La Turchia è sempre più un «porto sicuro» per organizzazioni coinvolte in una vasta gamma di attività illecite, dalla frode al traffico di esseri umani, a quello della droga. Come possono operare impunemente? Grazie a una rete di protezione di funzionari collegati ad alte cariche del governo di Ankara. In un gioco di fondi che andrebbero a finanziare le attività oscure dei servizi segreti.
Baris Boyun, 40 anni, maxi ricercato in Turchia, è solo l’ultimo della lista. Arrestato in Italia pochi giorni fa per svariati capi d’accusa – dall’omicidio al traffico internazionale di armi -, per la sua estradizione in Turchia si era mosso nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Il quale, durante un bilaterale tra il governo turco e quello italiano lo scorso gennaio, aveva chiesto direttamente al presidente del Consiglio Giorgia Meloni che Boyun (che si trovava agli arresti domiciliari, ma la richiesta di estradizione era stata respinta dalla Giustizia italiana) fosse trasferito nel Paese d’origine. Forse il presidente turco ignorava che da noi vige ancora una democrazia e che è il potere giudiziario a stabilire chi debba essere estradato e non invece, come accade ad Ankara, il palazzo presidenziale. Ma tant’è. In ogni caso la vicenda del mafioso Boyun, che coinvolge anche i servizi segreti di Ankara (gli investigatori italiani hanno notato un’attività insolita da parte di quella intelligence che cercava di arrestare il boss per prima), chiarisce come il peso della criminalità turca in Europa sia sempre più rilevante. Narcotraffico, armi, commercio di esseri umani sono le «specialità» delle mafie del Bosforo che nel Vecchio continente hanno trovato terreno sin troppo fertile.
A certificarlo è anche un rapporto dell’Europol, l’agenzia dell’Unione europea per la cooperazione tra le forze dell’ordine. Nel testo, intitolato «Decodificazione delle reti criminali più minacciose dell’Ue», si certifica come nei vent’anni di presidenza Erdogan la Turchia sia diventata un polo attrattivo per le più agguerrite e spregiudicate organizzazioni criminali del Mediterraneo, e dunque una seria minaccia per la sicurezza dell’Europa unita. Son ben 821 le reti delinquenziali più pericolose mappate da Europol, e tra queste spiccano per rilevanza e spessore criminale proprio individui con cittadinanza turca o cittadini europei di origine turca. Molti dei quali hanno sede in Belgio e nei Paesi Bassi, dove si occupano di gestire il grande traffico di cocaina e cannabis che avviene abitualmente nei porti di Amsterdam e Rotterdam, oltre al riciclaggio di denaro. Tali reti, afferma il rapporto di polizia, «sono attive in più di 40 Stati, ma le operazioni principali si svolgono in Belgio, Germania, Paesi Bassi e Spagna, e al di fuori dell’Ue negli Emirati Arabi Uniti».
Esemplificativo il caso di Ahmad Nazari Shirehjini, cittadino iraniano affiliato a un sindacato della criminalità organizzata impegnato in frode e riciclaggio di denaro in tutta Europa. Dopo aver acquisito la cittadinanza turca, Shirehjini ha orchestrato il trasferimento ad Ankara di milioni di dollari ottenuti da operazioni fraudolente in Europa, grazie a collaborazioni con figure associate al governo Erdogan, evidenziando una volta di più il coinvolgimento tra criminalità e politica turche. Così anche Orhan Adibelli, trafficante di cocaina di lungo corso: fuggito in Turchia nel 2013 per sfuggire a un’operazione di polizia in Belgio, ha trovato rifugio sotto il cappello governativo, che lo ha accolto come un importante investitore. Lì Adibelli si era fatto rapidamente un nome grazie all’enorme quantità di denaro proveniente dalle sue operazioni di droga in Europa, e per questo era stato «premiato» con le concessioni per installare una fabbrica di cemento, la Kayseri Çimento, nella provincia omonima al centro del Paese.
È stato ucciso dai suoi soci per dissidi circa i dividendi del traffico degli stupefacenti, per i quali la fabbrica fungeva ovviamente da copertura. L’indagine sul suo omicidio è stata poi rapidamente insabbiata. Allo stesso modo è rimasta impunita la «volpe curda» Rawa Majid, trafficante di droga e leader di una banda ricercata in Svezia, che ha ottenuto la cittadinanza turca e, nonostante un mandato di arresto europeo, è sfuggito alla polizia e ha continuato a operare liberamente da Istanbul. Come loro, c’è una lunga lista di criminali stranieri che hanno trovato rifugio in Turchia: Nenad Petrak, che ha adottato il nome turco Nenat Çelik; Jovan Vukotic, ucciso in Turchia nel 2022; il boss della mafia montenegrina Zeljko Bojanic; il trafficante di droga bosniaco Sani Al Murdaa e il suo partner albanese Flamur Sinanaj; il polacco Thomas Josef Konrad; Daniel Alexander Muller, ricercato in Germania. Perché tale impunità? E come mai il governo non solo si interessa ma sembra, in alcuni casi, proteggere questi criminali?
