C’è una significativa similitudine (di nuovo, e forte ancoraggio al territorio) tra la potente Cdu della grande regione tedesca e la Lega.
Da qualche tempo a questa parte, il conservatorismo nazionale di Giorgia Meloni ha il vento in poppa. La netta affermazione elettorale di Fratelli d’Italia e il suo consenso in crescita nei sondaggi fanno sì che, a giorni alterni, si discuta di partito unico del centrodestra. Eppure una parte di questa compagine politica – quella leghista – sembra fare una scommessa di tipo «bavarese». Si concentra cioè sul Nord, il suo tradizionale bacino di riferimento che quaranta anni fa le valse appunto l’appellativo di «partito bavarese», con una scelta di tempi che ricorda da vicino quella dei vertici della più grande regione federale tedesca. Se si accetta l’ipotesi dei «destini incrociati» tra leghisti e bavaresi, non possiamo che sbirciare al di là delle Alpi. Cioè partendo da Monaco e da Markus Söder, il potente governatore della Baviera.
Da qualche giorno, Söder ha fatto sapere di non nutrire ambizioni di potere al di fuori della propria regione, e di non aspirare al cancellierato alle prossime elezioni Politiche. Vedremo. Per il momento, in ogni caso, è alle prese con le Regionali, che si terranno in autunno. Ma c’è da giurare che tornerà un minuto dopo, giusto in tempo per dire la sua alle elezioni Europee della primavera 2024. In parte, la centralità di Söder riflette la storia della Germania. La Baviera fu per molto tempo, dopo la Prussia, il più importante regno tedesco e fino alla Prima guerra mondiale conservò diverse vestigia della sua antica sovranità (il re, la presenza di un corpo diplomatico straniero nella sua capitale).
Anche in seguito, rimase forte l’impronta confederale impressa dal cancelliere Bismarck al processo di unificazione del Paese. Come conseguenza, in Germania coabitano da molto tempo due Democrazie cristiane: la Cdu nazionale, e la Csu bavarese. Fin dalla costituzione dello Stato, questi due partiti si sono spesso punzecchiati, soprattutto quando il leader del partito bavarese era Franz Josef Strauss, ma nel complesso hanno saputo collaborare lealmente e contribuito alla stabilità dei governi che si sono avvicendati.
In parte, Söder ci mette del suo. Ne sa qualcosa Armin Laschet, malcapitato candidato di punta di Cdu e Csu alle ultime elezioni politiche tedesche. In piena campagna elettorale, Laschet si ritrovò non solo a duellare contro social-democratici e Verdi, ma anche contro lo stesso Söder. Quest’ultimo, infatti, «picconava» continuamente Laschet, considerandolo una figura troppo «esangue». Söder, dicevamo, si sta inabissando, ma non per ritirarsi. Già nell’autunno di quest’anno farà emergere di nuovo «il periscopio», e sul principio del prossimo anno si farà rivedere in tutta la sua vistosa figura. La tempistica del governatore, per alcuni aspetti, ricorda quella della Lega in Italia.
Al momento il partito di Via Bellerio non vola alto nei sondaggi e una parte del suo consenso è stato cannibalizzato da Fratelli d’Italia anche al Nord. Al capo partito Matteo Salvini si affianca il club dei governatori leghisti delle regioni settentrionali. Regioni che, vale la pena di sottolinearlo, fanno parte della macro-regione europea Alpe-Adria dove la fa da padrona proprio la Baviera. Inoltre è avviata la fase congressuale leghista, e il congresso federale si terrà dopo la fine delle consultazioni locali e regionali. Si parla, anche qui, di fine 2023 o inizio 2024.
Già ora, in compenso, si registra un ritorno al modello bavarese fortemente territorializzato. A Roma, la Lega porta avanti il regionalismo differenziato. Di quando in quando si discute anche del trasferimento al Nord di authority indipendenti. Viene dunque rielaborata l’idea di Lega nazionale, ma anche il paradigma nazional-conservatore di Giorgia Meloni. Ad alimentare la «fase bavarese» e consigliare un maggiore ancoraggio al Nord non è solo la volontà di differenziarsi da Fratelli d’Italia e di tornare così al modello collaudato delle identità territoriali. C’è anche la consapevolezza che, senza la possibilità di fare ricorso a spesa pubblica e deficit, come nella Prima Repubblica, anche il consenso più robusto prima o poi perde colpi.
L’autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar