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L’ultimo trucco del trasformista

Giuseppe Conte interpreta alla perfezione il copione per i prossimi appuntamenti elettorali: fa il leader «sinistrissimo» sulle orme del transalpino Jean-Luc Mélenchon. Peccato per qualche «scivolata sulla neve» che spiace al suo spin doctor Casalino. Ma il sentiero è tracciato…


Silenzio in sala, luci spente, si alza il sipario. Avvocato del popolo, premier azzeccagarbugli, machiavellico Giuseppi, leader in cerca d’autore, sinistrissimo Giuseppón. Il Leopoldo Fregoli della politica italiana aggiunge al suo vasto repertorio due imperdibili e antitetiche interpretazioni: il Dogui, creatura vanziniana che villeggia a Cortina ostentando ricchezza, e Ghino di Tacco, masnadiero che depredava viandanti diventato lo pseudonimo di Bettino Craxi. Ormai indiscusso leader della sinistra, Giuseppe Conte è tutto e il contrario di tutto. Grazie al suo istrionico talento, ovviamente. Ma anche a quello dell’ex portavoce e consigliori Rocco Casalino, non a caso formatosi al Grande fratello, dove bisogna recitare una parte pena l’esclusione dal gioco e dalle simpatie dei telespettatori.

In questo vorticoso rimescolamento di ruoli e appigli storici, il capo dei Cinque stelle ora riesuma perfino «la politica dei due forni» coniata da Giulio Andreotti. Il panettiere era la Dc, che alternava il forno socialista al forno liberale, a seconda delle esigenze. Un po’ come ha fatto Conte mentre era a Palazzo Chigi: prima al governo con la Lega, poi con il Pd. Complici i suggerimenti del viceré «Roccobello», che accentra la comunicazione del partito, adesso riesuma la strategia.

L’obiettivo sovrano resta immutato: togliere più voti possibile agli agonizzanti Dem, in caduta libera dopo la disfatta di Enrico Letta e alle prese con la logorante sfida interna tra opposti, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. L’ex premier vuole personificare l’opposizione, insomma. Sperando, tra cinque anni, di tornare alle vette raggiunte nel 2018 dai grillini: oltre il 30 per cento. Intanto, però, incombono insidiose tornate. Il banco di prova saranno le regionali a febbraio e poi altre regionali, ma soprattutto comunali, in primavera. Il Movimento, da simili appuntamenti elettorali è sempre uscito a pezzi. Stavolta, il leader spera di lavare le incresciose onte del passato.

Dan Peterson, l’indimenticabile coach, insegnava ai suoi: «Mai sanguinare davanti agli squali». Invece l’emorragia del Pd prosegue manifesta e irreversibile. E il Ghino di Tacco pugliese, spalleggiato da Casalino, infierisce. Vilipendio di cadavere. L’ex premier ha deciso dove stare: a braccetto con il Pd se conviene, ma anche strenuamente contro laddove si può puntare almeno al 10 per cento e far capitolare il candidato dei democratici. Così, ecco i due forni. Finché morte (altrui) non li separi.

A febbraio, per esempio, si vota per eleggere il nuovo governatore del Lazio, regione in cui l’ormai velleitaria battaglia per sussidi e Reddito di cittadinanza avrebbe ancora presa. Dopo un faticoso casting tra simpatizzanti giornaliste, è stata scelta Donatella Bianchi, già presidente del Wwf in Italia, poi capo del Parco nazionale delle Cinque Terre e conduttrice di Linea Blu. Possibilità di vittoria: nessunissima. Garanzia di far perdere il Pd: assicurata. La corsa solitaria, però, si spera garantisca qualche punticino in più, grazie ad arrabbiatissimi e sognatori d’area. E poi Bianchi garantisce quel non so che di ambientalismo mediatico a cui Rocco tiene immensamente. Non a caso a puntellare la candidata c’è Nicola Fratoianni, leader della Sinistra italiana, reduce dall’apparentamento con i Verdi di Angelo Bonelli. La promettente coppia, minata dalle imprese del compagno Aboubakar Soumahoro, potrebbe riunirsi già nelle Regionali di primavera, in Friuli-Venezia Giulia e Molise: sempre a sostegno di un grillino.

In Lombardia, invece, meglio evitare. Alle ultime comunali milanesi l’aspirante sindaca voluta da Conte, Layla Pavone, fu umiliata: 2,7 per cento e nemmeno un consigliere a Palazzo Marino. Perseverare sarebbe diabolico. Nascondersi dietro il Pd, piuttosto: appoggiare il candidato a perdere, Pierfrancesco Majorino, cercando di succhiare un po’ di sangue all’esanime Pd. Uguale perfidia si prefigura alle comunali. In alcune città si studia l’accordo con i democratici, tentando magari di ottenere la candidatura: come a Catania, dove scalpita l’ex viceministro Giancarlo Cancelleri, o a Brindisi, dove il Movimento ha sfiorato il 30 per cento alle politiche. Altrove si andrà da soli, sempre in compagnia di Europa Verde del tormentato duo ambientalista. Eppure lo stesso Bonelli, appena qualche mese fa, esortava Conte a non «usare l’ecologia come un vestito che si mette a seconda di chi devi incontrare». Poco importa. Anzi, meglio. Anche quei voti dovranno finire al Movimento.

