A Cuba, in Venezuela e in vari Paesi dell’America Latina Mosca infiltra spie, armi e ha un ruolo molto opaco nella lotta alla droga. La sua espansione, aiutata dalla crisi economica post Covid, ora preoccupa anche gli Stati Uniti.
Una stretta di mano che è diventata il simbolo della presenza russa in America Latina. Nicolàs Maduro, presidente del Venezuela e Vladimir Putin non possono che sorridere di fronte alle migliaia di armi vendute da Mosca a Caracas e all’invio di truppe e mercenari russi come quelli dell’organizzazione Wagner, legati al ministero della Difesa russo. È il settembre del 2019 e a Caracas vanno per garantire a Maduro la sicurezza personale…
Ma aggiungiamo un altro, significativo tassello al mosaico: 389 chili di cocaina nascosti in 16 valigie all’interno dell’ambasciata russa di Buenos Aires, in Argentina. Valore stimato 50 milioni di euro. È il 22 febbraio 2018 quando Patricia Bullrich – all’epoca ministra per la Sicurezza argentina – annunciava l’operazione clamorosa che portava all’arresto, tra gli altri, di un alto diplomatico al servizio di Putin. La droga doveva rifornire il mercato della Federazione in vista del Mondiale di calcio che si apprestava a ospitare.
Segnatevi questa data perché da lì cambia tutto: l’America Latina scopre di avere in casa il nemico che arriva da Mosca. Del resto alcuni governi da tempo sono diventati la longa manus del regime putiniano da cui dipendono militarmente e dalla cui intelligence sono stati completamente infiltrati. Su tutti Cuba, Nicaragua e Venezuela, la triade di nazioni che compongono l’Alba, l’Alleanza Bolivariana per le Americhe fondata da Hugo Chávez e ribattezzato adesso il «Triangolo dei Caraibi» filorusso, una spina nel fianco per Washington. Spie, cocaina e armi.
È questo il mix esplosivo con cui la Russia sta invadendo il continente che da qualche anno si è trasformato nel «cortile» dove sfida le sanzioni di Bruxelles e Washington ma, soprattutto, sfida la storica egemonia degli Stati Uniti in questa parte di mondo. Del resto, fin dagli anni Novanta era stata proprio Mosca a teorizzare un nuovo ordine geopolitico, ovvero un mondo multipolare dove ad avere potere fossero Paesi non allineati con gli Usa.
Dopo 30 anni l’America Latina si rivela adesso cruciale per cambiare la scacchiera internazionale. In Bolivia, tornando all’oggi, il 27 luglio scorso, il Cremlino ha annunciato la costruzione di un reattore nucleare nella città dormitorio di El Alto, a due passi dall’aeroporto internazionale che sovrasta la capitale La Paz. Ma la tela del ragno di Putin si espande anche in Paesi tradizionalmente vicini a Washington come la Colombia e persino il Brasile, attraverso una rete di agenti dell’intelligence che, soltanto di rado, vengono scoperti.
A inizio dicembre 2020 a Bogotá, l’operazione di controspionaggio «Enigma» porta all’espulsione di Aleksandr Paristov e Aleksandr Nicolayevich Belosuv, due dipendenti dell’ambasciata russa in Colombia che svolgevano attività che poco avevano a che vedere con cocktail e ricevimenti. Paristov era infatti, secondo la Direzione colombiana d’intelligence, un agente del Svr, il servizio di spionaggio estero nato dalle ceneri dell’ex Kgb. Belosuv apparteneva invece al Gru, il dipartimento dell’intelligence militare di Mosca ed entrambi stavano lavorando intensamente per rafforzare una rete di collaboratori e informatori locali al soldo di Mosca.
In Brasile poi, il 20 febbraio 2020, nel porto di Rio de Janeiro attracca la nave russa Yantar, sospettata di attività spionistica. Il segnale di allarme per la Marina militare del Paese si accende qualche giorno prima, il 10 febbraio, quando il suo Centro integrato per la sicurezza marittima intercetta la nave all’interno della Zona economica esclusiva del Brasile ovvero un’area in cui ha la sovranità su sfruttamento e gestione delle risorse naturali. La Yantar era scomparsa dai radar per una settimana mentre si trovava nei pressi della zona petrolifera del «Presal», ovvero la maggiore riserva di greggio del Paese vicino a un importante snodo di cavi sottomarini in fibra ottica da cui passano comunicazioni spesso «top secret» tra Brasilia, Washington e Bruxelles.
Gli Stati dove maggiore è la presenza militare russa in America Latina sono però Nicaragua e Venezuela. Nel 2017 il satrapo del Paese centroamericano, Daniel Ortega, ha inaugurato un centro di addestramento militare russo per la lotta al narcotraffico ma sulle vere attività del centro che dipende direttamente dal ministero della Difesa di Putin aleggia il mistero. Per non dire che l’anno prima quasi 400 militari russi erano presenti in loco con il pretesto di «esercitazioni militari congiunte». In Venezuela, invece, la vendita di armi della Russia sfiora il fatturato annuo di un miliardo di euro.
Esaurita la «dottrina Monroe» degli Stati Uniti – per cui l’America Latina doveva essere «il giardino di casa» di Washington – adesso oltre alla Cina bisogna fare i conti con Mosca. L’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden di certo non aiuterà visto che non è riuscito neanche a far ripristinare internet a Cuba che dista appena 90 miglia dalla Florida dopo le grandi proteste delle ultime settimane. Di contro la Russia ha inviato, prima nazione al mondo, due aerei An-124 Ruslan del ministero della Difesa con 88 tonnellate di aiuti al regime comunista di Díaz Canel. Il Cremlino sta dunque recuperando anche a Cuba tutto il terreno perso dopo il raffreddamento nei rapporti causato dalla dissoluzione dell’ex Urss.
A far crescere la tensione, comunque, ci ha pensato il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, che a fine giugno ha dichiarato che Nicaragua, Cuba e Venezuela richiedono «ora più che mai» il sostegno di Mosca per far fronte a quelle che ha etichettato come «minacce», compreso «l’uso aperto della forza militare contro quelle nazioni, che hanno un rapporto teso con gli Stati Uniti».
La dichiarazione di Shoigu dimostra che il Cremlino sta ponendo una crescente enfasi sull’espansione della cooperazione militare proprio nel Triangolo dei Caraibi. Per questo motivo, è probabile che i blocchi ostili alla Nato come l’alleanza Russia-Cina si rafforzeranno e molto nell’area.
Di certo c’è che Mosca oggi in America Latina vende armi, moltissime e a basso costo, a tal punto che in Venezuela ha addirittura in programma di aprire una fabbrica di kalashnikov e crea stazioni a terra per la sua rete satellitare Glonass, una base anche per i cyber attacchi che hanno reso la Russia famosa in tutto il mondo. Per non dire delle campagne di disinformazione attraverso le versioni latinoamericane di Russian Tv e Sputnik, che interferiscono nelle elezioni e riescono persino, attraverso sofisticati troll, a fomentare proteste come nel 2019 e in questi mesi in Cile e in Colombia. Per l’analista statunitense Douglas Farah «oggi la Russia sta rapidamente espandendo le sue relazioni in America Latina, investendo 13,5 miliardi di dollari l’anno, e i suoi partner sono soprattutto nazioni dove la criminalità è molto forte, guidati da governi populisti radicali fortemente anti-statunitensi».
