Lo ha deciso la Corte di cassazione con una sentenza che stabilisce un precedente importante: se le autorità non intervengono in tempi brevi a liberare l’immobile abitato abusivamente (e in Italia se ne contano circa 50 mila), saranno loro a dover risarcire i danni ai legittimi proprietari.
Un faldone colmo di esposti, segnalazioni, istanze e ricorsi non era bastato a smuovere le autorità romane. Il caso ha attraversato in pieno due giunte, quelle di Ignazio Marino e di Virginia Raggi, e una gestione commissariale, curata da Francesco Paolo Tronca. Finché la Corte di cassazione a sezioni unite, qualche settimana fa, con una sentenza decisiva destinata a fare giurisprudenza (la 7737/2023), è intervenuta stabilendo, per la prima volta, un principio che restituisce speranza ai proprietari di abitazioni occupate abusivamente: se le autorità non intervengono, pagano il conto. Il caso era spinoso. Ed è cominciato con una scena che si ripete identica, quasi ogni giorno, nelle metropoli italiane. Roma, gennaio 2012: 300 squatter a San Basilio buttano giù il cancello di una palazzina che un tempo era una casa di riposo ed espongono striscioni di protesta (anni dopo finiranno lì dentro anche diversi stranieri senza fissa dimora).
I proprietari, una società di gestione di un fondo d’investimento che avrebbe voluto far salire la valutazione dello stabile, considerato di pregio, e aveva ceduto in affitto i locali al Comune di Roma, segnalano subito alle autorità l’occupazione. Fatto salvo un primo e immediato intervento – che però non è stato risolutivo perché gli occupanti minacciavano atti di autolesionismo – lo stabile è rimasto nelle mani degli squatter. E la società si è ritrovata bloccata in un’incredibile ragnatela burocratica. Perfino una denuncia penale si è rivelata inefficace. Da quel momento, tutti i tentativi di riprendere possesso della proprietà sono stati un buco nell’acqua.
Ma il fondo d’investimento non ha mollato. E ha intentato una causa civile nei confronti di tutte le amministrazioni comunali nel frattempo susseguitesi e contro il ministero dell’Interno e presidenza del Consiglio dei ministri, lamentando la loro «condotta inerte». Anche in questo caso è partito uno scaricabarile. Il Tribunale civile di Roma ha tentato di liberarsi del fascicolo dichiarando «il proprio difetto di giurisdizione». Ovvero, secondo i giudici, non erano loro a doversi occupare del caso, ma i colleghi del Tar, trovando tempo dopo la Corte d’appello sulla stessa linea. I legittimi proprietari, però, nonostante la situazione abitativa emergenziale e le connesse problematiche di ordine pubblico, avevano inquadrato la questione attraverso i loro avvocati, facendo emerge una compressione di almeno due diritti garantiti dalla Costituzione: la proprietà e l’iniziativa economica. Per questo hanno accusato di «inerzia» il Viminale, il prefetto e il Comune di Roma.
I giudici delle Sezioni unite della Cassazione hanno rimandato gli atti al Tribunale civile di Roma, ritenendo che sia proprio quello il giudice che dovrà stabilire a quanto ammonta il danno, riconoscendo così le ragioni al fondo d’investimento. Gli alti magistrati, poi, non hanno risparmiato una ramanzina alle parti, spiegando loro che «la pubblica amministrazione, nella scelta di non intervenire, esercita una discrezionalità che le spetta in tema di ordine pubblico o sicurezza»; e che «un privato nel pretendere che l’autorità pubblica tuteli e intervenga concretamente in difesa della sua proprietà o iniziativa economica, si muova nella sfera degli interessi legittimi». Hanno quindi stabilito un «dovere di intervento» a tutela del diritto di proprietà e di esercizio dell’attività economica del proprietario, giudicando colpevole «l’inerzia totale» della pubblica amministrazione, che aveva persino impedito ai proprietari di ottenere un provvedimento di sgombero.
«La tolleranza del comportamento abusivo e illegale degli occupanti e la generazione di danni economici derivano» secondo la proprietà «direttamente dal comportamento omissivo di chi avrebbe il dovere di assolvere compiti di ordine pubblico e di pubblica sicurezza e ha invece omesso qualsiasi attività al riguardo». Non solo: stando al ricorso presentato dai proprietari del fondo, si sarebbe configurato pure un indebito arricchimento delle amministrazioni pubbliche per aver «scaricato» sul privato costi che avrebbe altrimenti sopportato per l’assistenza alloggiativa dei bisognosi. «Questa sentenza» commenta l’avvocato Andrea Giardini, che ha rappresentato la società di gestione del fondo d’investimento «apre numerosi e interessanti scenari, di certo inediti e portatori di un nuovo approccio del quale anche il potere esecutivo e il legislatore dovranno tener conto».
Il problema degli alloggi occupati è esteso: solo a Roma, secondo Confedilizia, sarebbero quasi 7 mila. In tutto il Paese, le stime parlano di circa 50 mila. Con tempi biblici per lo sgombero: da un minimo di due anni fino a sei. Alla Camera dei deputati, dallo scorso gennaio, sono in discussione due proposte di legge per inserire l’occupazione abusiva (o arbitraria) di immobile pubblico o privato come reato specifico nel codice penale, così da aggravare le sanzioni e snellire le procedure di sgombero. Mancavano gli aspetti legati all’«inerzia negli interventi». Ci hanno pensato i giudici della Cassazione.