorba» perché il presidente russo Michail Gorbachëv, a Helsinki per una conferenza internazionale, viene fotografato mentre lo usa per chiamare Mosca. È l’ottobre 1989 e tenerlo in mano non è per niente facile. Non soltanto perché pesa 760 grammi (l’iPhone 13 arriva a circa 140) ma anche perché il suo prezzo è di circa 5.500 dollari. Eppure è un anello di congiunzione tra l’oggetto per pochissimi a quello che raggiunge platee sempre più ampie di popolazione.
Fino alla svolta. Alla metà degli anni Novanta Motorola presenta lo StarTac, un passo in avanti fondamentale rispetto ai precedenti modelli. È maneggevolissimo e costa meno: circa duemila dollari alla presentazione. Il Wall Street Journal trova subito una somiglianza con il «Comunicatore» della serie televisiva Star Trek (e si noti l’assonanza). Difficile resistergli. Lo StarTac ha poco di fantascientifico e tanto di sorprendente: è il primo a utilizzare la cosiddetta forma «a conchiglia», cioè con la parte superiore che si richiude completamente sopra quella inferiore quando il telefono non viene utilizzato. Il successo è straordinario: venderà più di 60 milioni di esemplari.
Una forma che sarà poi abbandonata con l’arrivo, in un mercato ormai florido, del «mitico» Nokia 3310. Un modello maneggevole, dal design compatto e arrotondato, rimasto famoso per il suo carattere indistruttibile e per la durata della batteria che, incredibile a dirsi, supera quella dei moderni smartphone. Il 3310, il cellulare con cui si potevano passare intere ore a manovrare un serpente nel gioco «Snake» – che nel 2010 ha vinto il Guinness World Record dopo aver raggiunto oltre 1 miliardo di giocatori – era in grado di reggere 55 ore di conversazione. Poteva rimanere acceso, in modalità stand-by, per dieci giorni. Si «doveva» avere.
«Ricordo che lo usavamo soprattutto per fare degli squilli perché di soldi da spendere in chiamate ce n’erano pochi» ricorda ancora Mastroianni. Anche gli sms costavano e ci costringevano a stare nei 140 caratteri e non di più perché altrimenti dovevi mandarne due e costava il doppio. Soltanto l’avvento della «Summer Card» di Omnitel (poi Vodafone), celebrata da uno spot con protagonista Megan Gale (subito la più sognata dagli italiani), sdoganerà la tariffa «flat» per i messaggi. Gli sms, ormai dimenticati e affidati alla storia, rappresentano una comunicazione asciutta. Non ci sono ancora, agli inizi dei Duemila, fotocamere e neanche colori sui display. Arrivano nel 2001 con il Sanyo SCP 500 che consente, primo fra tutti, di immagazzinare in rubrica ben 500 contatti. Diverso invece il limite massimo di fotografie scattabili: 20 al posto delle centinaia che accumuliamo, postiamo e condividiamo in poco tempo, ogni giorno oggi.
Dalle foto ai video, il passo è breve. Il primo videofonino arriva nel 2002: per il lancio, nel dicembre di quell’anno, è costruita una videocomunità mobile italiana; 333 clienti, rigidamente selezionati, sono scelti per sperimentare la videofonia. Ovvero chiamate in cui, alla voce, si aggiungono i dettagli del volto, le espressioni, il corpo. La strada verso i moderni smartphone è ormai tracciata. Steve Jobs presenta l’iPhone al pubblico il 29 giugno 2007 ma, prima, tiene a mantenere un segreto maniacale per la sua creatura: Terry Lambert, ex ingegner Apple, racconta che, all’interno dell’azienda, ogni team conosceva un nome in codice diverso legato al progetto iPhone. In questo modo, i vari gruppi non avrebbero mai saputo se altri team stessero lavorando allo stesso progetto. Quando l’iPhone, dallo schermo touch e pieno di funzioni, viene presentato alla stampa diventa una scoperta anche per i lavoratori di Apple. Con esso arriva l’era delle app, di WhatsApp che riduce la comunicazione a uno scambio ibrido di foto, video e voce.
Si può ripercorrere l’evoluzione dell’uso del mezzo sul grande e piccolo schermo: dalla telefonata del Delitto perfetto di Alfred Hitchcock (1954), al cordless di Scream del 1996. «Ma oggi al cinema o in televisione è più raro vedere una chiamata» nota ancora Mastroianni. «Basti pensare a una serie tv come Scam, dove allo spettatore si riportano i messaggini scambiati tra i protagonisti». Telefonare, direbbero i giovani, è un po’ da «boomer». La voce c’è ma attraverso i messaggi vocali, odiati da alcuni, normali per altri. E chissà come cambierà ancora. Nel 2030 i cellulari pieghevoli potrebbero essere quelli più diffusi. Mentre qualcuno inizia a immaginare telefoni messi sottopelle come microchip. A questo Martin Cooper non aveva certo pensato.