Una spruzzatina di verde su un dipinto rosso fuoco. Quando era a Palazzo Chigi, l’avvocato foggiano s’è alleato con tutto l’arco parlamentare: dalla Lega ad Articolo 1. Adesso, una giravolta dopo l’altra, tenta l’ultimo bluff: barra dritta a sinistra. Più lontano possibile dal centro: quello se lo contenderanno Forza Italia, terzisti e Pd, qualora vincesse Bonaccini alle primarie. Il modello che immagina l’ex premier è quello francese, dove alle ultime elezioni ha sbaragliato la Nuova unione popolare ecologista e sociale di Jean-Luc Mélenchon, con quasi il 26 per cento. Mentre i socialisti, ormai, sono quasi scomparsi. Sembrava impossibile mutuare questo modello pure in Italia. Invece, Giuseppi ha smesso baciamani e pochette per indossare i panni del rivoluzionario Giuseppón, come l’antesignano transalpino. Infiamma il Sud inneggiando al sussidio, assieme al cingolante e vago armamentario: pace, legalità, etica, antimafia, giustizia.

Nei sondaggi il Movimento sfiora il 18 per cento: supera stabilmente il Pd ed è il secondo partito italiano. Conte va in piazza, si coalizza con la Cgil per conquistare i pensionati, occhieggia all’Arci sobillando i giovanotti. E poi si sbraccia a Scampia per difendere il Reddito di cittadinanza: non a caso proprio a Napoli, capitale dell’assegno grillino, nascerà, tenersi fortissimo, la prima scuola di formazione politica del Movimento, con Roberto Fico, già presidente della Camera, a capitanare la squadra dei docenti. Inarrivabile resta però il siparietto solidale inscenato a Milano in occasione della Prima alla Scala: mentre i potentoni affollano il foyer, lui assiste allo spettacolo all’Opera cardinal Ferrari, centro di accoglienza per senzatetto. Un modo plateale per marcare distanza dalla premier Giorgia Meloni, ospite d’onore del teatro meneghino.

Le interpretazioni di Giuseppón sono state un sublime crescendo. E tutto sembrava funzionare alla perfezione. Fino a quando Dagospia non lo fotografa, assieme alla fidanzata Olivia Paladino, mentre svacanza in un hotel a cinque stelle di Cortina, uno dei luoghi più esclusivi al mondo, meta prediletta di ricchi e arricchiti. Scena da cinepanettone. Conte, baciato dal sole, sembra davvero il Dogui di Vacanze di Natale: «Ma la libidine è qui, amore: sole, whisky e sei in pole position!». Niente di male, ovvio. Per difendere i poveri non è necessario rifuggire i lussi. Ma come la mettiamo con le recite pauperistiche, vedi la controprima della Scala? O gli argomenti usati contro gli avversari, tipo lo stipendio di 500 euro al giorno rinfacciato a Meloni? E i bisognosi aizzati contro i benestanti chiusi nei palazzi?

Siamo alle solite, tra l’altro. La cinematografica comparsata, nonostante l’assoluzione della stampa progressista, è la controprova delle ipocrisie grilline. Se si potesse tornare indietro, Casalino rimaneggerebbe la sceneggiatura delle vacanze natalizie del leader. Invece, Conte a Cortina resterà lì a far da tormentone. Come la barca di D’Alema e il cachemire di Bertinotti. Nonché il simbolo dell’ennesima impostura, dopo la regola del doppio mandato aggirata dai sontuosi contratti di collaborazione agli ex parlamentari più meritevoli, i decantatissimi contributi al fondo per il microcredito finiti al partito o la restituzione dell’assegno di fine mandato diventata burletta. Il francescanesimo degli esordi viene annichilito dall’arcitalianità.

Anche il pur eclettico Beppe Grillo è tramortito dalle piroette di colui che tacciava di non avere visione. L’usurpatore ha invece silenziato il fondatore. L’Elevato è così costretto a tornare alle burlesche origini. In primavera andrà in scena l’autobiografico show teatrale: Io sono il peggiore.

Il vanitosissimo Giuseppón pensa l’esatto contrario: lui è decisamente il migliore. La sua ascesa sancisce, per reciproca osmosi, il camaleontismo del Movimento. Giù il cappello: Conte è il più strepitoso trasformista che abbia mai calcato le scene della politica. Come Fregoli, che riusciva a interpretare cento personaggi in un solo spettacolo. Meglio del Frank Underwood di House of Cards, che ai perplessi spiegava paziente: «Ho solo cambiato i parametri delle mie promesse».

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