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Hollywood sotto attacco: la guerra dei dazi di Trump rischia di chiudere il mercato cinese al cinema Usa

Hollywood sotto attacco: la guerra dei dazi di Trump rischia di chiudere il mercato cinese al cinema Usa

La Cina minaccia di bloccare l’importazione di film statunitensi in risposta ai nuovi dazi imposti da Trump. Un colpo potenzialmente devastante per Hollywood, che rischia di perdere il suo secondo mercato mondiale

Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina non risparmiano nemmeno il grande schermo. In un comunicato diffuso in risposta all’inasprimento delle politiche commerciali statunitensi, la China Film Administration ha annunciato di voler «ridurre moderatamente il volume delle importazioni di film statunitensi», affermando di «aderire ai principi del mercato e rispettare le preferenze del pubblico». L’agenzia ha criticato la «pratica sbagliata» del governo americano di imporre «dazi eccessivi» sulle merci cinesi, sottolineando che tali misure «probabilmente diminuiranno ulteriormente la percezione favorevole del pubblico cinese nei confronti dei film statunitensi». La presa di posizione arriva pochi giorni dopo che l’amministrazione Trump ha innalzato le tariffe doganali sulle importazioni cinesi prima al 104% e poi al 125%.

Una rappresaglia che potrebbe costare miliardi a Hollywood, vista l’importanza crescente del mercato cinese, oggi secondo solo agli USA per incassi cinematografici.

Il peso della Cina per Hollywood

Negli ultimi anni, la Cina si è imposta come un attore protagonista nel mercato globale del cinema. Secondo i dati dell’industria, il Dragone rappresenta oggi il secondo mercato cinematografico al mondo per volume di incassi, tallonando gli Stati Uniti e, in alcuni periodi dell’anno, superandoli anche. Per Hollywood, si tratta di una vetrina commerciale fondamentale, spesso decisiva per il successo – o il fallimento – di un blockbuster internazionale.

Non è un caso che le grandi major americane abbiano progressivamente adattato le loro strategie produttive per conquistare il pubblico cinese. Alcuni esempi emblematici: l’inserimento di attori locali in film occidentali (come Fan Bingbing in Iron Man 3), scene girate in location cinesi, e addirittura versioni “estese” dei film pensate esclusivamente per il mercato asiatico. Il messaggio è chiaro: non si può più fare cinema globale senza passare per Pechino.

Film come Avengers: Endgame hanno incassato oltre 600 milioni di dollari solo in Cina, contribuendo in maniera decisiva al loro successo globale. Lo scorso anno, Godzilla x Kong: The New Empire ha raccolto più di 130 milioni di dollari nel solo mercato cinese. E anche produzioni recentissime come A Minecraft Movie hanno registrato esordi solidissimi, con 14,5 milioni in appena due giorni, pari a oltre il 10% degli incassi mondiali del weekend. E ancora, film come The Fate of the Furious hanno raccolto più soldi in Cina che nel proprio mercato domestico. Un’inversione di rotta che ha cambiato radicalmente la geografia economica del cinema.

Le conseguenze di un blocco

L’eventualità di una stretta sull’importazione di film statunitensi rappresenterebbe un incubo per l’industria hollywoodiana. Non solo per la perdita diretta degli incassi, ma per l’effetto a catena che potrebbe travolgere l’intero sistema produttivo.

Un blocco anche parziale significherebbe ridurre drasticamente i margini di profitto per i colossi del cinema, soprattutto per quei film ad altissimo budget che contano sul mercato globale per rientrare delle spese. Se una produzione da 200 milioni di dollari non può accedere a uno dei mercati più remunerativi del pianeta, rischia di diventare un investimento ad altissimo rischio.

Le major, già alle prese con la concorrenza crescente delle piattaforme streaming, vedrebbero restringersi uno dei pochi spazi in cui ancora riescono a fare “il botto” al botteghino. A pagare il prezzo più alto sarebbero proprio quei titoli pensati per una distribuzione internazionale massiccia, con sceneggiature semplificate e appeal universale: il classico prodotto da esportazione hollywoodiano.

Va poi ricordato che le pellicole estere, in Cina, sono già sottoposte a una selezione rigida: possono arrivare nel Paese solo tramite due imprese statali, e solo 34 film all’anno sono ammessi con formula di ripartizione degli incassi (di cui le major trattengono circa il 25%). Le altre pellicole devono accontentarsi di una somma fissa in cambio dei diritti, senza partecipazione agli utili. Una forma di protezionismo culturale che oggi Pechino potrebbe irrigidire ulteriormente.

La Cina verso l’autosufficienza culturale

Dietro le minacce commerciali si cela anche un disegno politico e culturale più ampio. La Cina, da tempo, lavora per rafforzare la propria industria cinematografica interna, con l’obiettivo di diventare non solo un grande consumatore di film, ma anche un potente produttore di contenuti culturali. La logica è duplice: ridurre la dipendenza dall’estero e promuovere una narrazione che rifletta i valori e le ambizioni del Paese.

Il Partito Comunista Cinese ha investito massicciamente in studi di produzione, effetti speciali e formazione di nuovi talenti. Film patriottici come The Battle at Lake Changjin o Wolf Warrior 2 hanno sbancato il botteghino nazionale, dimostrando che il pubblico cinese è pronto (e forse anche incoraggiato) a scegliere produzioni locali.

In questo scenario, il “boicottaggio” dei film americani non sarebbe solo una mossa punitiva, ma anche una leva per accelerare un processo già in atto: la costruzione di un soft power alternativo, capace di contrastare l’egemonia culturale occidentale. In altre parole, meno Avengers e più eroi cinesi sul grande schermo.

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