Nell’ambito della sicurezza informatica e della guerra digitale, due libri emergono come opere fondamentali per comprendere le sfide e le dinamiche di questo mondo in continua evoluzione. “Cyber e potere” di Pierguido Iezzi e “NetWar” di Michele Mezza offrono prospettive complementari su temi cruciali riguardanti la cyber security e il giornalismo. Scopriamo con i due autori come queste opere affrontano tematiche cruciali riguardanti la cyber security e il giornalismo, esplorando le sfide e le implicazioni di un futuro sempre più digitale.
Dott. Iezzi, “Cyber e potere”, può essere descritta come un’antologia dell’ultimo biennio, da dove nasce l’idea di questo libro?
“Cyber e potere” è un viaggio che abbraccia l’antologia, la cronaca e l’analisi del biennio 2021/2022, un periodo che ha radicalmente cambiato la prospettiva della maggior parte di noi riguardo al mondo digitale e alla cyber security. Il libro esplora un’epoca di straordinaria complessità, segnata dall’impennata di attacchi cibernetici e dalle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina. Con un racconto appassionato e dettagliato, ho cercato di svelare le intricate connessioni tra la sfera digitale e la geopolitica contemporanea, offrendo un’analisi accurata delle sfide e delle implicazioni che queste minacce comportano per la società globale e per il nostro Paese. Dai porti alla navigazione, dalla catena delle forniture al settore energetico, dalla sanità alla pubblica amministrazione, fino al mondo delle imprese, specialmente le piccole e medie, numerosi sono gli ambiti che hanno raggiunto un allarme considerevole a causa della preoccupante frequenza di attacchi informatici.
All’attività criminale di chi mira a sottrarre dati e credenziali per fini estorsivi, si è aggiunta l’azione ostile di realtà legate direttamente o indirettamente a entità statali, a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha portato il conflitto alla cosiddetta Quinta Dimensione, ovvero il cyberspazio. Questo libro introduce molti concetti fondamentali riguardanti il panorama attuale e analizza quanto è accaduto nei 18 mesi passati, focalizzandosi sulla cyber security, ma non solo.
Ovviamente non è necessario avere una conoscenza approfondita dell’argomento, poiché il libro offre una chiara analisi che rende accessibili anche i concetti più complessi. Sia chi si avvicina per la prima volta al tema, sia gli esperti del campo tecnologico possono trarre vantaggio da questa lettura. “Cyber e Potere” invita a riflettere sulla nostra dipendenza dalla tecnologia digitale e sulle conseguenze di un mondo sempre più interconnesso. Attraverso l’analisi di casi concreti, ho cercato di far luce su questa nuova realtà, offrendo spunti di riflessione su come preservare la sicurezza e la stabilità in un’era in cui la minaccia cibernetica e il potere geopolitico si fondono.

La formazione in ambito cyber, secondo lei è diventata necessaria in maniera trasversale?
P.I: Il mondo digitale non fa parte della nostra vita, è la nostra vita. Dal momento in cui viviamo nel digitale è necessario rendere consapevole l’utilizzatore. C’è ancora l’idea che il dispositivo tecnologico, con il suo schermo, sia la nostra porta blindata. In realtà è la nostra porta spalancata sul mondo con possibili rischi di furto di informazioni e dati sensibili. Se io investo nella formazione dei cittadini in tema di sicurezza informatica, garantisco anche la formazione dei lavoratori. Il punto però è che manca una reale consapevolezza di un rischio reale e concreto che può costare davvero molto alle aziende. Si parla spesso di attacchi complessi, ma in realtà, grazie all’intelligenza artificiale e agli strumenti presenti online, sono sempre più semplici. I cyber criminali agiscono dove vedono un’opportunità da sfruttare secondo tre modalità: usando la vulnerabilità di un qualsiasi oggetto esposto su internet, attraverso il social engineering (phishing o smishing) o ancora attraverso l’acquisto di credenziali rubate. Non dobbiamo dimenticarci anche di un altro fattore emreso negli ultimi anni, ovvero di come lo smart working ha dato il via ad un incremento di attacchi: noi non eravamo abituati a lavorare da remoto, eravamo abituati a stare in ufficio. Nel periodo della pandemia molti utenti si sono ritrovati a usare per lavoro un dispositivo personale, magari non sempre aggiornato e usato anche da altre persone della famiglia. Non solo: in quel periodo storico, il bacino di utenti di software di videoconferenza, di e-commerce è improvvisamente incrementato di n volte; rendendo una fetta enorme della popolazione bersaglio di possibili attacchi e truffe. Utenti alle prime armi che per mancanza di familiarità o awareness nei confronti degli strumenti digitali, sono stati facile preda dei Criminal Hacker.
