Ogni suo libro ci attrae come una calamita. Perché il re del brivido ci costringe ad affrontare, e accettare, la nostra parte «in ombra».
Per comprendere fino in fondo il mistero di Stephen King – la strana magia che ancora ci avvince e ci spinge a leggerlo dopo tanti anni e altrettanti ponderosissimi tomi – può rivelarsi molto utile una scena di una delle sue opere più riuscite, La tempesta del secolo, miniserie televisiva sceneggiata dal re dell’horror che poi ne ha cavato pure un romanzo. Gli abitanti di una piccola città del Maine, Little Tall, sono perseguitati da una presenza demoniaca: un uomo di nome Linoge, dotato di poteri degni del più perfido dei maghi neri. Costui propone un patto ai poveretti vessati: li lascerà in pace solo se gli daranno ciò che vuole, cioè un bambino piccolo che possa portare via con sé, per crescerlo e trasformarlo nel suo malvagio successore. Dopo un violento confronto, ma senza pensarci troppo su, gli onesti cittadini di Little Tall decidono di accontentare Linoge, e affidano alla sorte la scelta del piccino da consegnargli.
Dramma nel dramma, la vittima sacrificale è il figlio di Mike Anderson, gestore dell’emporio locale nonché sceriffo della cittadina. Ovvero l’unico che ha avuto il fegato di opporsi direttamente alla malvagia presenza: l’unico che era contrario ad accontentare Linoge. Anderson aveva messo in guardia i suoi amici e concittadini: se avessero offerto un innocente all’orribile mago pur di salvarsi la pelle, ne avrebbero pagato amaramente le conseguenze. Manco a dirlo, le cose vanno esattamente come il povero Mike aveva predetto. Tutti, a Little Tall, hanno salva la vita e cercano di dimenticare l’atroce sacrificio. Ma non ci riescono. C’è chi si suicida, chi annega nella disperazione, chi finge che vada tutto bene ma ha il cuore gelato.
Qual è la morale della storia? Che, per dirla con Mishima, non bisogna avere così cara la vita da sacrificare lo spirito. Chi, per attaccamento ai beni materiali, amor di tranquillità o paura si vende l’anima è destinato alla peggiore delle sorti. Sembra quasi un ragionamento da predicatore. Curioso, considerando che King, in un’intervista rilasciata a Rolling Stone nel 2015 (leggibile in italiano sul sito dell’editore Tlon, www.tlon.it) ammetteva di credere in Dio «perché è meglio così», ma non usava parole tenerissime verso le religioni: «La religione organizzata è uno strumento pericoloso, usato per fini sbagliati da molte persone. Sono cresciuto in una chiesa metodista, andavamo a messa tutte le domeniche e al catechismo tutte le estati. Non avevamo altra scelta».
Eppure, il grande potere del narratore americano, quel che rende i suoi romanzi così vividi e attraenti ancora oggi, è la capacità di farci fare i conti con il soprannaturale e lo spirituale. Lo hanno spesso descritto come un materialista, apparentemente ne ha tutte le caratteristiche. È un liberal, un progressista con qualche tratto radicale. Diffida delle religioni. Non ama i conservatori. Appare spesso controllato e razionale. Ha pure guadagnato un mucchio di soldi, assumendo le sembianze dello scrittore commerciale per eccellenza. Però l’anima è sempre lì, pronta a sbucare da ogni sua pagina.
La tradizione innerva ogni suo scritto. Lo spirito pervade tutte le sue storie.In fondo, i più maestosi capolavori di King non sono altro che fiabe. E ne svolgono le più importanti funzioni, prima fra tutte il confronto con il Male. Solo chi – pur devastato dal terrore – fronteggia l’oscurità con determinazione riesce a diventare pienamente uomo (o donna).
Prendete It, di cui recentemente è stata realizzata una nuova trasposizione cinematografica di enorme successo. In fondo, mette in scena il percorso che ciascuno di noi deve compiere per diventare adulto, che passa per forza attraverso un combattimento spirituale contro la parte oscura, quella che Carl Gustav Jung chiamava «ombra».
Lo stesso combattimento va in scena nell’ultimo libro di King pubblicato in Italia, L’uomo vestito di nero (Sperling & Kupfer), una storia breve pubblicata sul New Yorker nel 1996 e impreziosita per l’occasione dalle tenebrose illustrazioni di Ana Juan. Il racconto è ispirato a un’opera di Nathaniel Hawthorne, Il giovane signor Brown. «Credo che sia uno dei dieci migliori racconti della letteratura americana» dice King. «Ho voluto rendergli omaggio».
La trama è semplice semplice: un ragazzino va nel bosco e incontra il diavolo. Pare che ispirare l’autore, a parte il monumentale Hawthorne, sia stata la confessione di un amico: «Mi ha detto che suo nonno era convinto di avere incontrato il diavolo nel bosco, agli inizi del ventesimo secolo». Ed è sempre con un essere oscuro che si confrontano i protagonisti di The Outsider, buon romanzo di recente trasformato in fiction per la televisione.
A ciascuno di noi, anche se si fatica ad ammetterlo, è capitato qualcosa di simile. Abbiamo tutti incontrato il nostro diavolo. King, in qualche modo, ci aiuta ad affrontare i vari demoni che ci si parano sul cammino, e che dobbiamo sfidare se vogliamo diventare pienamente noi stessi. La psicoterapeuta junghiana Chiara Tozzi ha giustamente notato come «King attraverso la fiction e Jung attraverso l’esplorazione della psiche abbiano accettato l’orrore del confronto con It, ovvero la parte oscura, l’Altro dentro di sé, traendone immagini e simboli capaci di collegare la propria esperienza personale a quella collettiva. Questo confronto» spiega la dottoressa «ha portato entrambi ad assumere una posizione etica nei confronti delle immagini interne così come verso i contenuti individuali e collettivi della vita umana».
Chiaro: l’opera di King non sempre raggiunge le profondità junghiane. Talvolta è puro e piacevolissimo intrattenimento. Leggere per credere il fumetto Creepshow (Mondadori), da cui George Romero ha tratto un film nel 1982. Cinque storie sceneggiate dal caro Stephen in cui sono già presenti tutte le atmosfere della serie Stranger Things (la quale, a sua volta, è incentrata sulla fatica immensa che costa diventare grandi).
Comunque sia, che si tratti di una cavalcata nel pop o di una immersione in tenebre antiche, al centro c’è sempre la stessa, primordiale battaglia. Quella dell’uomo contro l’oscurità. Quella del bene – con tutte le sue imperfezioni – contro il Male nella sua nera purezza. Facile dirlo, perfino banale. Il difficile sta nel raccontare sempre la stessa storia per decenni facendola sembrare ogni volta nuova. King ne ha la capacità: chissà a chi ha dovuto vendere l’anima per riuscirci.