La cosa non deve destare sorpresa, considerando il ruolo avuto dall’amministrazione Erdogan nel trasformare la Turchia in un gigantesco hub per i traffici illeciti. Come non ricordare i grandi contrabbandi al confine turco-siriano che, durante la guerra civile, rifornivano il Califfato di armi, petrolio e miliziani pronti a morire per lo Stato islamico? Anche a quell’epoca la gestione illecita delle rotte che un tempo erano destinate ai soli commerci della droga, poi riconvertite ad uso militare, era in mano alla criminalità organizzata turca, che ha fatto affari d’oro finché gli Stati Uniti non sono intervenuti costringendo il governo Erdogan a sigillare il confine. Da allora, la Turchia è rimasta un «porto sicuro» per le molteplici piccole, medie e grandi organizzazioni coinvolte in una vasta gamma di attività illecite, dalla frode al traffico di esseri umani e droga. Operando impunemente, questi criminali godono della protezione di una rete che comprende polizia, pubblici ministeri, giudici e politici, i quali collaborano strettamente con alti funzionari del governo islamista di Erdogan e del suo principale alleato, il Partito del movimento nazionalista di estrema destra (Mhp).
Lo scopo? Secondo il giornalista d’inchiesta Abdullah Bozkurt, oggi direttore di Nordic Monitor, c’è un interesse precipuo della politica: «L’agenzia di intelligence turca (Mit) monitora attentamente queste reti non solo per identificare le vulnerabilità dei Paesi stranieri ma anche per promuovere l’agenda politica del governo turco. Il Mit sfrutta queste connessioni anche per ottenere commissioni da attività criminali illegali, finanziando operazioni clandestine che altrimenti sarebbero difficili da sostenere». Dunque, i fondi nascosti che i servizi segreti utilizzano ai fini delle loro attività sotto copertura, non proverrebbero tanto dai caveau della Banca nazionale turca bensì da generose percentuali che i criminali turchi pagano loro molto volentieri in cambio dell’impunità e, in alcuni casi, direttamente della protezione del governo. Come dimostra peraltro il caso Baris Boyun, per l’estradizione del quale si è scomodato addirittura il presidente. Del resto, le reti criminali turche fanno così gola ai servizi di Ankara perché davvero ben ramificate e inserite nel tessuto sociale dell’intera Europa: estendono la loro portata fino ai Balcani occidentali, dove prevalgono il traffico di droga e il riciclaggio di denaro ma nondimeno il contrabbando di alcol e tabacco. I criminali turchi sono specializzati anche in programmi di frode, che l’Europol descrive come la loro seconda attività più diffusa. Secondo il rapporto, vi sarebbero migliaia di uffici e sistemi di frode online disseminati tra Istanbul e le capitali europee dell’Est, dove call center di facciata attirano ignari o sprovveduti investitori per alleggerirli di quanto più denaro possibile. Dopodiché, spesso queste attività chiudono e traslocano velocemente.
Ma, come si sa, è il traffico di migranti la vera cifra che marca la differenza tra la criminalità organizzata sudamericana, la mafia italiana e la malavita turca: quest’ultima infatti è specializzata nel facilitare l’ingresso illecito nell’Unione europea di cittadini extracomunitari, orchestrando movimenti primari e rotte secondarie all’interno dell’Unione, e facilitando la legalizzazione del soggiorno attraverso sistemi fraudolenti come matrimoni fittizi o il rilascio di permessi di soggiorno dietro corruzione di pubblici ufficiali. Alcune bande criminali forniscono persino ad altre organizzazioni di contrabbandieri servizi «a noleggio» come attrezzature nautiche e documenti falsi di lavoro o di soggiorno. Che le migrazioni verso l’Europa siano una leva efficace per il Erdogan nei suoi rapporti con Bruxelles è storia: è stato lo stesso presidente a minacciare più volte di inondare il Vecchio continente di profughi se l’Unione non avesse fornito un proprio sostegno finanziario. Con questo metodo «coercitivo», negli ultimi vent’anni la Turchia è riuscita a ottenere la cifra monstre di 10,6 miliardi di euro dalle istituzioni comunitarie per trattenere le moltitudini di migranti. E chi ha gestito tutto ciò? Una cabina di regia diretta dai servizi segreti di Ankara, insieme con la manovalanza criminale turca infiltrata in Europa.