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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Riforma dello sport: sicuri che la nuova politica sia meglio del vecchio Coni?

Dietro lo scontro tra Malagò e Giorgetti due concezioni agli antipodi. Col rischio di azzerare un modello che ci tiene nella G10 dello sport

Per difendere il Coni e allontanare la riforma dello sport firmata dal Governo Lega-Cinque Stelle, il presidente Giovanni Malagò ha usato la suggestione più forte che potesse trovare: "Nemmeno sotto il fascismo ci si è spinti a tanto". Paragone probabilmente azzardato, ma che spiega molto della temperatura altissima cui è arrivato lo scontro tra il palazzo dello sport italiano e le stanze della politica.

Malagò accusa il Governo di aver cancellato con quattro righe una storia ultracentenaria che spesso è stata di successo. Il nodo della questione sta nella gestione degli oltre 400 milioni di euro pubblici destinati per legge allo sport (non un gentile omaggio, ma il ritorno di un terzo delle entrate fiscali provenienti dal settore): dal Coni a una nuova società governativa con il compito di suddividerle tra federazioni e realtà sportive.

Al Coni resterebbero le briciole (40 milioni) per la preparazione olimpica. Per Malagò un'inaccettabile svuotamento di strumenti e funzioni ("Ci vogliono ridurre a un'agenzia di viaggio") e un'occupazione manu militari della politica. Per il sottosegretario con delega allo sport Giorgetti la semplice scelta di seguire un modello già in vigore in altri Paesi.

Può essere che il secondo abbia ragione e il primo torto, ma è incontestabile che il modello del Coni - pur con limiti ed errori - abbia consentito al movimento di restare nel G10 mondiale anche in un periodo di grave difficoltà come quello che stiamo attraversando, tra ritardi infrastrutturali e carenza di formazione (leggi avviamento giovanile) ormai cronici. Siamo certi che un nuovo modello a risorse invariate può ottenere risultati migliori?

E poi è altrettanto incontestabile che, se l'accusa mossa tra le righe è che il Coni ha gestito quei soldi con logiche talvolta clientelari, la politica non rappresenta l'approdo più sicuro. E' vero che in altri Paesi il controllo diretto del Governo funziona, così come è vero che in altri Paese (spesso gli stessi) anche l'amministrazione pubblica e la macchina dello Stato funzionano. Molto meglio che da noi. Siamo un Paese in cui la politica ha raramente dato buona prova di sé quando si è trattato di restare immune da clientelismo, lottizzazione e gestione non meritocratica e competente di una macchina affidatagli. Perché oggi dovrebbe andare diversamente?

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Giovanni Capuano