Uno dei fili conduttori che congiunge il libro Cyber e Potere di Iezzi e il suo NetWar è proprio il ragionamento sulla guerra ibrida di Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze russe, considerato la madre di tutte le cybersecurity potremmo dire. Perché si tratta di una vera svolta come insiste nel suo testo?
M.M: La guerra ibrida, così come ne parla Pierguido iezzi nel suo libro e come insisto anch’io in NetWar è un cambio di paradigma che rende ormai permanente e irrisolubile il conflitto digitale. Gerassimov nel suo famoso saggio del 2013 prende atto che con la rete cambia definitivamente il sistema delle relazioni sociali che viene mediato dagli algoritmi. Sono le piattaforme, e nelle piattaforme i sistemi di riproduzione artificiale della realtà che sostituiscono i media e manipolano l’informazione. Dunque, spiega il generale Russo, si “combatte mediante interferenze nella creazione del senso comune dell’opinione pubblica del paese avversario “. Si tratta di una metodologia che , anche sulla scorta di Cambridge Analytica, ossia del tentativo di manipolazione delle elezioni americane del 2016, muta radicalmente sia il mondo del giornalismo e il sistema geopolitico. La guerra ibrida non finirà mai. E’ ormai un modo di fare comunicazione, marketing, amministrazione, politica e come stiamo vedendo in Ucraina , anche la guerra. In questo contesto la cybersecurity diventa un linguaggio sociale esteso che fuoriesce dal mondo specializzato diventando una delle modalità di contatto e dominio che si configurano in una società dove tutta la nostra fita diventa file, e dunque attraverso i file può essere aggredita, inquinata e manipolata. NetWar ragiona proprio su questa trasformazione, in cui, come recita il sotto titolo : in Ucraina il giornalismo ha cambiato la guerra, ma la guerra sta cambiando i giornalisti.
Rimaniamo su questa seconda parte del sottotitolo del libro: cosa significa che la guerra sta cambiando i giornalisti?
Michele Mezza: In sostanza significa che la guerra è diventata un terribile laboratorio dove perfino nelle fasi più estreme, dove è in gioco la vita umana, i singoli esseri umani, le persone normali, diventano soggetti produttori di informazione, raccogliendo, elaborando e trasferendo una gran quantità di dati : pensiamo alle centinaia e centinaia di filmati che sono registrati direttamente da cittadini sotto i bombardamenti o da soldati duranti fasi sanguinose del combattimento. Questi dati anche grazie alla copertura assicurata da Starlink la flotta satellitare privata di Elon Musk ha cambiato il corso del conflitto, esponendo le armate russe ad un tiro incrociato guidato proprio dai dati che la popolazione raccoglieva e moltiplicava, sostituendosi sia ai tecnici militari che ai giornalisti. Si tratta di un’accelerazione di una grande tendenza che viene da lontano. Già Walter Benjamin nel 1937, commentando le prime rubriche delle lettere alò direttore che venivano pubblicati dai grandi quotidiani europei, intuì che “attraverso questo spazio ogni lettore si siederà accanto al direttore”, come scrisse nel suo celeberrimo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Oggi vediamo che ogni utente si sostituisce all’inviato diventando fonte e testimone di ogni evento. La manipolazione digitale rende poi ogni documento alterabile e manipolabile .In questo modo l’onere della sua certificazione spetta direttamente ad ogni singolo lettore che in rete deve destreggiarsi nell’abbondanza delle fonti. Il giornalista diventa così solo uno dei passaggi della catena del valore dell’informazione, e per recuperare una sua centralità deve poter analizzare e misurare i livelli di inquinamento, riprogrammando i sistemi digitali. Il giornalista così è costretto a diventare l’informatico di se stesso.