Sala straparla di «rivoluzione» per cancellare cinque anni di nulla
Beppe Sala (Ansa)
Politica

Sala straparla di «rivoluzione» per cancellare cinque anni di nulla

Il sindaco di Milano si ricandida con slogan da guru globalista. Strizzando l'occhio a Greta Thunberg ma facendo arrabbiare i Verdi. Dopo aver tolto le case Aler agli agenti propone più moschee. E ora appoggia Carlo Calenda.

Ha visto la luce come i Blues Brothers. La folgorazione è arrivata la notte di Sant'Ambrogio, così metafisica da sorprendere anche lui. Allora Giuseppe Sala si è alzato dal divano (immaginiamo in vestaglia di cachemire e calze a rombo) e ha convocato il suo portavoce, Stefano Gallizzi, per il video della ricandidatura. Uno scenario da vicerè del Verziere, ma sugli elettori del centro storico di Milano fa effetto: il sindaco più caro a Greta Thunberg è pronto a raddoppiare i suoi cinque anni di nulla, però vissuti con charme e spiegati bene.

«Mi ricandido per fare una vera rivoluzione», ha detto il politico più veltroniano dopo l'originale in un'amorevole intervista al Corriere della Sera. Frase a effetto per le sciure progressiste del quadrilatero, le uniche che lui frequenta per censo. È la sua grande contraddizione: parole da guru globalista, fatti da piccolo burocrate rosso. Tre giorni, tre imbarazzanti uscite. La prima è un regalo della sua giunta (con la collaborazione del Movimento 5 stelle), che ha fatto passare una legge con la quale viene tagliata dal 10% al 3% la quota delle case Aler del Comune dedicata alle forze dell'ordine.

Un segnale di disinteresse politico per la sicurezza in una delle città fisiologicamente più complicate d'Italia, un allargamento di fatto della quota già destinata anche a extracomunitari e rom. La decisione contestata ha offerto un'arma polemica alla Lega. «Destinare più case popolare agli agenti sarebbe servito nel caso auspicabile di un rinforzo dei ranghi delle forze dell'ordine a Milano», ha sottolineato Stefano Bolognini, assessore regionale e commissario del partito nella metropoli. «È questo il modo in cui il sindaco tratta chi ogni giorno garantisce legalità e sicurezza?». Il problema non riguarda il primo cittadino del Municipio uno e refrattario agli altri otto. Anche se proprio alla fermata Duomo due giorni fa un senegalese ha mandato all'ospedale quattro persone (tre controllori Atm e un agente) prima di essere arrestato.

Quella che il sindaco uscente sogna è «una città policentrica rifondata sulla prossimità». Ormai parla così, deve avere inghiottito per sbaglio alcune pagine dell'ultimo saggio di Jeremy Rifkin sulla società dell'empatia. E per tradurre nei fatti l'assunto (o per lisciare il pelo all'ala boldriniana del Pd rappresentata a Milano da un altro milionario mascherato, Pierfrancesco Majorino) ha sottolineato la necessità di aumentare le moschee. «Ne ho parlato con l'arcivescovo Mario Delpini ed è qualcosa su cui anche la Chiesa cattolica è favorevole. Io da laico ricordo l'articolo della Costituzione che tutela il diritto alla fede anche non cattolica». Il paravento dell'arcivescovo gli serve per omettere due dettagli: a Milano ci sono numerosi centri islamici abusivi neppure censiti dal Comune; il nuovo Pgt ne autorizza altri quattro per la felicità della comunità islamica che ha contribuito a eleggere la maggioranza di sinistra. E va tenuta buona.

Così il sindaco ricomincia la campagna elettorale, rigorosamente in bicicletta, con la quale si avventurerà per la prima volta nelle periferie mille volte evocate («i servizi di base a portata di mano») ma mai frequentate. Se non per visite della serie: gita fra i panorami di servizio. Del resto nell'anno della pandemia si è distinto per l'adozione di migliaia di monopattini e per la realizzazione di finte piste ciclabili, disegnate a caso con la pittura gialla dall'assessore Pierfrancesco Maran per la felicità di commercianti, automobilisti e pure ciclisti costretti a pericolosi salti di corsia fra le auto. Sui trasporti e le scuole comunali, incubatori della seconda ondata di Covid a Milano, nessuna idea, e nessuna contromisura neppure per la ripresa.

È la forza di Sala, un esploratore dell'ovvio con la cravatta giusta e i media come cocker. Ieri ha fatto l'endorsement per Carlo Calenda a Roma: «È un candidato credibile». Lui meno. Si è intestato successi di Letizia Moratti come il City Life e la Metro 5, addirittura di Gabriele Albertini come i grattacieli dell'Isola, contro i quali il Pd aveva fatto battaglie feroci. In cinque anni ha solo parlato: il nuovo stadio di San Siro è ai prodromi delle premesse (Inter e Milan hanno pure minacciato di andarsene), il Seveso continua a passeggiare per il quartiere Niguarda dopo due giorni di pioggia. Sala annuncia: «Voglio ampliare la Metro 4 fino a Segrate». Per ora non riesce nemmeno a chiudere il tragitto originale: i cantieri del centro sono fermi per via di un muro romano e saranno chiusi con due anni di ritardo.

La Milano green è una grande illusione. Alberelli rachitici sui viali, smog micidiale come da tradizione secolare. Gli ex scali ferroviari saranno cementificati e la cosa ha fatto imbestialire i Verdi che minacciano di andare da soli alle elezioni. Lui non batte ciglio: «Sarò io a interpretare il pensiero ecologista». A parole è immarcabile, poi la realtà gli cade sui calli. Qualche giorno fa due clochard intervistati sotto i portici di via Hoepli hanno rivelato: «Si gela, ma gli assistenti sociali ci hanno detto che sono in ritardo con la sanificazione dei dormitori. Potevano portarsi avanti, il piano freddo scattava a novembre». Battono i denti da un mese. È la Milano inclusiva della gauche globalista, quella che dal divano Sanderson di Sala non si vede.

I più letti

avatar-icon

Giorgio Gandola