Perché la ricarica rapida non fa bene allo smartphone
Roberto Catania
Tecnologia

Perché la ricarica rapida non fa bene allo smartphone

I sistemi "fast-charge" riducono la vita delle batterie. Ma c’è chi sta già lavorando per eliminare il problema alla radice

Caricatori rapidi, turbo-charger, fast-charger, quick-charger: chiamateli come volete, ma la sostanza non cambia. I nuovi sistemi di ricarica ultraveloce sono il nuovo must della telefonia intelligente, soprattutto fra i produttori Android.

Tutti i più recenti top di gamma motorizzati con il sistema operativo del robottino verde ne sono dotati e non è difficile capire il perché. Considerato l’uso sempre più smodato e frenetico dei cellulari, la possibilità di dimezzare i tempi di ricarica è qualcosa che piace a tutti, o comunque piace di più di tutti i vari accessori da asporto (power bank, cavi incrociati, caricabatterie per auto) che oggi permettono di avere qualche goccia extra di energia.

Velocità fa rima con scarsa longevità 
Ma, è bene precisarlo, non è tutto oro quello che luccica. La ricarica è un processo che mette a dura prova le attuali batterie agli ioni di litio: più è veloce, spiegano gli esperti, maggiore è il rischio di corrosione.

Paradossalmente, sarebbe più opportuno utilizzare degli alimentatori a basso amperaggio piuttosto che delle turbo-unità. Fatte le debite differenze, infatti, il processo di ricarica può essere paragonato alla spillatura di una buona birra “stout”: per preservarne la qualità è meglio lavorare con lentezza. Chi ha un iPad Pro, fa notare Hatem Zeine, CTO di Ossia, società specializzata in sistemi di ricarica wireless, farebbe meglio a ricaricarlo con l'alimentatore di un iPhone piuttosto che con quello (più potente) in dotazione con il dispositivo.

Morto uno smartphone se ne fa un altro
Va detto, comunque, che il processo di degradazione delle batterie ricaricate con i moderni turbo-alimentatori non è così repentino. In media ci vogliono circa due anni affinché uno smartphone cominci a dare i primi segni di cedimento sul piano dell’autonomia. Più o meno il tempo medio di tunover fra un dispositivo e il successivo. Per tutti quegli utenti abituati a cambiare cellulare ogni 2-3 anni, insomma, si tratterebbe di un problema poco rilevante o comunque secondario rispetto al beneficio che deriva da un pieno di energia in pochi minuti.

Dalla grafite una possibile soluzione
Il problema però sussiste e c’è chi sta già pensando al modo di risolverlo. La soluzione, secondo alcuni addetti ai lavori, potrebbe risiedere nell’utilizzo di batterie con anodi di grafite, un escamotage che garantirebbe tempi di ricarica molto rapidi ma senza gli effetti indesiderati degli attuali sistemi di fast-charging. Alcuni produttori, è il caso di Huawei, starebbero peraltro già testando delle unità speciali da 3.000 mAh capaci di recuperare il 48% delle tacche perdute in soli 5 minuti, il tutto – e qui sta la seconda buona notizia – senza subire stress a livello funzionale.

Naturalmente ci vorrà ancora del tempo per passare dal laboratorio al mercato, ma la strada pare ormai segnata: considerata la scarsa evoluzione delle tecnologie sul fronte della capacità, l’unica strada possibile per alleviare le sofferenze degli utenti resta proprio quella della ricarica rapida. Meglio se senza controindicazioni.

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Roberto Catania

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